Oltre l’extravergine4 min read

Qual’è la città con un viale di ulivi in pieno centro, un’altra strada che dall’olivo prende il nome, e dove l’università locale imbottiglia un extravergine da piante di sua proprietà? Si tratta di Davis, California. Certamente nota a voi surfisti come centro enologico di riferimeno per gli Stati Uniti e non solo, si è recentemente dotata di un Istituto dedicato proprio  alle olive e all’olio.

L’ Olive Center si è subito dato da fare lanciando il congresso "Beyond Extravirgin", cioè "oltre l’extravergine", svoltosi fra il 21 e il 23 giugno in collaborazione con il Robert Mondavi Institute for Wine and Food Science e il Culinary Institute of America. Un congresso internazionale, beninteso: con l’intento, da parte degli americani, di prepararsi a diventare produttori protagonisti monitorando il patrimonio millenario degli europei; i quali, a loro volta, sono convenuti con la speranza di incrementare le vendite dei loro extravergini o i dei loro frantoi proprio su questo mercato in espansione (il consumo statunitense è raddoppiato negli ultimi dieci anni).

Molte le presenze ufficiali da Italia, Spagna, Grecia e Australia, ma molti anche gli osservatori da paesi (ancora) non produttori. Tra gli sponsor vi segnalo in particolare Tre-e, associazione internazionale di cultura e promozione che insegue l’eccellenza dell’olio da olive e che giustamente ribadisce il problema di come chiamarlo, quest’ olio eccellente, visto che la qualificazione di "extravergine", ormai confusamente adottata su cinque continenti, ci dice ben poco. Di qui, anzi, il titolo del congresso stesso: un titolo che vuole essere di stimolo a trovare, prima o poi, una qualifica o un marchio, comunque una chiave che permetta di fare la necessaria chiarezza sul livello qualitativo da comunicare in etichetta. La mente dell’associazione è tutta italiana, con a capo Claudio Peri, Professore Emerito dell’Università di Milano .
La visita a un paio di produttori locali, il giorno prima della conference vera e propria, ha chiarito che gli olivicoltori californiani saranno pure pochi ma fanno sul serio. Per niente interessati a produrre grassi liquidi di dubbia qualità (i prodotti importati di questo tipo continuerebbero ad essere troppo concorrenziali) si sono attrezzati con impianti ad alta o altissima densità di piante, tutte opportunamente irrigate. I macchinari per la frangitura, per adesso di fabbricazione europea, sono il meglio che offra il mercato. Dichiarare che il loro extravergine è 100% americano, dicono, gli è già valsa la conquista di un affezionato mercato di nicchia. 

Alla fine al congresso eravamo un bel numero, circa trecento, e non ci siamo davvero annoiati. Oltre alle relazioni più accademiche, infatti, ci aspettavano degustazioni e dimostrazioni di chef che saremmo andati a testare coi nostri sensi. Largo spazio, quindi, a temi classici tipo "Indirizzare la produzione in funzione degli attributi salutistici" o "Le frontiere della ricerca in direzione della qualità"; ma non sono mancati spunti più innovativi – oltre che più vicini a chi scrive e probabilmente a chi legge queste note- come "Ripensare il linguaggio e la comunicazione dell’olio". Ogni tanto, a mo’ di pausa fra gli interventi, compariva un gruppetto di 5-6 oli da assaggiare. E non è di tutti i giorni confrontare i prodotti più tradizionali di Grecia e Marocco, California e Spagna accanto ad altri  meno prevedibili, come un blend Arbequina-Koroneiki-Hojblanca o una Taggiasca prodotta a pochi chilometri di distanza dal campus che ci ospitava.

Alla fine la sezione più stimolante è stata quella svoltasi presso il Culinary Institute di Greystone, St.Helena (Napa Valley), dove siamo stati trasportati il terzo giorno. Qui sono passati alla ribalta cuochi e gastronomi,  italo-greco-ispanici di cultura quando non di passaporto. Eravamo in sostanza in un laboratorio di cucina, e di questo c’è bisogno per il prodotto in questione: va dato merito agli organizzatori di averlo compreso perfettamente. Dalle nostre parti si tende invece a dimenticarlo, e ci si trova divisi fra consumatori ignoranti e contenti di esserlo da una parte, e dall’altra una sparuta minoranza di fanatici – compreso il sottoscritto – che trattano l’extravergine come una delizia da degustazione più che come un ingrediente-condimento.

Tutti i congressisiti hanno avuto modo di testare a pranzo, nella Historic Barrel Room, quanto presentato nel teatrino la mattinata. Poco importa se la spettacolare schiuma prodotta dall’ateniese Christoforos Peskias (definita un "cous-cous di extravergine" per il suo aspetto di minipalline di grasso coagulate dall’evaporazione di azoto liquido), servita su passata di pomodoro, fosse poi deludente quanto a flavor…Forse era preferibile, come il medesimo chef ci ha fatto vedere, un semplicissimo purè di patate mantecato con un olio come lo intendiamo noi. L’importante è comunque che i cuochi, così come i giornalisti o i food writers, i gestori di gastronomie e alla fine anche i singles paninari, si mettano in testa che l’esaltazione dell’extravergine di alta qualità passa inevitabilmente attraverso il suo l’utilizzo culinario.

Le conclusioni? Verranno forse a Firenze l’ 11, 12 e 13 maggio del prossimo anno, quando sarà la volta della terza edizione di questo congresso. Assisteremo a un definitivo salto "beyond"?

 

per la traduzione i titoli originali delle relazioni menzionate erano:
– Olive Oil Processing and Phytonutrients: Optimizing Production for Health
– Shaping Quality in Extra Virgin Olive Oil Production: Insights from the Frontiers of Research
– Rethinking the Language and Marketing of Extra Virgin Olive Oil

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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