Old Vine Conference: e se il vecchio fosse il vero nuovo?5 min read

Unendo piacere a dovere, ho partecipato varie volte agli incontri organizzati in Italia e all’estero dalla “Old Vine Conference” un’associazione senza scopi di lucro che si prefigge di salvaguardare, promuovere e sostenere il lavoro di cantine in tutto il mondo che abbiano continuato a coltivare vecchi vigneti (non meno di 35 anni) dai quali produrre vini di qualità (https://www.oldvines.org/ ). Ne ho parlato anche qui a seguito della mega degustazione da loro organizzata a Londra.

Stavolta l’incontro si è svolto il 9 ottobre in Toscana presso la Tenuta Setteponti di Arezzo: durante la giornata si sono susseguiti tanti assaggi di vini italiani da vecchie vigne, dal Piemonte alla Sicilia, prodotti da aziende di altissimo livello, presentati con la consueta piacevolezza e professionalità da Gabriele Gorelli primo MW italiano.

Non voglio però soffermarmi sugli assaggi che, dato il livello delle aziende presenti non potevano che essere piacevoli, oltre che rappresentare delle scoperte vere e proprie grazie alla presenza di vecchie annate. Piuttosto mi interessa approfondire la relazione di Leo Austin che ha aperto la giornata. Essendo stato per qualche decennio responsabile marketing Asia di varie aziende, la sua relazione ha avuto come obiettivo quello di dare ai produttori italiani presenti, le basi del marketing per l’associazione stessa e per la promozione dei vini da vigne vecchie.  

Fondata nel 2021 Old Vine Conference ha oggi 250 membri sparsi su 21 paesi con una struttura organizzata in Italia e in UK mentre in USA e Cina è in fase di sviluppo. Attualmente il numero di vigneti associati è pari a 4.000 e sperano di arrivare rapidamente a 10.000

In sostanza sono tre i cardini che Austin ha proposto per la comunicazione:

  1. “Qualità” supportata da studi scientifici
  2. “Chiarezza nella comunicazione al consumatore”. Per i singoli produttori il costo per comunicare costi di produzione, valore della loro produzione e identità del territorio che questi prodotti mostrano, sarebbe troppo alto mentre tramite OVC la cosa diventa, a suo parere, fattibile.
  3.  “Sicurezza per il futuro del settore”. A suo parere questo tipo di comunicazione in pochi anni (cinque per l’esattezza) porterà i consumatori a capire l’importanza del progetto, a comprendere perché questi vini hanno un costo superiore ad altri e addirittura a chiedere esplicitamente questa tipologia di vini.

Ad essere sincera temo che non sia così facile a meno che la OVC non riesca a mettere in campo ingenti investimenti promozionali che però i produttori da soli non penso possano mettere in campo. È di sicuro vero che la definizione “Old Vine Wines” è sicuramente molto evocativa e funziona, Ma qui non si vuole e non si può trattare solo di marketing.

Secondo Austin infatti esiste nel mondo un movimento globale in grande espansione di “viticoltura rigenerativa” che può essere applicato a questi vigneti. Questo non è l’articolo per approfondire il concetto di viticoltura rigenerativa, che personalmente trovo essere una modalità fantastica ma anche un po’ fantasiosa di affrontare la questione della gestione agronomica del vigneto, specie se si parla di vigneti giovani in piena produzione.

I suoli di queste vecchie vigne hanno una microbiologia particolare, così come le singole piante hanno caratteristiche microbiologiche diverse dai vigneti giovani. E più vecchi sono e più si caratterizzano per diversità e ricchezza. Inoltre il patrimonio genetico (in modo speciale per i vigneti di oltre 50 anni perché 35 mi sembra un numero di anni davvero troppo basso per definirli “vecchi vigneti”), è particolare e vale la pena studiarlo e propagarlo nei nuovi impianti. In più c’è una capacità unica di resilienza verso il cambiamento climatico, non solo grazie alla profondità delle radici ma anche nel risposta alle malattie fungine. Il fatto che, date le loro posizioni difficili, questi vigneti spesso non si possano lavorare con le macchine e inoltre richiedano meno trattamenti, forse innesca un circolo virtuoso.  Questo potrebbe portare a rendere fattivo il concetto di “viticoltura rigenerativa”.

Credo però che, se si eccettuano le vecchie vigne, nei vigneti giovani in questo momento si può farla solo se non è richiesto, non dico un attivo di bilancio, ma nemmeno un pareggio. Si deve prima riuscire ad aumentare sensibilmente i prezzi dei vini che provengono da vigneti che hanno produzioni tanto scarse e costi di lavorazione altissimi.

Per tornare a Austin quattro sono, secondo lui, le cose da fare sul piano marketing:

  1. Creare fiducia tra i produttori intorno all’opportunità di fare questa scelta.
  2. Supportare il trade che è interessato a vendere questa tipologia di prodotti.
  3. Fare azioni di marketing nei negozi che vendono “Old Vine Wines”.
  4. Creare una vera e propria categoria di prodotti per distinguerla dagli altri così come in USA hanno già fatto e in Cina stanno iniziando a fare, proponendo ai consumatori agiati di diventare proprietari di queste viti per renderli fieri di collaborare alla promozione di questo progetto.

Sono molto d’accordo su questi quattro punti, ma come detto ho qualche perplessità sulla possibilità di trovare finanziamenti sufficienti per affermare sul mercato gli Old Vine Wines.

Però l’unione fa la forza e se un modo c’è mi pare che l’associazione abbia le capacità per trovarlo e metterlo in atto.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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