Naturale versus industriale: ora basta!4 min read

Ci sono alcuni termini che mi fanno incazzare di brutto, sono quelli che non si sa bene cosa vogliono dire (per  esempio tante parole inglesi usate per indicare cose altresì facilmente identificabili) e proprio per questo vengono usati in continuazione. Nella fattispecie mi riferisco alle parole “naturale” e “industriale” affiancate al vino: queste dovrebbero identificare precisamente due metodi di approccio alla produzione mentre creano soltanto confusione.

Negli ultimi giorni e non solo sono tornate di moda le prese di posizione sul vino “naturale”. La differenza rispetto al recente passato è che questa non ben definita categoria viene indicata come il futuro a cui tutti dovranno tendere. Ma tendere a cosa?? Cosa vuol dire “naturale”?

1.    Naturale vuol dire lasciare le uve allo stato di natura quindi attaccate alla pianta?
2.    Naturale vuol dire raccogliere le uve e vinificarle senza assolutamente nessun ausilio esterno e avere come  risultato spesso un ottimo aceto?
3.    Naturale vuol dire coltivare la vigna senza alcun ausilio esterno di natura chimica o semplicemente organica che possa in qualche maniera creare danni al terreno ? (In questo caso, per inciso,  i vini biologici non sono naturali)
4.    Naturale vuol dire quanto scritto sopra più seguire gli stessi precetti in cantina, quindi zero solforosa e zero compagnia cantante?
5.    Naturale è un vino che non fa male quando lo bevi, quindi che non ha sostanze tossiche al suo interno? Ma l’alcol non è una sostanza tossica?
6.    Naturale vuol dire cercare di produrre buone uve utilizzando il meno possibile gli ausili fisico-chimici permessi nella produzione delle uve e del vino?
7.    Naturale è un vino rispettoso del territorio?
8.    Naturale vuol dire che non è un vino industriale, ma allora che cos’è un vino industriale?

Vediamo quindi di definire il vino industriale

1.    Industriale è un vino prodotto da una cantina che non è un’azienda agricola?
2.    Industriale è un vino prodotto da chiunque (azienda agricola, società varie, coltivatore diretto etc) ma con l’ausilio dei prodotti ammessi dalla legge?
3.    Industriale è un vino da agricoltura biologica ma vinificato non rispettando la nuova normativa sui biologici?
4.    Industriale è un vino prodotto da una grossa ( o anche piccola) cantina con uve da agricoltura biologica e vinificato rispettando i parametri della nuova legge sul biologico che sono talmente ampi da permettere quasi tutto?
5.    Industriale è un vino che viaggia in cisterne (legalmente s’ intende) e quindi per evitare rischi deve essere almeno solfitato?
6.    Industriale è un vino prodotto in grandi quantitativi?

Potremmo continuare per ore ma credo che il concetto sia chiaro. In realtà L’unica cosa chiara è che non essendo davanti a concetti condivisi da tutti la cosa migliore sarebbe non usare questi due termini, soprattutto perché troppo spesso il primo assume connotazioni angeliche ed il secondo demoniache.

Sono stra-d’accordo che meno prodotti si utilizzano in vigna ed in cantina e meglio è per tutti noi, (parlo di tutti noi esseri umani, non solo bevitori) ma non mi sembra giusto demonizzare il 99% dei produttori mondiali di vino perché seguono semplicemente la legge (molto permissiva MA LEGGE!) Inoltre demonizzare l’universo mondo vuol dire semplicemente due cose per chi si riconosce nel “naturale”: da una parte autoghettizzarsi e dall’altra diventare moda fumosa, difficilmente definibile e quindi utilizzabile dai furbi sempre pronti a cavalcare le onde.

Già ci sono segnali inquietanti in questo senso: non ci scordiamo che con la nuova normativa europea rientrare nei parametri del biologico è la cosa più semplice del mondo, specie per cantine tecnicamente avanzate.  Potrebbe essere anche un bene per il settore l’ingresso di grossi nomi  ma sicuramente se questo accadrà tanti piccoli biologici inizieranno a dire che sono (magari giustamente) più biologici di altri e il rischio di creare ancora più confusione è dietro l’angolo. E questo con un termine come “biologico” a cui risponde una normativa precisa, figuriamoci usando termini

Insomma: il modo del vino ha adesso più che mai bisogno di chiarezza e usare ad ogni piè sospinto termini come naturale e  industriale (per non parlare di “vero”) portano soltanto maggiore confusione: evitiamoli.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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