Monterosola, piccoli produttori crescono4 min read

Per creare un’azienda vinicola dal nulla, investendo in un territorio non propriamente votato al vino (dato che non si trova all’interno di denominazioni garantite e/o controllate o comunque di produzioni blasonate) serve prima di tutto coraggio, poi tanta passione, fiducia in sé stessi e, sicuramente, innamorarsi di quel territorio e credere nelle sue potenzialità. Un bravo enologo poi farà il resto.

E’ il caso di Monterosola Winery, la cui cantina innovativa è stata recentemente presentata alla stampa sotto l’attenta supervisione di Carlo Zucchetti. Ci troviamo nel comune di Volterra, a pochi chilometri dal confine con San Gimignano. Il paesaggio è bellissimo, circa 450 metri di altitudine e ai meno giovani e appassionati del Banco del Mutuo Soccorso verrà in mente “Da qui messere si domina la valle”: due valli per la precisione, quella dell’Era e quella del Cecina.

Tutto ciò grazie ai coniugi svedesi Bengt ed Ewa Thomaeus. Per loro Monterosola è stato un colpo di fulmine, un amore immediato che li ha portati a lasciare la Svezia per Volterra e dove dal 2013 hanno iniziato a fare il loro vino.

Una lettura attenta del territorio e dei suoi caratteri pedoclimatici ha guidato la scelta dei vitigni. Nei nuovi impianti si è deciso di dare più spazio a vitigni storici come il sangiovese, il grechetto e più recentemente il vermentino, che prendono posto accanto a quelli cosiddetti migranti: merlot, syrah e cabernet.

Le lavorazioni in vigna seguono il tempo e la delicatezza della manualità: dalla potatura secca, alla gestione della parete fogliare fino alla sfogliatura e al diradamento delle uve e durante l’invaiatura se necessario.

Anche la vendemmia è svolta manualmente con una scelta dei grappoli in vigna e un’accorta selezione degli acini sul tavolo di cernita. La cura e l’attenzione posta alle lavorazioni in vigna costituisce la parte fondamentale del pensiero di Bengt ed Ewa sul vino. La fermentazione è naturalmente svolta dai lieviti presenti sulle uve e viene assecondata da “rimonte e follature” manuali.

La regìa tecnica è di Alberto Antonini, enologo wine maker di indubbia fama internazionale (secondo Decanter è fra i primi cinque migliori al mondo) coadiuvato dall’agronomo e responsabile dell’azienda Michele Senesi. Antonini durante la presentazione ha dispensato alcuni principi che guidano il suo modo di fare vino. Anzitutto meno chimica e più fisica (“è la chimica che ha distrutto le conoscenze dei contadini”), mentre la tecnologia deve aiutare a rispettare le caratteristiche dell’uva e del territorio.

Ecco quindi la nuova cantina, ecosostenibile e soprattutto “ecogravitazionale”, in sostanza senza l’uso di pompe e con l’uva che arriva nel locale di diraspatura e da lì la messa nei tini avviene per caduta attraverso una tubazione flessibile in acciaio. I tini sono in cemento non vetrificato in quanto – sottolinea Antonini – “E’ un ambiente più naturale dell’acciaio: non c’è vita nell’acciaio, negli ambienti sterili ci si va quando si è malati”. La forma dei tini, rotondeggianti in basso che vanno a stringere verso l’alto, favorisce la movimentazione del vino.

Alberto raccomanda inoltre particolare attenzione all’uso del legno in quanto fattore di omologazione del vino e che rischia di far perdere le caratteristiche del territorio. Ogni vino deve avere la sua personalità, evitando le facili categorizzazioni (naturale, orange…) e nella discussione aleggiava in proposito anche qualche dubbio sul ruolo degli influencer.

La degustazione che ne è seguita ha riguardato le annate 2016 (annata non facile, con notevoli sbalzi termici), 2015 e 2013 di tre vini della gamma Monterosola:

Il Crescendo, sangiovese in purezza con 15-18 mesi di barrique, ha ben impressionato nell’annata 2015 per i profumi di fragola e melagrana: balsamico, tannini sicuramente più delicati del fratello minore (2016), e vino più vivace del fratello maggiore (2013).

Del Canto della civetta, 100% Merlot, pregevoli soprattutto 2016 e 2015, annate caratterizzate da evidenti note balsamiche liquirizia in prevalenza, evidenziando un corretto uso del legno (15  mesi di barrique) mentre si presenta leggermente scarico il 2013.

L’Indomito, 75% Syrah e 25% Cabernet Sauvignon (il 2015 100% Syrah) con 18 mesi di barrique, evoca i Supertuscan (come l’altro vino della gamma, il Corpo Notte, Sangiovese e Cabernet Sauvignon), e si fa apprezzare per l’eleganza e l’intensità generale del vino e più in particolare per le giuste speziature e la frutta rossa.

Sono produzioni limitate, il Crescendo raggiunge il massimo con 3.000 bottiglie/anno, gli altri si attestano su 1.200-1.500 bottiglie; una nicchia che però ha grandi possibilità di espansione, si pensi che l’azienda si estende su 125 ettari di cui solo 25 vitati e la nuova cantina è un chiaro segnale di volontà di crescita.

Fabrizio Calastri

Nomen omen: mi occupo di vino per rispetto delle tradizioni di famiglia. La calastra è infatti la trave di sostegno per la fila delle botti o anche il tavolone che si mette sopra la vinaccia nel torchio o nella pressa e su cui preme la vite. E per mantener fede al nome che si sono guadagnato i miei antenati, nei miei oltre sessant’anni di vita più di quaranta (salvo qualche intervallo per far respirare il fegato) li ho passati prestando particolare attenzione al mondo del vino e dell’enogastronomia, anche se dal punto di vista professionale mi occupo di tutt’altro. Dopo qualche sodalizio enoico post-adolescenziale, nel 1988 ho dato vita alla Condotta Arcigola Slow Food di Volterra della quale sono stato il fiduciario per circa vent’anni. L’approdo a winesurf è stato assolutamente indolore.


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