MIllésime Bio: chi c’è stato dice che..3 min read

Quest’articolo  nasce a quattro mani, anche se in realtà sarebbe più giusto dire  a “due occhi, e due mani”, dove  il proprietario degli occhi è diverso da quello della mani. Tutto questo per dire che Umberto Valle, caro amico e produttore maremmano di alto livello ha partecipato a Millesime Bio, la manifestazione dedicata a biologici e biodinamici certificati che si svolge ogni anno a Montpellier  e al ritorno mi ha fatto un accurata relazione (da produttore partecipante alla fiera) che ho subito riportato su carta.

 

Partiamo dal dato sicuramente meno positivo per lui e cioè che a fronte di un aumento sensibile degli espositori  non c’è stato lo stesso incremento di visitatori. In particolare sono mancati quasi in toto i visitatori asiatici che invece gli anni scorsi erano numerosissimi. Forse la colpa della diminuzione di visitatori si deve anche a ben sei “fiere off” (cioè aziende che si raggruppano e si presentano al pubblico  negli stessi giorni  in una sede vicina alla fiera) organizzate in contemporanea.

 

A Millesime Bio non esistono stand aziendali: ogni produttore ha il proprio tavolo (al massimo due aziende per tavolo) e la sua postazione dipende esclusivamente dalla data di iscrizione: chi si iscrive per primo trova spazio appena si entra in fiera e avanti così fino agli ultimi che quest’anno erano nel terzo padiglione. Questa suddivisione alla “chi arriva primo meglio alloggia” certamente crea non poca confusione e difficoltà a chi vorrebbe farsi un’idea non dico per denominazione ma almeno nazionale, però questo passa il convento che ha comunque previsto un maggior spazio tra tavolo e tavolo rispetto agli anni passati, migliorando così “la privacy” del rapporto produttore-visitatore.

 

Ma l’organizzazione mette sempre a disposizione dei visitatori uno spazio di degustazione libero dove ogni azienda può presentare i suoi vini. Praticamente una bella fetta di un padiglione è attrezzato con  una lunga serie di tavoli con sopra bottiglie a degustazione libera, dove tutti possono andare, assaggiare con calma moltissimi vini senza avere davanti il produttore e dovere per forza sottostare al suo sguardo molto interessato e poi, se è il caso, segnarsi l’azienda e andare a parlarci. Con questo sistema, che funziona benissimo anche a Vinisud, si riesce a lavorare molto meglio e in molto meno tempo.

 

Ma veniamo alle tendenze: Aumentano i vini a zero solfiti (quanto in realtà è moda e quanto esigenza reale lascio a voi decidere) e oramai da molte parti si usano tappi non solo stelvin ma corona. Solo da noi siamo ancorati, praticamente per legge, al sughero.  Nono solo: tre litri bag-in-box con dentro vini da 10-15 euro al litro sono quasi all’ordine del giorno e questa è sicuramente una tendenza molto interessante, visto che noi italiani siamo  preda della cosiddetta “sindrome del Tavernello” che associa a quel tipo di contenitore (peraltro ottimo e perfettamente sterile) solo vini di fascia bassa.

 

Se dio vuole si alza sempre più anche il livello dei vini presentati: si parli di biologico o di biodinamico i vini con puzze e puzzette sono diminuiti in maniera drastica e questo, oltre ad essere un bene per tutta la categoria, dimostra che certi difetti non erano per forza associati alla filosofia produttiva ma al modo di produrre di tizio  o di caio.

 

In definitiva una fiera interessante che quest’anno non ha riscosso il successo di pubblico che meriterebbe.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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