Memorie di un bevitore di vino ufficialmente anziano (seconda parte)8 min read

Le occasioni per imparare qualcosa di nuovo e utile sul vino allora non erano così facili da reperire. Oggi ce ne sono perfino troppe, ma allora veramente non si sapeva dove sbattere la testa. Si andava un po’ così, per sentito dire o improvvisando.

Andavo spesso in Fiera Agricola a Verona e lì trovavo spunti nuovi, interessanti e anche un po’ bislacchi. Ricordo nell’immenso stand degli USA veniva servito una gigantesca bistecca ai ferri accompagnata da Coca Cola.

Sarà stata la novità ma devo dire a me piacque. Ancora meglio andò in uno stand tedesco dove servivano panini con hamburger, crauti fumanti, senape e ottima birra. Questi mi piacquero ancor di più e cominciai a comprare l’occorrente per farli anche a casa. Piacquero anche a mia moglie e alle bimbe, per cui fu nozione acquisita. Oggi non si fa più.

Ma anche al ristorante cercavo di imparare qualcosa. Stupefacente fu quella volta che ordinai, tutto solo, un risotto con radicchio rosso di Verona. Per il vino ero attratto da un vino con il promettente nome di Amarone. Chiesi al cameriere se poteva andar bene e lui alzò le sopracciglia che io intesi come “perfetto”. Il vino era sorprendentemente buono, il risotto idem, e io mi scolai quasi tutta la bottiglia da solo.

Poi venne il mio primo Vinitaly  e ci fu una svolta per il vino. Ero con il solito mio amico, quello del vino abortito, e programmammo le nostre degustazioni.

Gli dissi: “Andiamo piano e non beviamo dappertutto, sennò a mezzogiorno siamo belli che fatti.” Di sputare il vino nemmeno ci si pensava.

Noi si andava piano, ma quelli ci volevano far bere a tutti i costi! Non provare sembrava una scortesia e così verso le 11 eravamo già un po’ troppo carichi, per cui arrivando allo stand della casa vinicola Kuhn non resistemmo nel vedere delle esagerate e invitanti poltrone.

Sempre per cortesia assaggiamo i loro stupendi e aromatici bianchi e quando con pena ci alzammo da quelle accoglienti poltrone il nostro destinato era segnato.

Andavamo a braccetto non tanto per amicizia quanto per solidarietà. Finchè non ci si presenta davanti una scritta che ci fece sobbalzare: Durello! Ma è una presa in giro o che cosa? Entrammo e un gentile quanto paziente signore si prese la briga di spiegarci cos’era la Durella, che vini venivano fatti e naturalmente farceli assaggiare. Presi un sonoro quanto piacevole schiaffo in faccia da un Durello 1984 metodo classico. Mai assaggiato roba simile, mi aveva conquistato!  Ordinammo subito un po’ di vino e facemmo amicizia con Lino Marcato, uno dei tre fratelli della casa vinicola. Avevano anche altri vini come il Soave, il Cabernet, il Merlot e varie vinificazione della Durella.

Il giorno successivo ripassammo da lui e ci invitò ad uscire con un suo amico produttore di macchine agricole e grande amante del Durello. Così uscimmo con questo che doveva rivelarsi poi come un sacerdote di questo vino. Ci portò in uno stupendo locale su una collina che sembrava essere un santuario del Durello. Ci fu servito in caraffe cilindriche che invitavano a bere come se fosse acqua. Cestaro, questo era il suo nome, ci raccontò che attualmente costruiva macchine agricole, ma aveva alle spalle una gloriosa carriera come trombonista di altissimo livello. Citò diversi strumentisti famosi come il famoso Mario Pezzotta e un incontro con un diavolo di donna di nome Raffaella Carrà, dotata di una personalità e determinazione da far paura.

Finita la cena scendemmo nella sottostante cantina dalle alte volte e con un enorme tavolo, dove stazionavano diversi gruppetti di signori intenti a bere.

Negli anni successivi quel vino che avevo bevuto io, il 1984, cambiò una prima volta con l’aggiunta di un po’ di Chardonnay. A me piaceva meno, ma, come disse Marcato, si vendeva meglio, perché meno violento.

In cammino verso l’anzianità

In quegli anni ero direttore dell’Azienda Agraria Meleta a Roccatederighi, dove si producevano piccioni da carne, pecore e vino.Quello dei piccioni , di cui ho scritto qui, era l’allevamento più grande d’Italia e conquistammo la fama di piccioni più buoni d’Europa, grazie anche alla preferenza che ci avevano accordato i migliori chef d’Italia.

Le pecore di razza massese, quelle nere, capaci di saltare siepi di oltre un metro anche se gravide erano la passione del proprietario: producevano ottimo latte e bellissimi agnelli. Sul vino mi feci dell’esperienza con vigneti che prevedevano Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Chardonnay. Fu li che vidi all’opera Agronomi ed Enologi di talento, mentre conobbi giornalisti di fama come Daniele Cernilli, Stefano Milioni,  Daniel Thomases e infine un certo Carlo Macchi. Mi pare quest’ultimo curioso di sapere come mai avevamo chiamato il vino bianco “Lucertolo”.

Poi altra svolta importante arriva nei primi anni ’90. Slow food si presenta sul territorio con il Gioco del Piacere e da quel momento per me tutto cambia. Il primo a cui partecipai si svolse al Piccolo Hotel Alleluia di  Punta Ala. Allora era fiduciaria Clara Divizia, anche produttrice del Lunaia, un simpatico Bianco di Pitigliano.

Apparecchiatura di gran classe, 5 bicchieri grandi e belli, mai visti così. Venivano serviti 5 vini coperti che accompagnavano la cena. I vini in degustazione erano a base di Pinot Bianco: un segno del destino, visto che è il mio vitigno bianco preferito.

Vini da tutta Italia e uno mi pare pure dall’estero. Fu per me una serata memorabile. E li cominciai a far roteare i calici del vino. Non solo l’ambiente e l’apparecchiatura perfetta, ma anche e soprattutto un gruppo di persone che parlavano e con i quali ci scambiavamo idee sul vino in generale e sull’abbinamento al menu della serata.

In fondo è rimasto quello il modo in cui preferisco gustare il vino. Il vino come compagno nel mangiare.

Casualmente quella sera i risultati della mia votazione combaciarono con quelli del mio vicino a tavola: si trattava di Luciano Lenzi enotecaro a Castiglioni della Pescaia. Con lui ho poi avuto altre piacevoli serate e scambi di idee sul vino.

Lascio Meleta a fine secolo e poco dopo divengo fiduciario Slow Food per Grosseto. E con Slow Food si aprì per me un mondo nuovo, inatteso, sorprendente, fantastico. La partecipazione a seminari alla sede di Bra, in Via della Mendicità Istruita, ma anche all’Agenzia di Pollenzo sede dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, per non parlare della Banca del Vino, e dell’Albergo dell’agenzia con l’annesso ristorante Garden.

E poi gli scritti e le lezioni di Carlo Petrini mi aprono a visioni nuove e sorprendenti  che si sintetizzano nello slogan “Buono, pulito e giusto”

Nella nuova veste di Fiduciario organizzo tutta una serie di Master of Food per “scoprire il gusto di saperne ancora di più: imparare non solo a riconoscere il piacere del cibo e il valore del convivio, ma anche a scegliere il cibo di tutti i giorni”.

Comincio ovviamente con Master del Vino che organizzo più volte e a diversi livelli, con insegnanti validissimi come Stefano Ferrari e Ernesto Gentili. E conosco così tanti di quei vini che da privato cittadino non mi sarebbe bastata una vita per scovarli e rimediarli. Non contento della variegata scelta che ci mandava la sede Slow Food, per ogni corso investo il margine riservato alla Condotta per acquistare qualche bottiglia simbolo, come un Sassicaia o un Brunello, nella convinzione  che per molti sarà poi l’unica volta nella loro vita che berranno questi vini.

La stessa cosa mi succede con il Master dei Formaggi, frequentatissimo,  dove per trovare tutti i formaggi che ci mandava Slow Food di vite forse ce ne volevano almeno due. Anche in questo corso è bello vedere che, come per il vino, vengano ai corsi diversi produttori. Continuo poi con l’olio, la carne, il pesce, le tecniche di cucina, le spezie, la birra e forse qualche altro che ora non ricordo più.

Ma Slow Food ha significato anche il Salone Internazionale del Gusto di Torino, Terra Madre, la Fondazione  Slow Food per la Biodiversità, Slow Fish, Cheese, i Congressi nazionali e internazionali di grande successo. La potenza di Slow Food nel primo decennio del 2000 è notevole ed ogni iniziativa riscuote consensi e accoglienze straordinarie.

Poi per un caso fortunoso, pardon molto fortunato, della vita vengo accettato nel gruppo di Winesurf. Inizialmente per alcuni articoli in cui ricordo momenti enogastronomici e affini della mia vita.

Forse scambiando la mia vita per il pozzo di San Patrizio il Grande Kapo Carlo Macchi mi spilla articoli dietro articoli. Io sto godendo di una insperata quanto gradevole accoglienza: poi, siccome la mia vita è lunga ma non tale sa scambiarmi per un discendente di Matusalemme, i ricordi cominciano a diradarsi fino a azzerarsi quasi.

Si passa quindi a sollecitazioni, punzecchiamenti e raffinate sevizie per vedere di spillare ancora gocce dei miei ricordi. Come per esempio questo articolo qui, che vorrebbe racchiudere in pratica tutta la mia vita!

Con loro sono ammesso anche a incredibili degustazioni. Millanta chilometri lontane dai miei giocatori di carte che nell’osteria di Braccagni mettevano in palio a carte il quartino, bevendo dal mitico cinquino con una classe, una concentrazione ed un piacere che sembrava fossero in visita al paradiso.  Qui le cose sono più tecniche, professionali e con i loro preziosi insegnamenti dopo il bere è molto più consapevole e quindi più di soddisfazione.

A questo proposito mi viene a mente quando, per scherzare, feci una domanda provocatoria alla professoressa di italiano dicendogli: “Ma insomma, in fondo, a che serve questa letteratura?”  La risposta fu “Intanto ti do un 8 per la domanda così intelligente (?!?) e poi ti spiego il perché.”

In estrema sintesi, mi disse, per poter usare molte parole! Cioè se una cosa ti piace puoi dire non solo che bella, ma anche meravigliosa, splendida, gradevole, fantastica,  stupenda, magnifica, incantevole, avvenente, affascinante, attraente, seducente, appariscente, notevole, piacente, deliziosa, leggiadra, armoniosa, equilibrata, armonica… come fanno i miei amici di Winesurf!

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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