La storia di Meleta e dei suoi piccioni:la soluzione finale!7 min read

Pietro amava rispondere così a chi gli chiedeva come mai avesse fatto questo grande investimento in Maremma: “Io vorrei – diceva – che quando un giorno non ci sarò più quelli che passano di qua, vedendo questa realizzazione chiedano: “Ma di chi è questa bella azienda? Chi l’ha realizzata?” E che gli venisse risposto “Del dottor Peter Max Suter!” Questo sarebbe il mio sogno che continua, il sogno della mia vita.” 

“Meleta, il mio sogno” è anche il titolo del cortometraggio che aveva fatto filmare professionalmente da Beat Presser  l’operatore cinematografico  personale di Klaus Kinski. In questo lavoro aveva fatto riprendere tutta l’azienda, divisa nei tre settori in cui l’aveva indirizzata: i piccioni, il vino e le pecore. Questi tre animali erano appunto raffigurati nel logo dell’Azienda Agraria Meleta con una testa di un piccione e quella di un ariete, che sormontavano un grappolo d’uva.

Amava molto questa sua creatura e fece di tutto affinché potesse prosperare e magari consolidarsi sempre di più, in modo da durare nel tempo, anche in sua assenza.

Vista la situazione piuttosto complessa dei suoi affari mi diceva: “Se dovessi mancare ricordati di acquistare in breve tempo un’autonomia finanziaria perché è solo così che i miei eredi e chi per loro ti lasceranno in pace a fare il lavoro a beneficio dell’azienda.”

Era capace di prevedere tante cose il carissimo e meticoloso Pietro, quasi tutte ma non tutte, purtroppo.Dopo una penosa malattia durata un anno se ne partì da noi. Era l’Epifania del 1994.

Come si era a raccomandato mi detti da fare per sviluppare l’attività dell’azienda ed in particolare i piccioni, che erano non solo il fiore all’occhiello dell’azienda ma anche l’unico settore sicuramente redditizio. Si poteva tranquillamente dire che i piccioni finanziavano le altre due attività: il vino e le pecore.

Nel frattempo però Meleta non aveva più un dialogo facile e proficuo con chi curava gli interessi degli eredi. Con un eufemismo possiamo dire che per loro l’azienda rappresentava una “grossa seccatura”. 

La “grossa seccatura” comprendeva anche una ventina di persone che vi lavoravano compreso il sottoscritto, che aveva contribuito non poco allo sviluppo e all’affermarsi dell’azienda.
 
Il mattatoio che avevamo realizzato era all’epoca il più avanzato d’Italia ma quello che veramente era eccezionale erano le professionalità che tutti i dipendenti avevano acquisito nel corso degli anni. Le quasi 8.000 coppie di piccioni venivano seguite con una perizia e preparazione più unica che rara. Specialisti, veterinari, tecnici avicoli, tutto era stato messo in campo per raggiungere questi risultati. Io stesso avevo fatto l’analista per conto della IBM al fine di realizzare un software per il controllo diretto dell’allevamento, fino a quel momento inesistente nelle librerie di tutto il mondo.

Dalla prima all’ultima coppia, dalla deposizione delle uova, alla nascita, alla levata, e poi fino alla morte o al ricambio della coppia di genitori. Tutto veniva seguito costantemente e regolarmente riportato su computer per avere sempre aggiornati i dati necessari alle decisioni da prendere.

Gli incroci fatti sulla base della domanda del mercato e dalle esigenze di allevamento, ci avevano portato ad avere un piccione che poteva tranquillamente poteva chiamarsi “piccione Meleta”. In effetti era una derivazione della razza Hubbel.

Mi piace ricordare le fantastiche donne che lavoravano sia nelle delicate fasi dell’allevamento (per esempio maneggiare i piccoli piccioni appena nati per essere spostati di nido e adottati da altri) sia in determinati settori del mattatoio, dove solo le donne riuscivano ad eseguire efficacemente delicatissime operazioni manuali.

La crisi determinata da chi curava i rapporti con la proprietà si manifestò dopo tre anni dalla morte del dottor Suter.

Di fronte all’eventualità che l’azienda venisse chiusa fu proposta anche la possibilità di far gestire l’azienda ad una cooperativa da farsi tra i dipendenti, che si sarebbero presi l’impegno di rendere autosufficiente l’azienda dal punto di vista finanziario. Anche a costo di sacrifici sui loro salari. Ma la voglia di chiudere fu più forte.

Con un blitz consumato nello spazio di un fine settimana fui licenziato in tronco e senza preavviso. Anche a costo di una onerosa penale che dovettero pagarmi.

Fu subito chiaro che senza direzione l’azienda sarebbe andata poco lontano. Molti si mossero, anche autorità amministrative locali che certo non avevano particolarmente brillato in collaborazione al decollare dell’azienda. Si percepì la tragedia possibile anche per la popolazione del paese: l’eventuale chiusura dell’azienda avrebbe dato una mazzata tremenda all’economia locale, sia per la ventina dei dipendenti che per tutto l’indotto che ruotava intorno all’azienda.

Tutti i tentativi per salvare la situazione andarono in fumo. Vi fu anche l’offerta di altra grande azienda grossetana che si sarebbe fatta carico dell’intera gestione aziendale prendendo in affitto tutta l’azienda. Era un’azienda leader in un settore molto vicino all’allevamento dei piccioni e dava grandi garanzie gestionali, finanziarie ed economiche.
Purtroppo il problema per la proprietà era disfarsi alla svelta dell’allevamento, perchè solo così l’azienda non avrebbe avuto più ragione di esistere. Quindi per assurdo fu proprio l’eccellenza dei piccioni il settore individuato da eliminare al più presto possibile.

E allora chi era rimasto e la cittadinanza tutta, amministrazione comunale compresa, fu spettatore di uno scempio che nemmeno un film dell’assurdo avrebbe potuto prevedere.

Un allevamento con 8.000 coppie di piccioni non è come una fabbrica di bulloni dove non si aprono i cancelli e non si mette in moto i macchinari e dopo si va tutti al mare. Ci sono 16.00o piccoli animali che sono in balia di una furia distruttrice tale da far pensare ad uno sterminio pianificato.

Perché non solo era impossibile vendere tutte le coppie dei riproduttori, ma nemmeno regalarle perché chi le avrebbe prese doveva pur sempre essere attrezzato con un numero tale di adeguate voliere  che spaventava chiunque.
Ci furono dei furbacchioni che capirono l’antifona e si fecero avanti per farsi regalare un po’ di coppie di piccioni, ma erano tutti palliativi: i piccioni erano troppi e ogni settimana nascevano 2.000 nuovi piccioncini……….e le settimane vengono solo ogni sette giorni……

Come per uno sterminio pianificato si arrivò a capire che bisognava per prima cosa disfarsi dei riproduttori, cioè dei genitori. È bene ricordare che coppie in produzione di questo tipo avevano allora un valore di mercato che poteva oscillare dalle 60.ooo alle 80.000 lire.
Attenti adesso! L’idea ecologica e brillante per sterminare i piccioni fu quella di inviare queste coppie allo zoo di Pistoia, dove vennero utilizzate come prede da far catturare alle  aquile per il loro allenamento quotidiano! Come accendersi le sigarette  con fogli da 100.000 lire.
Ma la brillante idea cozzò alla fine con lo stomaco delle aquile che mangiavano si, ma ad una velocità troppo lenta per le necessità dei Terminator.

Ci si avvio allora verso la “soluzione finale”,  studiata e messa in atto come se le truppe russe fossero già arrivate al Gabellino, ultimo bivio prima di Meleta.
Furono pianificate intere macellazioni di riproduttori, cioè piccioni adulti in condizioni di produrre ancora per anni splendidi piccioni e, non trovando migliore soluzione (come per esempio fornirle gratuitamente a qualche istituto), fu chiamata una ditta specializzata e avviati tutti alla cremazione.
Così credo sia previsto nei migliori manuali per la realizzazione della “soluzione finale”.

E tutto questo alla barba del povero Pietro che aveva sognato una cosa ben diversa per Meleta e i suoi magnifici piccioni.

Ecco come può finire miseramente una delle più belle pagine di economia agricola vista in Maremma “E anche più in là”,come diceva il grande Pietro.   

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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