L’uva di casa mia e il Capitano Ultimo5 min read

Appena sposato sono andato di casa in affitto nel blocco dove c’erano anche i Carabinieri: a pianterreno c’era la caserma, al primo piano la casa del maresciallo e pure un piccolo appartamento dove andammo io e mia moglie.

Dopo quasi cinquant’anni scopriamo che abbiamo convissuto porta a porta con Capitano Ultimo! Io mi ricordo bene del Maresciallo Di Caprio, un tipo burbero ma con me assai gentile e disponibile. Mia moglie si ricorda invece bene di sua moglie e dei ragazzi uno dei quali è Sergio che poi diverrà “Capitano Ultimo”.

Con una gita di paesani siamo stati a trovarlo nella sua casa-famiglia che ha nei sobborghi di Roma. Tutto blindato e sempre con il volto coperto.  Appena ci incontrammo facemmo un cerchio, come a proteggerlo, e lui con noi si tirò giù la pezzola con la quale si copre sempre il volto.

Io morivo dalla voglia di dirglielo che avevamo vissuto per un annetto porta a porta. Ma siccome mi conosco  e so che ormai ad ogni minima emozione mi metto a frignare dissi a Laura: te stammi vicino che se m’inceppo parli te al posto mio.

Così lui parlò, ci raccontò di quanti ricordi avesse ancora al paese di Braccagni, dal panaio al fabbro, e un po’ a tutti del paese. Ci disse poi di quando venne alle 5 di mattina, quando era ancora buio, a sposarsi nella chiesa del paese, in completo incognito.

Torero il panaio che lavora proprio davanti alla chiesa disse: “Ma io me ne ricordo, a quell’ora lì siamo a lavoro nel forno e si vide arrivare un fottio di macchine con le luci blu e non ci fecero nemmeno avvicinare.”

Scelsi il momento per il mio intervento ma non appena apro bocca tonfete, mi viene il nodo alla gola. Allora successero contemporaneamente due cose: mia moglie cominciò “Sai Sergio noi abbiamo abitato porta a porta tanti anni fa” e contemporaneamente Sergio, Capitano Ultimo, mi prese a se, mi abbracciò senza dire niente, così che io potessi piangere sulla sua spalla.

Fine della premessa.

Dopo un annetto che stavamo nell’appartamento accanto ai Carabinieri si offrì in paese una bellissima occasione. Il palazzo del Dottor Mario Torelli, allora sede della Farmacia del paese a pianterreno e con appartamento per il farmacista al primo piano, fu messo in vendita. Il prezzo non era indifferente, ma con l’aiuto morale di mio cugino che era navigato negli affari, e con l’aiuto sostanziale di mio suocero e di mio nonno che mi prestarono un bel po’ di soldi, riuscii ad acquistare il palazzo in maniera un po’ rocambolesca. Ma questa è un’altra storia.

Quando ci trasferimmo nel palazzo ci volle del tempo per scoprire tutti i piani, dalla grande cantina fino alla soffitta grande quanto tutta la casa.

Ma c’era dell’altro, c’era un bel po’ di terreno e una costruzione staccata con due stanze a mo’ di garage.

La casa si dimostrò essere di tipo signorile, con accorgimenti e finiture proprie di persone che diciamo non avevano problemi finanziari.

Però la manutenzione lasciava un po’ a desiderare. L’impronta del Dottor Torelli e della sua origine piemontese si rivelò nella cura della cantina – tenuta sana e in terra battuta (!) – e di un piccolo filare di vigna chiaramente tenuto per passione, non certo per fare vino per la casa.

C’era poi tutto intorno al blocco dei garage delle viti che si arrampicavano fino alla terrazza superiore. Dovevano avere diversi anni, forse quanto la casa che era stata costruita nel 1939.

Cominciai a sistemare piano piano le cose come meglio ci piaceva. Al posto del piccolo filare di vecchie viti ci feci aiuole di fiori, in particolare di tulipani. Una cosa splendida! Una trentina di metri che poi si scambiavano nell’anno con altre fioriture.

La cosa che non riuscivo a sopportare erano quelle viti grosse e tortuose che si arrampicavano malamente su per il garage. Mi decisi a tagliarle alla base anche per risanare un po’ i muri. Ma come fanno le viti, l’anno dopo ributtarono tralci che dovetti procedere di nuovo a tagliare. Questa storie si ripeté diversi anni, poi forse per dimenticanza o non so cosa lasciai una di queste viti crescere. E venne su bene e vigorosa.

Un giorno mia moglie mi fa: “Ma hai visto che la vite c’ha l’uva?”  “Come è possibile-faccio io- sarà quell’uva selvatica che rimane piccolina”. “A me pare di no.” mi disse. Infatti al momento opportuno si  formarono dei bei grappoli di uva bianca e pure buona da mangiare!

E io a chiedermi ma come fosse possibile tutto questo. Una vite tagliata e ritagliata anche sotto il colletto che poi cresce e fa l’uva. Chiedo in giro ma nessuno mi riesce a darmi una spiegazione.

Finchè un bel giorno capita al ristorante il Professor Scalabrelli che via via bazzicava qui in Maremma. Sapevo chi era e allora mi feci coraggio e gli raccontai la cosa per cercare di capire. Lui si dimostrò subito interessato e mi disse di fargli vedere la pianta. Vide solo il fusto e le foglie perché non era il momento dell’uva. Disse: “Mi sono fatto un’idea, ma bisognerebbe verificare quando poi c’avrà l’uva”. L’idea che mi sottopose era quella che si trattasse di una vite prefillosserica. Sapendo dell’origine piemontese del Dottor torelli ci stava.

Al momento dell’uva te lo vedo arrivare a casa mia per verificare come stiano le cose. “Senza ombra di dubbio si tratta di una vite ante filossera” sentenziò! Forse mi disse anche qualcos’altro, ma non ricordo. Così che dal quel momento io ogni anni poto la vite, meglio dire taglio per guidarla come meglio mi pare così che l’uva un po’ ce la mangiamo noi e un po’ gli uccellini che trovano di loro gradimento i chicchi.

L’altro giorno mia moglie porta in casa una ciocca d’uva presa al volo e io nel piatto l’assaggio gli faccio una foto.

La mando poi al Kapononno (il direttore Carlo Macchi, n.d.r.) accennandogli la storia e lui mi blocca: “Fermo, non mi dire altro, prendi e scrivi e poi se ne riparla.”

E così ho fatto.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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