L’Orcia. Un interessante vaso d’argilla.2 min read

“Un vaso d’argilla costretto a viaggiare a contatto con molti vasi di ferro”. L’immagine letteraria di Manzoni è quanto di meglio per riassumere l’impressione generale dopo una visita panoramica del territorio della DOC Orcia. Una denominazione costretta a farsi spazio in un panorama enologico “di ferro” come quello toscano, ma che ha dalla sua una campagna mozzafiato, per di più relativamente incontaminata dal flusso turistico delle zone più famose.

Ma passiamo ai vini, figli di un numero di ettari vitati relativamente esiguo, quantomeno in relazione alla vastità di un territorio dalla bellezza incantevole, riconosciuto nel 2004 Patrimonio mondiale dell’Umanità dall’Unesco. Troviamo quindi altitudini che vanno dai 250 ai 600 metri, e terreni dalla composizione molto variabile, dall’argilla al calcare, passando per impasti sabbiosi e tufacei. Il disciplinare dell’Orcia rosso prevede un uvaggio a base di sangiovese per un minimo del 60%, poi “migliorato” dai vitigni ammessi in provincia di Siena. In pratica molte aziende lo tagliano con cabernet sauvignon o merlot, anche se un buon numero di produttori impiega il sangiovese in percentuali molto più elevate se non addirittura in purezza: a tal proposito, è già in discussione una modifica del disciplinare che prevede la tipologia “Orcia Sangiovese”, con un 90% minimo del vitigno. Se a ciò aggiungiamo un utilizzo molto diffuso ma accorto della barrique per l’affinamento, il risultato è una serie di vini spesso generosi ma un po’ discontinui, nei quali non sempre si riesce a trovare una precisa caratterizzazione territoriale.

Il filo rosso della denominazione, ad ogni modo, sembra quello di una impronta gusto-olfattiva fruttata unita ad una bella carnosità.
Ma la relativa gioventù della denominazione, risalente al 2000, e forse anche dei vigneti, sono la causa del percettibile limite di definizione, e forse anche levità, riscontrato qua e là. I rossi dell’Orcia sono vini di buona struttura, che non disdegnano qualche minuto di attesa prima di aprire uno spettro olfattivo non ampio ma invitante e caratteristico di un sangiovese che, al momento, si evidenzia per la sua pronta bevibilità.
Le possibilità di miglioramento in bottiglia sono difficili da valutare, anche se di certo la maggiore età degli impianti e una migliore confidenza con il terroir aiuteranno i produttori ad affinare vini che appaiono oggi come giovani virgulti pieni di energia e muscoli ma con le idee ancora incerte sul futuro che verrà. Depone a favore della DOC la grande laboriosità dei produttori incontrati, consci della difficoltà di emergere in una regione di “giganti” ma, al contempo, motivati a far rete per emergere, valorizzando un territorio prima ancora che i marchi aziendali.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE