L’infanzia infinita di Ampelio Bucci, un libro per imparare a rimanere fanciulli4 min read

Tutti sanno che i bambini li porta la cicogna ma così non è stato per Ampelio Bucci. Lui, secondo il racconto di sua madre, è arrivato su un veliero guidato da un capitano dalla pelle bruciata dal sole e dai denti bianchissimi. Il veliero, attracca a Senigallia in una mattina di sole, pieno di bambini minuscoli, però la mamma di Ampelio lo riconosce subito, gli dà la mano e lo porta con sé.

Inizia così il bellissimo libro autobiografico che Ampelio Bucci, grande produttore marchigiano, ha dedicato alla sua infanzia, passata a cavallo della seconda guerra Mondiale tra Milano, la campagna e il mare delle Marche.

Un’infanzia e un modo di descriverla che mi ha fatto venire in mente il titolo di un libro di Gianni Clerici sul tennis, “Gesti bianchi”. A partire dalla mamma di Ampelio che va a “prenderlo” al porto vestita di lino bianco e azzurro è tutto un susseguirsi di toni tenui e un po’ sognanti, quelli di un bambino che vede avvicinarsi uno dei periodi più tragici dell’Italia attraverso un “rallenty” che non solo fissa per sempre determinate immagini ma gli “consente” di uscire indenne, lui e famiglia, da quel periodo, da bombe che nella notte esplodono a 20 metri da casa, da rastrellamenti tedeschi e passaggi del fronte.

In realtà la prima infanzia di Ampelio e stata, se vogliamo, quasi noiosa. Terzo figlio (ma primo e unico maschio) di un padre che decide di sposarsi e metter su famiglia a 50 anni e di una giovane madre quasi con la metà degli anni del marito, vive i primi anni della sua vita praticamente osservando le vite degli altri, a partire da quelle delle sue sorelle, troppo grandi o troppo piccole per giocare con lui.

Neanche sotto sotto si vergogna di avere un padre che sembra un nonno, con idee granitiche, che veste “all’antica” e non riesce quasi mai a trovare la maniera giusta per comunicare con il figlio, pur amandolo moltissimo.

Senigallia d’estate e Montecarotto con la villa di famiglia negli altri mesi diventano dei luoghi bellissimi ma velati da una soffusa tristezza, però praticamente mai toccati a fondo dalla paura della guerra. La stessa Milano, da cui la famiglia scappa dopo il primo bombardamento, è vista quasi da lontano come un insieme di piccoli quartieri, dove tutti si conoscono e dove solo il negozio di gastronomia e il lattaio sono ben vivi grazie a colori, odori e sapori, seguiti da quello delle valigie, dove ti accoglieva “un bell’odore di cuoio fresco”.

Un’infanzia che in fin dei conti poteva rimanere, pur con una serie di turbe e vergogne giovanili,  infinita e non per niente così viene definita nel titolo.

Ma nel libro c’è molto di più, e soprattutto c’è la conferma di un mio amichevole sospetto: Ampelio, anche a 85 anni non solo è sempre rimasto, nel suo animo, quel bambino, ma è cresciuto cercando di mantenere “quello che diceva Orwell, cioè non abbandonare mai completamente la visione del mondo acquisita nell’infanzia, cioè la capacita di desiderare follemente cose che da grandi non si sognano più”.

E la capacità descrittiva di Ampelio ti permette di sognare, di mettersi al suo posto, di tornare per un attimo bambini e vedere le cose con occhi candidi e aperti allo stupore, ma soprattutto di comprendere che possiamo farlo anche oggi.

L’amore per la vita, i grandi desideri che lo hanno portato a primeggiare nel campo della comunicazione e poi nel vino, nascono nelle lunghe solitarie vogate su un piccolo patino o nell’ammirare la struttura delle scale della sua casa milanese. Anche quando la sua infanzia, attorno ai 10-12 anni, è costretta, incalzata dai bisogni familiari, a cedere il passo ad un forzato e ben gestito “decisionismo agricolo”, Ampelio si riappropria del ruolo di bambino e continua a crescere con il passo lento e “ all’indietro” del saltatore che arretra per avere più rincorsa per il grande balzo.

All’inizio ho pensato ai “Gesti bianchi” di Clerici ma alla fine la mente è andata a un verso della bellissima Canzone dei vecchi amanti di Jacques Brel, “C’è voluto del talento per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti”. Lo stesso talento con cui quel giovane-vecchio amante della vita di Ampelio ha vissuto e sta vivendo la sua.

 

Ampelio Bucci

L’infanzia infinita

Affinità Elettive editore

15 euro

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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