Liberté, fraternité, aligoté: il ritorno10 min read

Come è noto, la filosofia dei  vini di Bordeaux è l’assemblage: due varietà dominanti (il cabernet sauvignon sulle riva sinistra e il merlot su quella destra) più , in percentuale oggi sempre più ridotta nel Médoc, il cabernet franc,  e un’ombra di uno o più vitigni “satellite” (carmenère, malbec e petit verdot). Anche per quanto riguarda i vini bianchi , nelle Graves, nel Sauternais, o nell’Entre-Deux-Mers, sono il sauvignon e il sémillon a dominare, talvolta con il muscadelle come compagno minore.

In Borgogna non c’è spazio che per pinot nero e chardonnay.

In Borgogna, invece, domina il monocépage: il pinot noir, nei vini rossi , e lo chardonnay nei bianchi, hanno fatto piazza pulita di tutte le altre varietà.  Il gamay, principale concorrente “storico” del pinot noir, a seguito dell’ordinanza del 1395 di Philippe l’Hardi, che lo mise al bando,  ha trovato spazio solo nel Sud della Borgogna, nel Mâconnais, dove comunque i rossi sono  in minoranza, e soprattutto nel Beaujolais.

L’altra varietà rossa, il rustico césar, sopravvive  nei Crémants e nei rossi di Irancy (fino a un massimo del 10%), anche se qualche isolato produttore (come Philippe Sorin o la  Cave de la Tourelle ) ne fa una  versione in purezza, oppure  nel vignoble di Flavigny, paesino di 300 anime dell’Auxois, non distante da Alesia, dove Giulio Cesare spezzò le reni ai Galli di Vercingetorige, e oggi famoso più per i suoi anis, che per il suo vino.

Tra le uve a bacca bianca, a parte un’isola di sauvignon (blanc e gris) a St.- Bris-le Vineux, dove ha una propria appellation communale, nel Tonnerrois e nell’Auxerrois, tutte le altre varietà sono state spazzate via dallo chardonnay.

Si salva “un niente” di  pinot beurot, nome locale del  pinot gris  nella regione di Épineuil,  e sopravvivono piccole quantità di pinot blanc  (anche se il Domaine Chandon de Brialles produce orgogliosamente da qualche anno una sua cuvée pinot blanc 100%,”La Vie est belle”).

Altri vitigni  hanno trovato rifugio in altri territori, come la Loira: è il caso del melon (qualche ettaro c’è ancora dalle parti di Vézelay), che ha fatto fortuna nella Région Nantaise, dove è il principale ingrediente dei muscadet, e  del meno noto dannery (chiamato anche damery), che altro non è se non il romorantin , oggi in auge a Cour Cheverny, dove fu importato da Francesco I .

Chardonnay forever?

Lo chardonnay ha quindi fatto il vuoto attorno a sé? No, c’è una varietà che resiste alla strapotenza di questo vitigno ed è l’aligoté, che ha trovato la sua roccaforte a Bouzeron, il  piccolo villaggio gallico che si oppone alle milizie di Cesare nelle storie di Asterix.

In Borgogna ci sono ancora 1.900 ettari coltivati ad Aligoté, 1.610 in produzione” (Bourgogne Aujourd’hui, n. 141): certo molti di meno di quelli che oggi  si trovano nell’Est europeo (quasi 16.000 ha in Moldova, 9.600 in Ucraina, 7.200 in Romania, 1.100 in Bulgaria, 400 in Russia, a quanto riportano Jancis Robinson, Julia Harding e José Vuillamoz nel loro monumentale “Wine Grapes”) ma comunque tanti, e soprattutto spalmati in tutta la Borgogna, dalla Yonne al Mâconnais.

Vituperato e snobbato dagli esperti , che lo considerano, come hanno confermato le indagini genetiche,  una specie di figlio deforme nato dall’unione scandalosa tra il nobile pinot con la plebea uva  gouais blanc, umiliato da Félix Kir, ad accompagnare la crema di  cassis nel popolare cocktail che  ha preso il nome , l’aligoté è amato dai  vignaioli borgognoni come nessun’altra varietà di uva da vino.

Dev’essere così, se anche quelli più famosi, che firmano bottiglie da migliaia di euro l’una, come i De Villaine, la Leroy e Coche-Dury non rinunciano a farne uno. Questione di identità? Certo. L’aligoté, prima della fillossera, contendeva gli spazi in vigna ad armi pari con lo Chardonnay. E a testimoniarlo sono i ceppi che ancora resistono persino nei climats più famosi per i vini bianchi dell’intera Borgogna, come  Corton-Charlemagne e Montrachet.

Si conosceva già nel Medioevo

Nel Medioevo , scrive Auguste Bessey (1912), il vino bianco di Bouzeron, la capitale odierna dell’aligoté borgognone,  era impiegato come vino da messa in tutte le comunità di cui faceva parte l’abbazia di Saint-Marcel-les-Chalon, ma certo veniva anche consumato al di fuori dei riti religiosi,  e Jacky Rigaux ipotizza che il grande teologo Abelardo, ritiratosi dopo la scomunica a Saint-Marcel, dove rimase fino alla sua morte nel 1142, si consolasse proprio col Bouzeron.

E  siccome in Borgogna nessun vino viene preso in considerazione  senza menzioni nella storia passata, va ricordato che di questo piccolo villaggio parla nientedimeno che l’abbé Claude Courtepée nella sua celebre “Description du Duché de Bourgogne “ (1774), dove lo accosta allo Chablis. Un secolo dopo (1894) Victor Vermorel e René Danguy  definivano i bianchi di Bouzeron, a quel tempo venduti allo stesso prezzo di quelli di Pouilly-Fuissé, “vins blancs renommés , bouquet fin” .

Varietà difficile

Certo l’aligoté era già prima della sua caduta una varietà difficile per i contadini: per produrre vini di qualità occorreva che i ceppi raggiungessero almeno 15 anni ed  era fondamentale che le rese restassero molto basse. Difficile a maturare  e incline  al millerandage, era  vulnerabile  alla peronospora e al marciume, favorito dalle grandi foglie che avviluppano i suoi grappoli. Vigoroso, precoce nel germogliamento e nella maturazione  (ma molti dei migliori produttori affermano di vendemmiarlo anche  due-tre settimane dopo lo Chardonnay)  è perciò soggetto alle minacce delle gelate primaverili.

Insomma, sicuramente un disastro dal punto di vista economico  rispetto al più facile  e veloce Chardonnay. Perciò, come molte altre varietà “modestes” (Deyrieux, 2018) quando la fillossera  fece piazza pulita del vigneto borgognone, i viticultori reimpiantarono lo Chardonnay al suo posto.

Un po’ di aligoté venne reintrodotto, ma, come ha detto Alice Feiring (2012),  dalla parte sbagliata della Route Nationale, sui suoli più anonimi in pianura, al posto delle patate, delle carote e delle barbabietole . Ormai il pasticcio era fatto e divenne perciò inevitabile  il  suo destino di   vino senza pretese, confinato al  consumo familiare o per gli amici di bocca buona.

Da allora l’aligoté  fu un’uva da impiegare come complemento  dei  Crémant, non degna di dare vita a una propria AOC, confinata nell’anonimato, da assaggiare come un fossile o da “migliorare” con la crema di cassis.

Poi arrivò Aubert De Villaine

Finché… Finché un mito del vino borgognone, Aubert De Villaine, non si installò con la moglie Pamela nel piccolo villaggio di Bouzeron, al confine della Côte Chalonnaise con la Côte de Beaune, dove aveva acquistato una casa di vigneron con annessi venti ettari e mezzo di vigna , dei quali nove ad Aligoté e gli altri nei terroirs di Rully, Mercurey e nell’ambito della appellation régionale Bourgogne Côte Chalonnaise.

De Villaine comprese subito la vocazione vitivinicola di questo villaggio di 150 abitanti, che un négociant di Beaune, Billerey aveva già cominciato a valorizzare nel XIX secolo. Incoraggiati dall’arrivo dei signori DRC, i sei viticultori di Bouzeron rianimarono il Syndicat Viticole  locale, ormai dormiente, e decisero di avanzare la richiesta di  una Appellation Communale propria, che Julien Chemorin formalizzò con un dossier , presentato all’INAO nel 1974.

Solo il 10 settembre 1997, però, sessant’anni dopo l’istituzione della denominazione generica, Bourgogne Aligoté,  l’AOC Bouzeron venne finalmente alla luce :  senza indicazione di vitigno, dal momento che l’aligoté era  l’unico  ammesso,  e solo due comuni furono inclusi nel riconoscimento, Bouzeron e, per una piccola porzione,  la vicina Chassey-le-Camp.

Questa volta  furono il pinot noir e lo nhardonnay ad essere confinati nelle parti basse dei coteaux, per la produzione di semplici vini a denominazione regionale, Bourgogne Côte Chalonnaise rouge e blanc.

Una piccola AOC

Gli ettari totali dell’AOC in produzione  sono attualmente 52 (su 150 potenziali) e 25 i produttori iscritti, tra i quali naturalmente il Domaine P. et A. De Villaine, oggi condotto dal nipote Pierre De Benoist, richiamato dalle sue vigne di famiglia a Sancerre . Dapprima restio, poi definitivamente convinto , come ha raccontato in una intervista di qualche anno fa alla Revue du Vin de France, dall’assaggio del vino della vendemmia 1999.

Pierre De Benoist

I comuni rientranti nell’AOC sono, come si è detto, Bouzeron e Chassey-le-Camp. I loro vigneti sono, come la maggior parte in Borgogna, entrambi di origine ecclesiastica. Se Bouzeron faceva parte del cartulario di Saint Marcel de Chalon (dall’835!), Chassey-le-Camp era incluso in quello dell’Abbazia di Maizières. Dei 26 climats (tra di  essi nessun premier cru) 25 sono a Bouzeron e uno solo, di appena 0.45 ettari, Les Hauts du Bois, si trova a Chassey.

Le vigne di Bouzeron si distribuiscono ai due lati di un’antica vallata  del Giurassico superiore e medio: da  una parte  sono  esposte ad ovest (orientazione gradita all’aligoté ma anche allo chardonnay) e dall’altra ad est e sud-est, preferite dal pinot noir. Vi si possono perciò produrre ottimi vini non solo da uve aligoté (le sole a poter accedere all’AOC Bouzeron), ma anche  di Chardonnay e Pinot Noir, da cui si producono  Bourgogne Côte Chalonnais blanc e rouge.

Infatti nello stesso climat possono convivere “en complantation”  diverse varietà: Aligoté, Chardonnay, Pinot Noir  ed anche Gamay . Nel climat La Fortune, uno dei più grandi di Bouzeron

( il suo nome va inteso alla lettera, essendo unanimemente considerato uno dei migliori di Bouzeron), la posizione migliore è riservata all’aligoté, a mi-coteau, come dicono i borgognoni,  mentre il pinot noir si trova  nella porzione più calcarea e allo Chardonnay  è riservata la parte più alta, dove predominano le marne. A sud c’è poi un terzo polo, costituito da un ripiano che annuncia le vigne di Rully, la zona più elevata di Bouzeron. Le viti crescono su suoli poco profondi e su pendii  fortemente inclinati, poggianti sulla roccia madre di origine giurassica, a 270-350 metri, un’altitudine alla quale l’aligoté si trova perfettamente, mentre lo chardonnay comincia a soffrire e ad avere difficoltà per arrivare a maturazione.

La parte alta del vigneto poggia su marne bianche dell’Oxfordiano , una miscela sottile di argille e calcari, del tutto simile a quella della collina di Corton, dove nasce il Corton Charlemagne. Paradossalmente, secondo Rigaux,  l’umile Aligoté cresce ora  su uno dei migliori terroir dell’intera Borgogna.

Attenti però!

Non tutti i climats di Bouzeron sono ugualmente adatti a produrre grandi aligoté. L’aligoté si trova di solito sui suoli oxfordiani e nella zona Nord, che guarda verso Chagny, come appunto La Fortune. I  migliori climats, secondo Rigaux,  sono il Clos de l’Ermitage, la Digoine, Les Clous , La Fortune e Clous Aimé: tutti esposti a est. Anche Patrick Essa include tra i migliori  La Fortune e Les Clous, cita inoltre La Tournelle, Peruzots e Corcelles, a est e Cordères e Bayottes  a sud, più in alto, verso Rully.

A permettere  la produzione di vini di qualità , a Bouzeron, non è però soltanto il suolo, ma anche il fatto che ad essere impiegata è una varietà diversa e migliore di aligoté, denominata aligoté doré,  per distinguerla dall’aligoté vert diffuso in tutta la Borgogna, frutto di una selezione clonale volta  a favorire la produttività.

Rintracciato nelle vigne più antiche di Bouzeron (fino a 115 anni di età), soprattutto in quelle esposte a nord, dove la maturazione avviene più lentamente, I’aligoté doré  ha uve più piccole, ricche di zucchero, di un bel colore dorato, ma soprattutto una maggiore complessità aromatica, e ovviamente rese assai inferiori.

Quali sono i migliori?

I  vignerons di Bouzeron sono oggi fortemente impegnati  a conservare l’eredità delle loro vigne e il loro potenziale qualitativo e hanno perciò creato un conservatorio, con annessa nursery, volto a conservare, selezionare e riprodurre  gli aligoté migliori. Conservare la ricchezza genetica delle antiche vigne, divenuta oggi più rara a causa dei reimpianti è diventato infatti  fondamentale.

A partire dagli anni ’60, spiega Jocelyn Dureuil, tecnico delle vigne della Camera dell’Agricoltura della Saône-et-Loire, impegnato a supportare il lavoro dei vignerons, le pratiche di nursery sono  diventate notevolmente più  strutturate e professionali, la percentuale di successo negli innesti è sensibilmente cresciuta, e il numero di piante prodotte a partire da un solo  ceppo è sensibilmente aumentato.

Ma come sono in definitiva i bianchi di Bouzeron? Sono davvero diversi dai migliori Bourgogne Aligoté, prodotti nelle altre zone della Borgogna?

Lo saprete solo leggendo il prossimo articolo.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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