Le mani di Renato Corino3 min read

C’è sempre qualcosa che ti colpisce di più in una persona: di Renato Corino non sono stati i suoi grandi vini, la sua casa e la sua cantina in un posto da sogno, ma le mani.

Per prima cosa perché sono grandi e in una stretta di mano iniziale la tua si perde in una specie di aia fatta mano. Temi di non riaverla più indietro ma un attimo dopo scopri che la stretta di Renato è modulata, vellutata, amichevole: non si approfitta del fatto che potrebbe stritolarti la mano in una di quelle strette maschie e virili, tese a far capire chi è il maschio dominante, perché semplicemente non ne sente il bisogno. La forza delle sue mani serve per altre cose, molto più importanti, come lavorare la vigna e fare il vino, per esempio.

Perché Renato Corino il vino lo fa non solo molto  buono ma a immagine e somiglianza di se stesso e delle sue mani.

Ma lasciamo un attimo le mani di Renato e  vediamo di inquadrare la cosa: sono in visita per la prima volta nella sua cantina e nella sua casa, che ha come panorama più  prossimo Elio Altare e Mauro Veglio,  con la Langa tutta che circonda quest’angolo di paradiso enoico chiamato Arborina.

Detto questo torniamo alle mani e al vino: che vino potrà fare una persona con due mani larghe e sincere come una risata di bambino, potenti come un amore giovanile ma pacate e metodiche come le piogge che servirebbero adesso, non solo in Langa?

Mentre me lo domando Renato mi versa il primo vino, il Dolcetto 2016, e trovo subito una risposta. Quella persona fa vini ampi, concreti, schietti ma fini, amichevoli e degni di fiducia . Il suo dolcetto 2017 è così: “solo” un Dolcetto, ma con una presenza al palato ampia e rassicurante, una persistenza gradevolmente lunga, un’aromaticità naturale, mai spinta all’eccesso ma larga e piacevole. Un gran dolcetto.

La barbera 2017, anch’essa fatta in acciaio, mostra la solita pacata ma decisa ampiezza, innervata da un’acidità precisa, sincera, armonica. Il naso è “da barbera” con quella bella frutta mescolata a note che solo all’apparenza sembrano meno nobili.

Nobilissimo è invece il Barolo 2015 e di stirpe reale è l’Arborina della stessa annata. Qui potrei parlarvi di profumi, struttura, corpo, intrattenendovi in dotte (o pseudo tali) disquisizioni, quando invece, con una foto delle mani di Renato, si capirebbe tutto e molto più in fretta.

Questi due vini rappresentano ognuno una mano, cioè una  concretezza che non ha bisogno di altro. Non sono  due Barolo immediati, neanche austeri e neppure semplicemente complessi. Sono molto di più, ovvero la trasposizione della concreta anima del nebbiolo che, attraverso le mani di Renato, arriva in bottiglia. E quando il nebbiolo è come nel 2015 non servono parole per descriverli.

Lo so, questo è un articolo strano. Sono convinto di NON aver parlato dell’azienda di Renato, di NON aver sproloquiato dei vini, di NON aver delineato la sua filosofia produttiva.

NON volevo farlo, ma solo avvicinarvi incuriosendovi ai vini di Corino  e provare a riproporre un vecchio e saggio detto “Ci  sono alcuni grandi produttori che non solo assomigliano ai loro vini e viceversa, ma che non potrebbero fare che quei vini.”

Sono produttori quasi sempre destinati al successo e qui tornano in campo le mani di Renato, che non sono fatte per cene di gala, quelle dove magari bisogna alzarsi e parlare. Non per niente Renato delega ad altri in famiglia  occasioni  mondane  che tanti aspetterebbero da una vita, semplicemente perché  le sue mani sono come lui e in certi luoghi si sentono fuori luogo.

Ma in vigna e in cantina non sono fuori luogo per niente!

Andate a trovare Renato e stringetegli la mano: in un attimo sarà come se aveste già degustato tutti i suoi vini, l’assaggio sarà poi solo per piacere (grande!) e conferma.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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