L’altro Piemonte: un road movie. Parte prima: verso Nord6 min read

La storia di questo viaggio comincia come certe barzellette : "C’è un inglese, un olandese, un polacco e un italiano …”  , tutti collaboratori a vario titolo di riviste dedicate al vino, guidati da  Paul Balke, olandese innamorato del Piemonte, di un amore assoluto, totale .
Destinazione del viaggio : i vini piemontesi al di fuori di Barolo e Barbaresco. Una parte almeno.
Facendo base a Costigliole d’Asti abbiamo fatto questa 3 giorni e mezzo di visite e degustazioni, molto on the road.

Cominciando dal Biellese, località Cureggio , dove abbiamo incontrato i nebbioli del Nord.
Vini mitologici, di cui avevo cognizione dalle antiche letture del Dalmasso e del Garoglio, ma che non avevo mai conosciuto di persona .
Vengono da lontano : un tempo quelle che oggi sono piccole produzioni erano vini di largo commercio. Come è avvenuto in certe specie animali , hanno avuto un “collo di bottiglia” evolutivo quando si sono ridotti a pochi esemplari. Poi c’ è stata la ripresa, i sopravvissuti hanno ricominciato a crescere.
Per alcuni la ripresa è iniziata da poco: i produttori, gli ettari vitati, i numeri delle bottiglie sono ancora bassi .

In questa zona i suoli derivano da un antico vulcano, precedente alla formazione delle Alpi . In seguito l’ orogenesi alpina ha piegato e fratturato gli strati esponendo formazioni diverse una accanto all’ altra .
I ghiacciai e i torrenti hanno rimescolato  tutto e hanno trasportato altri materiali dal Monte Rosa.
In questi suoli i minerali sovrabbondano mentre l’ humus è molto magro. Il suolo dà a questi vini grande struttura, il clima nordico dà finezza,  anche se le cose stanno cambiando , le temperature aumentano e l’ alcool non si tiene a freno.

Veniamo ai vini e alle (numerose) denominazioni .
Sizzano era presente in un solo esemplare : proponeva una versione leggera del modello.
Anche lo Spanna era solitario: nebbiolo al 100% , fine , asciutto e profumato .
Ma un vino non basta per farsi un’ opinione sulla denominazione . Diventano significativi nel contesto.
Fara e Boca si presentavano con due produttori per ciascuno. Vini dall’ uvaggio simile: non solo nebbiolo , ma anche vespolina  e, se del caso, bonarda o uva rara .
Nel Fara il nebbiolo è al 50 %. I due esemplari avevano stile e obbiettivi abbastanza diversi : uno ( Ca’ de’ Santi ) puntava sulla freschezza e i profumi del vino giovane, l’ altro ( Castaldi ) era un vino di corpo ampio , tannini di lunga durata eppure di grande finezza .
Il Boca si concede più nebbiolo , anche se non dev’essere proprio tutto: fino all’ 85 %.
 
Mi piace la Vespolina, con quel suo nome da mascherina della Commedia Italiana . Ce la presentano anche vinificata in purezza e questo ci aiuta a capirla: vini piacevoli, di buon corpo e colore, non  molto complessi. Il Nebbiolo del Nord ogni tanto è di colore un po’ incerto ( come mai i vitigni che ci piacciono di più hanno tutti il colore un po’ scarico ?) . La Vespolina, se mi è consentito l’ ardire ,sta al Nebbiolo come il Canaiolo sta al Sangiovese .
Fanno bene a tenerla negli uvaggi .

Anche il Lessona ammette la Vespolina , e la storica casa  Sella ( vedi alla voce Quintino ) ne usa un 20% , ottenendo un colore che ha sfumature diverse dal nebbiolo, eppure assai corposo. Ci ha proposto una selezione del 2004 ,  nella quale i robusti tannini avevano acquistato grande armonia .
L’ altro produttore di Lessona ( Clerico) si muove in direzione differente, con 100% di nebbiolo , macerazione prolungata e tanta barrique .
Sella produce anche un Bramaterra , un po’ atipico : tiene la gradazione a 13° , punta sull’eleganza  e, nonostante questo, ha preso i tre bicchieri. Nell’ uvaggio mette 20% di Vespolina e 10% di Croatina , ottenendo un gusto più amarognolo del Nebbiolo . Si chiama “Porfido” e il porfido è il supporto dei Bramaterra .
Ce n’erano altri due, di produttori più piccoli ( Odilio e Cottignano ) , entrambi di gran classe , austeri e profondi .

Ghemme era la denominazione più ampiamente rappresentata nella degustazione , 7 produttori e una varietà di interpretazioni . Il Nebbiolo è ampiamente prevalente, e può raggiungere il 100% , ma c’è la possibilità di un 20% delle altre uve tipiche . I suoli sono molto variabili , non perché l’area sia vasta , ma per la conformazione geologica, che espone , l’ uno accanto all’altro, strati diversi . Si va dal porfido all’ argilla . I vini sono sempre interessanti e alcuni sono autentici fuoriclasse . Cantalupo , ad esempio, ci ha fatto assaggiare tre vini , uno dei quali passato in barrique: credo che l’ intenzione fosse  dimostrare che la barrique non è affatto necessaria  per ottenere vini straordinari .
Torraccia ha presentato un solo Ghemme , ma non c’era bisogno di aggiungere altro : pieno,sapido, lungo eppure fine .

Gattinara è sicuramente la denominazione più conosciuta fuori del Piemonte  e anche la più stutturata : un consorzio con 60 produttori, fra i quali almeno due aziende di notevoli dimensioni .
Erano presenti tre produttori , due aziende importanti ( Antoniolo e Travaglini ) e una di piccola taglia   ( Iaretti ), con 7 vini in totale .
Ai massimi livelli . Compresi i sedicenti vini “base” , che competono alla pari con selezioni e riserve .
Laretti  ne presentava uno solo, un’ interpretazione tradizionale dall’esito eccellente .
Travaglini utilizza bottiglie asimmetriche: citano quelle di 40 anni fa  che erano deformate e abrasive  (venivano spruzzate di sabbia a caldo ). Allora davano un’ immagine deplorevole , oggi hanno un tocco di vintage. Ovviamente , conta quello che c’è dentro . La riserva certamente è il massimo, ma il vino “base” ha una sapidità e un’ampiezza straordinarie : i prezzi non li conosco , ma mi aspetto che il rapporto qualità /prezzo sia imbattibile .
La signora Antoniolo  presiede il consorzio, ha organizzato la degustazione coinvolgendo le altre zone e ha la nostra eterna gratitudine. Anche per i suoi vini , che vorrebbe tenere più basi di gradazione, se solo fosse possibile . Un vino “base” e un cru (san Francesco ) , grandi nel corpo, nell’ ampiezza e la persistenza .  Un altro cru ( Osso di San Grato ) dai tannini indomiti , che voglion vedere l’uomo in faccia ( quando il gioco si fa duro…) . Un quarto cru, che produrrebbe di suo vini più morbidi,  e allora hanno deciso di passarlo in barrique ( così impara ) : ovviamente, qualcosa di completamente diverso .

Ritorneremo, e li assaggeremo tutti ( anche quelli che  non c’erano, voglio dire ) , in degustazione coperta, come è l’ uso di Winesurf . Allora saremo autorizzati a entrare più nei dettagli . Questa volta , per una degustazione palese , mi sono allargato anche troppo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE