La storia di questo viaggio comincia come certe barzellette : "C’è un inglese, un olandese, un polacco e un italiano …” , tutti collaboratori a vario titolo di riviste dedicate al vino, guidati da Paul Balke, olandese innamorato del Piemonte, di un amore assoluto, totale .
Destinazione del viaggio : i vini piemontesi al di fuori di Barolo e Barbaresco. Una parte almeno.
Facendo base a Costigliole d’Asti abbiamo fatto questa 3 giorni e mezzo di visite e degustazioni, molto on the road.
Cominciando dal Biellese, località Cureggio , dove abbiamo incontrato i nebbioli del Nord.
Vini mitologici, di cui avevo cognizione dalle antiche letture del Dalmasso e del Garoglio, ma che non avevo mai conosciuto di persona .
Vengono da lontano : un tempo quelle che oggi sono piccole produzioni erano vini di largo commercio. Come è avvenuto in certe specie animali , hanno avuto un “collo di bottiglia” evolutivo quando si sono ridotti a pochi esemplari. Poi c’ è stata la ripresa, i sopravvissuti hanno ricominciato a crescere.
Per alcuni la ripresa è iniziata da poco: i produttori, gli ettari vitati, i numeri delle bottiglie sono ancora bassi .
In questa zona i suoli derivano da un antico vulcano, precedente alla formazione delle Alpi . In seguito l’ orogenesi alpina ha piegato e fratturato gli strati esponendo formazioni diverse una accanto all’ altra .
I ghiacciai e i torrenti hanno rimescolato tutto e hanno trasportato altri materiali dal Monte Rosa.
In questi suoli i minerali sovrabbondano mentre l’ humus è molto magro. Il suolo dà a questi vini grande struttura, il clima nordico dà finezza, anche se le cose stanno cambiando , le temperature aumentano e l’ alcool non si tiene a freno.
Veniamo ai vini e alle (numerose) denominazioni .
Sizzano era presente in un solo esemplare : proponeva una versione leggera del modello.
Anche lo Spanna era solitario: nebbiolo al 100% , fine , asciutto e profumato .
Ma un vino non basta per farsi un’ opinione sulla denominazione . Diventano significativi nel contesto.
Fara e Boca si presentavano con due produttori per ciascuno. Vini dall’ uvaggio simile: non solo nebbiolo , ma anche vespolina e, se del caso, bonarda o uva rara .
Nel Fara il nebbiolo è al 50 %. I due esemplari avevano stile e obbiettivi abbastanza diversi : uno ( Ca’ de’ Santi ) puntava sulla freschezza e i profumi del vino giovane, l’ altro ( Castaldi ) era un vino di corpo ampio , tannini di lunga durata eppure di grande finezza .
Il Boca si concede più nebbiolo , anche se non dev’essere proprio tutto: fino all’ 85 %.
Mi piace la Vespolina, con quel suo nome da mascherina della Commedia Italiana . Ce la presentano anche vinificata in purezza e questo ci aiuta a capirla: vini piacevoli, di buon corpo e colore, non molto complessi. Il Nebbiolo del Nord ogni tanto è di colore un po’ incerto ( come mai i vitigni che ci piacciono di più hanno tutti il colore un po’ scarico ?) . La Vespolina, se mi è consentito l’ ardire ,sta al Nebbiolo come il Canaiolo sta al Sangiovese .
Fanno bene a tenerla negli uvaggi .
Anche il Lessona ammette la Vespolina , e la storica casa Sella ( vedi alla voce Quintino ) ne usa un 20% , ottenendo un colore che ha sfumature diverse dal nebbiolo, eppure assai corposo. Ci ha proposto una selezione del 2004 , nella quale i robusti tannini avevano acquistato grande armonia .
L’ altro produttore di Lessona ( Clerico) si muove in direzione differente, con 100% di nebbiolo , macerazione prolungata e tanta barrique .
Sella produce anche un Bramaterra , un po’ atipico : tiene la gradazione a 13° , punta sull’eleganza e, nonostante questo, ha preso i tre bicchieri. Nell’ uvaggio mette 20% di Vespolina e 10% di Croatina , ottenendo un gusto più amarognolo del Nebbiolo . Si chiama “Porfido” e il porfido è il supporto dei Bramaterra .
Ce n’erano altri due, di produttori più piccoli ( Odilio e Cottignano ) , entrambi di gran classe , austeri e profondi .
Ghemme era la denominazione più ampiamente rappresentata nella degustazione , 7 produttori e una varietà di interpretazioni . Il Nebbiolo è ampiamente prevalente, e può raggiungere il 100% , ma c’è la possibilità di un 20% delle altre uve tipiche . I suoli sono molto variabili , non perché l’area sia vasta , ma per la conformazione geologica, che espone , l’ uno accanto all’altro, strati diversi . Si va dal porfido all’ argilla . I vini sono sempre interessanti e alcuni sono autentici fuoriclasse . Cantalupo , ad esempio, ci ha fatto assaggiare tre vini , uno dei quali passato in barrique: credo che l’ intenzione fosse dimostrare che la barrique non è affatto necessaria per ottenere vini straordinari .
Torraccia ha presentato un solo Ghemme , ma non c’era bisogno di aggiungere altro : pieno,sapido, lungo eppure fine .
Gattinara è sicuramente la denominazione più conosciuta fuori del Piemonte e anche la più stutturata : un consorzio con 60 produttori, fra i quali almeno due aziende di notevoli dimensioni .
Erano presenti tre produttori , due aziende importanti ( Antoniolo e Travaglini ) e una di piccola taglia ( Iaretti ), con 7 vini in totale .
Ai massimi livelli . Compresi i sedicenti vini “base” , che competono alla pari con selezioni e riserve .
Laretti ne presentava uno solo, un’ interpretazione tradizionale dall’esito eccellente .
Travaglini utilizza bottiglie asimmetriche: citano quelle di 40 anni fa che erano deformate e abrasive (venivano spruzzate di sabbia a caldo ). Allora davano un’ immagine deplorevole , oggi hanno un tocco di vintage. Ovviamente , conta quello che c’è dentro . La riserva certamente è il massimo, ma il vino “base” ha una sapidità e un’ampiezza straordinarie : i prezzi non li conosco , ma mi aspetto che il rapporto qualità /prezzo sia imbattibile .
La signora Antoniolo presiede il consorzio, ha organizzato la degustazione coinvolgendo le altre zone e ha la nostra eterna gratitudine. Anche per i suoi vini , che vorrebbe tenere più basi di gradazione, se solo fosse possibile . Un vino “base” e un cru (san Francesco ) , grandi nel corpo, nell’ ampiezza e la persistenza . Un altro cru ( Osso di San Grato ) dai tannini indomiti , che voglion vedere l’uomo in faccia ( quando il gioco si fa duro…) . Un quarto cru, che produrrebbe di suo vini più morbidi, e allora hanno deciso di passarlo in barrique ( così impara ) : ovviamente, qualcosa di completamente diverso .
Ritorneremo, e li assaggeremo tutti ( anche quelli che non c’erano, voglio dire ) , in degustazione coperta, come è l’ uso di Winesurf . Allora saremo autorizzati a entrare più nei dettagli . Questa volta , per una degustazione palese , mi sono allargato anche troppo.