La sorpresa del Vino della Pace 19893 min read

Il Vino della Pace, prodotto dalla Cantina Produttori di Cormons, nasce nell’omonima località friulana, in un vigneto, denominato appunto “Vigna del mondo” nel quale sono attualmente piantati  ben 885 vitigni diversi provenienti dai cinque continenti, per un totale di 7.231 ceppi.

Complessivamente si tratta di uve a bacca bianca per il 70% mentre la parte restante (30%) sono a bacca rossa. Pertanto accanto a Pinot Grigio, Merlot, Terrano, Syrah, Gamay, Ucelut si trovano Tulilah, Shurrebe, Pedral, Maizy, Marzemino, Xarello e così via. Il vigneto, circa due ettari, viene coltivato secondo i dettami biologici.

Le uve vengano vendemmiate manualmente nello stesso giorno e poi vinificate in bianco. Subiscono la macerazione a freddo e fermentano con i lieviti indigeni ad una temperatura di 16°C-18°C. Al termine il vino sosta per circa 4 mesi in vasche d’acciaio per poi proseguire per altri 8 mesi in grandi botti di rovere dove avviene una parziale malolattica. Dopo l’imbottigliamento il vino rimane per un minimo di due mesi stoccato in bottiglia per un ulteriore affinamento.

Alla prima vendemmia del 1985, parteciparono cinquecento persone, tra i quali 70 ragazzi del Collegio del Mondo Unito di Duino (Ts), in rappresentanza di 60 nazioni, che permisero di produrre le prime 3.120 bottiglie di “Vino della Pace”. Nel 2011, con l’aumentare dei vitigni impiantati, sono stati prodotti 100 magnum e 8.200 bottiglie da 0,750.

L’idea, sin dalla prima annata, è stata di produrre un vino simbolo della concordia universale, capace di raccogliere i sapori delle uve di tutta la Terra. Ogni anno, le etichette delle bottiglie vengono disegnate da tre artisti, italiani e esteri. Non a caso c’è un lungo elenco di pittori, scultori come Enrico Baj, Arnaldo Pomodoro, Zoran Music, Emilio Vedova, Sebastian Matta, Robert Rauschenberg e tanti altri ancora, che adornano come in una galleria d’arte, la cantina. Una confezione da tre bottiglie viene inviata tutti gli anni ad ogni Capo di Stato, civile e religioso, del mondo.

Non solo messaggio di pace ma anche buon vino.

Confesso di essere rimasto proprio stupito. Devo ammettere che questi vini nati da un “guazzabuglio “ dei più disparati vitigni vendemmiati lo stesso giorno e m’immagino con una parte dei quali ancora acerba – pensate a certe uve a bacca rossa molto tardive –  non m’ispirava grande fiducia.

Poi però mi sono dovuto ricredere. Non solo perché le annate assaggiate erano buone come nel caso del 2011 o del 2000 e un po’ meno del 1997 ma soprattutto per uno spettacolare 1989. Un vino bianco di 24 anni e per di più di un’annata mezza balenga- sono tanti quelli che non hanno imbottigliato i vini migliori –  non faceva presagire nulla di speciale. Invece quel bicchiere aveva un fantastico luminoso colore paglierino/dorato e profumi eleganti di erbe aromatiche, molto nette, e in bocca acido/salato perfettamente equilibrato con una lunga persistenza e un finale piacevole. Una bottiglia vecchia quasi un lustro che non dimostra assolutamente la sua età. 

D’altra parte il destino di questi vini simbolici  è quasi sempre di diventare dei polverosi soprammobili o tutt’al più una delle tante bottiglie destinate ad ammuffire in cantina. Insomma vuoi anche perché per anni è stato prodotto in limitate quantità, difficilmente capita di pasteggiare a Vino della Pace. Nel caso qualcuno di voi ne avesse qualcuna delle vecchie annate, se ben conservate, sappiate che possono riservare delle piacevolissime sorprese.   

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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