La prima guida vini? 800 anni fa! Intervista a chi la scrisse (e la cantò)5 min read

Stavo bighellonando distrattamente in libreria in cerca d’ispirazione per gli ultimi regali di Natale quando mi sono trovato davanti ad un banchetto sul quale facevano bella mostra di sé le numerose Guide dei Vini. Sulla targhetta di accompagnamento di una c’era scritto: “34 esima edizione, la Guida più antica d’Italia”. Beh, 34 annetti non sono pochi.

Nulla però rispetto agli  800 anni (avete letto bene, 800!) di quella che fu davvero la prima Guida ai vini d’Europa: un  poemetto di 204 versi dal titolo “Le Dit des Vins de France”, universalmente conosciuto come “La Bataille des Vins”, di tal Henri d’Andeli, trovatore di origini normanne ma trapiantato da tempo a Parigi, scritto nella tipica langue d’oïl un po’ imbastardita in cui si esprimevano gli scrittori della Parigi del XIII secolo.

E mi è tornato in mente quando andai a trovarlo, nel lontano 1224.

Sì, perché io sono uno dei pochissimi cronogiornalisti del mitico “The Past” (non “The Post”, quello dell’impeachment di Nixon), che si spostano in lungo e in largo nel tempo.

Perché? I nostri tempi sono mediocri e anche i suoi protagonisti spesso lo sono e i lettori non disdegnano conoscere i pensieri e le gesta di quelli del passato che-bisogna ammetterlo- avevano un po’ più di spina dorsale e soprattutto di fascino. Certo spostarsi nel passato ha qualche rischio, come quando, volendo andare nella Parigi di fine ‘500 per assistere all’incoronazione di Enrico IV di Navarra (quello di “Parigi val bene una messa”), arrivai per un guasto tecnico nella notte di San Bartolomeo e mi salvai per miracolo da un gruppo di fanatici che mi aveva preso per ugonotto.

Sulla mia macchina del tempo, dunque, mi dirigevo verso la Parigi di otto secoli prima per intervistare Andeli.

Lo trovai nella sua bettola preferita, nel quartiere del Louvre che il re di Francia Filippo II aveva fatto costruire, che sbevazzava in compagnia di alcune donne, anch’esse un po’ su di giri e che, con l’accompagnamento di un musico che suonava la viella (la nonna del violino), declamava  la sua Bataille.

Lui naturalmente la recitava nel francese dell’epoca ma io ve la proporrò  in italiano : “Signori ecco una bella storia, che accadde sulla tavola del buon re di nome Filippo, che volentieri si bagnava la gola con un buon vino bianco” (“Segnor, oiés une grant fable/qui advint jadis sor la table/au bon roi qui ot non Felipe,/ qui volontiers moilloit sa pipe/ do bon vin qui estot do blanc”)

Quando il gruppo mi vide si arrestò di colpo come se avesse avuto di fronte un marziano, e per la verità tale dovevo loro sembrare, apparso quasi dal nulla e  vestito in modo per loro davvero bizzarro. Per un attimo temetti che si ripetesse la storia della notte di San Bartolomeo, ma il fatto che fossero alticci mi aiutò parecchio. Si bevvero senza problemi la storia dell’intellettuale un po’ eccentrico che voleva conoscere il famoso trovatore normanno, e lui, lusingato, in segno d’amicizia, mi offrì una coppa del loro vino.

Ero pronto a tutto: in quel tempo a Parigi si bevevano i vini della regione che, diversamente da oggi, era letteralmente ricoperta di vigne. Sì, perché allora le vigne si piantavano il più possibile vicino alle città che richiedevano sempre più vino, oltre che in prossimità dei monasteri e dei nodi fluviali, che erano la principale rete di trasporti dell’epoca.

Vini bianchi, come voleva la moda dell’epoca, di bassa gradazione alcolica (a stento arrivavano a 7-8 gradi , e perciò ne bevevano a litri), ma soprattutto acidi come limoni. Invece mi arrivò un calice di vino rosso, più caldo e corposo, chiaramente un vino del sud.

“Viene da Toulouse. E’ diventato raro da quando hanno distrutto le vigne di quelle parti durante la crociata contro gli eretici albigesi”. Con orrore mi accorsi di capire a stento quel che diceva il mio ospite. Già la lingua del suo poema era per me ostica, ma, ora che poteva esprimersi più liberamente, senza drappeggi poetici, sembrava ostrogoto.

“Il re, cortese e saggio, inviò subito i suoi messaggeri a cercare i migliori vini del mondo”

(“Li rois qui fu cortois et sages/manda a trestos ses mesages/ c’alaissent le mellor vin querre/qu’il trovaissent en nule terre”)

Eravamo giunti al punto in cui il re inviava i suoi messi a cercare i migliori vini del mondo e sulla tavola del re giungeva una considerevole quantità di campioni diversi, insospettabile ai nostri tempi, ciascuno dei quali col nome di una città. I toponimi citati sono ben 76 e molti di essi  del Nord: “vins françois”, dell’Île de France, provenienti cioè dall’attuale banlieu parigina, territori dove l’uva da vino è scomparsa da secoli .

Questa abbondanza di vini del freddo e umidissimo Nord non deve sorprendere troppo, perché in passato, e specialmente nel Duecento, fino all’irruzione della piccola glaciazione del XIV secolo, il clima  in Europa  era ben più caldo di quello dei secoli seguenti, protrattosi  fino al ‘900: la famosa “medieval climatic anomaly”, o più prosaicamente “caldo medievale”.

Tra il 900 e il 1250 infatti la temperatura aumentò rapidamente da 1 a 1 grado e mezzo, poi, a partire dall’XI° secolo, il clima divenne sempre più caldo e moderatamente piovoso. Le conseguenze di ciò furono prodigiose, perché finirono le grandi carestie che avevano segnato i secoli precedenti e si verificò una vera e propria esplosione della produzione agricola, che toccò naturalmente anche il vino. E’ comunque interessante che già a quel tempo il vino, diversamente da ogni altro prodotto agricolo, cominciasse ad essere denominato in base alla sua provenienza geografica, il che indicava un suo embrionale radicamento in un dato territorio e una sia pur approssimativa distinzione qualitativa.

La seconda parte di questa intervista impossibile uscirà lunedì prossimo, 10 gennaio.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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