La Dolce Vita del Granocchiaio4 min read

Nei favolosi anni 60 a Roma, tutto era favoloso, anche la cronaca nera. Verso la fine del 1958 irrompe sulla cronaca nera d’Italia il “delitto di via Monaci”. In quella via di Roma, una tranquilla strada nei pressi di piazza Bologna, viene uccisa Maria Martirano moglie dell’Ingegnere Giovanni Fenaroli.

Gli imputati, poi condannati, sono Raoul Ghiani (l’esecutore materiale del delitto) e Giovanni Fenaroli, marito e mandante. Questi nomi restano in prima pagina per diversi anni nei vari gradi dei processi: “il delitto di Via Monaci” o “delitto Martirano”, “Ghiani e Fenaroli”, ma poi anche Carlo Sacchi (ragioniere della ditta) e Carlo Inzolia “il terzo uomo”. Alla ribalta sale anche l’insigne giurista Francesco Carnelutti, avvocato di Fenaroli, che si fece così conoscere dal grande pubblico. Io lo ricordavo per avere studiato su di un Codice Civile da lui commentato.

Tutto si trasformò in un vero e proprio giallo e ai giornali si affiancò la televisione da pochi anni in funzione, ma già prepotentemente in prima fila a far vedere e raccontare le cose. Fu la televisione e fare da enorme cassa di risonanza, mentre i giornali ci hanno sguazzato per anni. Con strascichi fino agli anni ’90.

All’inizio degli anni ’60 mi trovavo felicemente impegnato su diversi fronti. Avevo frequentato un biennio in una scuola privata, il Wunderle, per prepararmi all’esame integrativo necessario per accedere a Ragioneria. Avevo frequentato l’avviamento commerciale e a quel tempo si poteva accedere a ragioneria solo avendo frequentato le medie. L’esame integrativo era una cosa bestiale: dovevo portare, e portai, il programma completo delle medie e quello di prima e seconda ragioneria. Qualcosa come 32 materie di esame. La trentatreesima la scoprii durante l’esame stesso leggendo in bacheca il calendario delle prove di esame che stavo sostenendo. Una preparazione che richiese tecniche tutte particolari. Il Wunderle era si una scuola privata, ma, come diceva il mi babbo, significava solo che dovevo studiare di più perché lui stava pagando fior di guadrini.  

Per prima cosa mi trasferii a Grosseto dalla  zia Wanda, quella che cucinava con lo stesso stile della mi’  mamma. Era molto buona e comprensiva e accettava i miei orari a dir poco fantasiosi. Si, perché assieme ad altri due ragazzi studiavamo spesso di notte. Contemporaneamente con altri fondammo il primo Judo club di Grosseto, e quindi ci furono orari ancora più strani per mangiare. Non bastasse nello stesso periodo presi in mano per la prima volta una chitarra e con il mio amico, il Momo, imparammo da autodidatti a suonare. Formammo un gruppo – allora si chiamavano “complessi” –   con una formazione che allora era la più rivoluzionaria che si potesse immaginare: fummo i primi in tutta la provincia di Grosseto a suonare con due chitarre elettriche, un basso elettrico e la batteria. Debuttammo quando esplosero i Beatles, ma i nostri “padri spirituali” furono “The Shadows”.

Nonostante tutto questo partii per Roma per fare questo fantomatico esame integrativo da 32 materie (+1) con una certa dose di ottimismo. Avevo studiato, ma pensavo pure che sarebbe stato impossibile essere realmente interrogato su tutte e 32 le materi, e poi magari su ogni materia mi avrebbero chiesto qualcosina, ma mica tutto il programma.

La cosa era ovviamente organizzata dal Wunderle che si appoggiava a Roma all’Istituto Manieri,  anche questo un Istituto privato che aveva però il riconoscimento statale. Quindi i suoi esami erano validi per entrare in una scuola pubblica.
Anche la scelta della pensione dove dormire e mangiare in quei giorni fu fatta – dietro pagamento – dai due istituti. Questo mi faceva pensare che avrebbero fatto la cresta anche li, e pensavo giusto.

In effetti io fui mandato in un palazzo dove al quarto piano – senza ascensore – abitava una signora che appunto teneva a pensione qualche persona.

La signora era vedova e le grandi foto alle pareti testimoniavano il ricordo per il marito che aveva tutto l’aspetto di un funzionario. Tipo uno del Catasto, o qualcosa del genere.

Lei era abbastanza anziana, un po’ grossa di corporatura, ma gentilissima e molto sensibile. Mi chiese subito cosa preferissi per mangiare, perché voleva farmi le cose che poi mi sarebbero piaciute. Ma capii dalle proposte che mi faceva che badava giustamente anche al suo borsellino. Mi piacque subito la signora e gli dissi di non preoccuparsi, io mi accontentavo di poco. E gli dissi, tanto così per dire, che a me piacevano le patate fritte, le uova affrittellate e il vino buono. Lei mi propose anche altre cose e io gli dissi di fare quello che voleva.

La prima volta che mi misi alla sua tavola in quella che sicuramente era la stanza più importante della casa, la “sala” insomma, trovai apparecchiata con una tovaglia pulita, e tutto il resto, piatti, posate e quant’altro, modesti ma ben curati e presentati. Insomma c’era tanto cuore in quello che stava faceva.

Ma il bello doveva ancora venire.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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