La Bussola in Versilia, la storia dello Spettacolo, con la “S” maiuscola5 min read

Forse uno dei pochi appigli per farlo passare come un articolo che parla di vino sono i bigliettini che trovate qui sotto, con stampati i prezzi delle consumazioni e dove una bottiglia di Champagne nel 1964 andava dalle 18.000 alle 20.000 delle vecchie lire (tra i 220 e i 250 euro di adesso) uno spumante italiano costava parecchio meno.

In realtà c’è ben poco che riguarda il vino nella mostra che a Palazzo Mediceo di Serravezza parla della storia de La Bussola, forse il locale notturno, dalla fine degli anni ’50 fino quasi al 1980, più famoso d’Italia.

Capisco che il termine “locale notturno” sia ormai desueto, sostituito da una marea di termini anglofoni e da tipologie disparate di luoghi di intrattenimento, però molto lontani da quel signorile “locale notturno” che era appunto la Bussola dove, in anni in cui i bambini andavano a letto prima delle 21 e le fidanzatine rientravano il sabato a casa al massimo alle 22, lo spettacolo principale iniziava sempre abbondantemente dopo la mezzanotte. Mezzanotte segnava in quegli anni non tanto la sparizione della carrozza di Cenertentola ma la nascita di un’altra Italia, quella che prima provava a tornare a divertirsi dopo la guerra e poi ci riusciva, in maniera più elegante di oggi.

La Bussola la creò il geniale Sergio Bernardini, che seppe non solo portarci i più grandi cantanti, ballerini e artisti del periodo ma diventò amico quasi di tutti, creando rapporti che suggellavano contratti dove di soldi ne giravano pure parecchi. Non per niente per l’inaugurazione del locale Bernardini riuscì a convincere l’allora famosissimo Renato Carosone, complici una stratosferica cena di pesce da Tito al Molo a Viareggio e soprattutto un cachet di ben 160.000 Lire, rispetto alle 90.000 Lire che il cantante e la sua orchestra regolarmente intascavano.

Per me, prima fanciullo e poi adolescente, la Bussola (molti spettacoli venivano trasmessi anche in RAI) rappresentava non solo il mondo degli adulti ma anche un qualcosa di indefinito, un chiaroscuro di sensazioni che, specie fino ai miei 13-14 anni incarnava un territorio che ancora avevo paura di esplorare. Se devo creare l’icona del periodo non ho dubbi: Mina! Alta, bionda, con un minigonna vertiginosa e una voce ancor più vertiginosa.

Crescendo e superando la maggiore età, anche se la Bussola era ancora molto famosa, non mi è mai venuto in mente di andarci, forse proprio perché  volevo mantenere intatta l’immagine fantastica che me ne ero fatto: un po’ come quando rientri in una casa dove hai vissuto da piccolo e quegli spazi ti sembrano molto più piccoli rispetto ai tuoi ricordi.

Ma aldilà dei miei ricordi la Bussola ha rappresentato il luogo italiano dello Spettacolo, con la “S” maiuscola.

Date un’occhiata alle locandine qua sotto e anche se non siete boomer sicuramente troverete nomi conosciuti anche oggi.

La cosa che più impressiona di queste locandine è la successione giornaliera di grandi nomi e quindi l’organizzazione che c’era dietro per poterli gestire assieme alle loro richieste e manie da star. Vi immaginate la settimana di ferragosto del 1967 con Mina, Celentano e Dionne Warwick o luglio 1975 dove Patty Pravo, Fabrizio de Andrè, Baglioni, Cocciante, Ornella Vanoni si esibivano uno dopo l’altro, anche due volte al giorno?

Vabbè che lo Star Sistem ancora non esisteva ma comunque bisognava avere mille occhi e mille attenzioni. Non per niente per un cartellone dove il suo nome era più piccolo di quello di Mina, Rita Pavone si rifiutò di cantare (e Bernardini gli fece causa).

Da attivista boomer, camminando nelle sale del bellissimo Palazzo Mediceo di Serravezza (dove la mostra è allestita fino al 29 settembre), anche ascoltando canzoni di quel periodo straordinariamente attuali e musicalmente coinvolgenti, sono stato felice ma non per me, ma per chi quelle canzoni le ha ascoltate alla Bussola, dal vivo, guardando negli occhi quelli (e non solo) nella foto qua sotto.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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