Io al tempo del vino al metanolo4 min read

Lo scandalo del vino al metanolo mi prese in un momento molto particolare. Dopo aver costruito macchine agricole per una quindicina d’anni mi ero avventurato nel nuovo mestiere di “direttore” di una grande e bella azienda agricola. Dico direttore anziché fattore o agente perché al proprietario, un signore svizzero l’appellativo “fattore” proprio non piaceva. Aveva sentito strane storie su questa carica in paese e mi disse senza esitazione: lei dovrà fare il mio direttore nell’azienda, e non il fattore! Questo accadeva proprio nel 1985, alla vigilia dello scandalo del vino al metanolo.

Fino a quel momento il vino era stato per me un amore che potrei definire naif, nel senso che era stato un avvicinamento del tutto naturale e senza maestri o consiglieri. Anche il modo di bere era piuttosto istintivo come “a occhio o ad orecchio” era la scelta dei vini.
All’epoca in Maremma non è poi che ci fossero molti vini strepitosi. Ci si salvava con il Morellino di Scansano, soprattutto, e altri improbabili bianchi. Negli anni ’60 erano nate le Cantine Sociali, quelle che all’inizio venivano accusate di fare il vino “con le bustine”. Una bella fetta del mercato locale era sempre appannaggio del vino del contadino che dava spesso più dolori che gioie. Quel poco che sapevo in più l’avevo appreso andando per lavoro e fiere in giro per l’Italia e in Francia. Ma sempre cose abbastanza superficiali, casuali, con scelte fatte inseguendo un nome evocativo nelle carte dei ristoranti.

L’unico vino veramente buono che amavo e di cui mi sentivo di parlare e lodare con gli amici era il Chianti. Non tanto quello dei fiaschi, quanto quello delle damigiane che venivano da Lucignano e da Gargonza: era dei Guicciardini per le loro proprietà di Maremma. Quello si che mi piaceva! Me lo ricordo fresco, fragrante, che ti scaldava lo stomaco ed il cuore quando lo mandavi giù. Quello che “sapeva di mammolo” poi………..

Il Dottor Pietro Massimiliano Suter, proprietario dell’azienda che mi aveva chiamato a dirigere (Meleta, n.d.r.), volle produrre anche vino. Lui era un grande esperto e nella sua secolare cantina di Basilea aveva vini in quantità, francesi soprattutto. Aveva fatto apprendistato con il nonno che lo voleva con sé quando scendeva in cantina per scegliere la bottiglia da abbinare al pranzo della domenica. Era un intenditore e anche grande esperto. Fu lui ad insegnarmi molte cose, dalla scelta dei vini per le varie occasioni, al servizio, ai bicchieri e altre mille piccole cose che io scoprivo e apprendevo come scolaro felice. Per i profumi ed il piacere di bere me la cavavo abbastanza bene anche da solo.

Quando veniva dalla Svizzera nella sua azienda in Maremma si concedeva delle belle visite a ristoranti delle nostre parti. Fu così che scoprì la cucina del Gambero Rosso di San Vincenzo e il suo proprietario Fulvio Pierangelini che lui definì alla prima visita “un Papa della cucina”. Ma là c’era anche una cantina molto ben fornita e varia. Con una cantina come la loro, con un insegnate come il mio, non fu difficile iniziare a scoprire il mondo del vino. Fu li che incontrai per la prima volta il mitico Sassicaia, nell’annata strepitosa del 1985. Ma anche tanti altri,  bianchi incantevoli e seducenti che nemmeno immaginavo esistessero.

È vero  quello che si dice sul vino al metanolo. Da quel momento tutto cambiò nel mondo del vino italiano. Pareva che  quel mondo avesse avuto bisogno di vedere il baratro di quello scandalo per far gettare vie le incertezze ai produttori, che da allora presero la cosa in modo completamente diverso. Più seri, più coraggiosi, più professionali.
Comunque nei giorni dello scandalo non si ebbe dalle nostre parti un crollo dei consumi; ognuno beveva come prima. Forse fu più una cosa a livello mediatico e in circuiti commerciali diversi che ci toccavano poco.    

Io per conto mio, dopo le “iniziazioni” di Pietro (il dottor Suter volle ad un certo punto che lo chiamassi così), continuai sulla strade delle piacevoli scoperte di vini e di mangiari diversi. È un mondo talmente vasto e bello che non ti stanchi mai di scoprire.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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