InvecchiatIGP. Barolo Vigna Giachini 1995 Corino: si…può…fare!3 min read

La citazione da Frankenstein Junior era d’obbligo, entriamo nel merito per capirne le ragioni.

Erano gli anni in cui il mondo del Barolo era spaccato in due, da una parte la corrente modernista dei Barolo Boys (e di altri che li hanno poi seguiti), dall’altra la resistenza dei tradizionalisti. Due visioni che allora non sembravano avere alcuno spiraglio d’incontro. E anche dal punto di vista della critica enologica i giudizi erano del tutto eterogenei. Da una parte chi apprezzava le estreme concentrazioni, i colori impenetrabili, la potenza (che erano tutte novità per quei vini a base nebbiolo), dall’altra chi preferiva ritrovare certe espressioni più affini all’immagine di sé che il Barolo aveva tramandato sin dalla sua nascita.

Si dice che la verità sia nel mezzo, ma in questo caso nel mezzo non ci stava quasi nessuno, o eri pro barrique, rotomaceratori, fittezza d’impianto, rese bassissime, macerazioni brevi, o eri pro botti grandi di rovere di Slavonia, macerazioni medio-lunghe, colori scarichi da nebbiolo ecc.

C’è da dire però che almeno fino agli anni ’80 si produceva molta più uva, si concimava anche troppo, le maturazioni erano tardive e le gradazioni piuttosto basse, tant’è che non era rara la pratica dell’arricchimento. La scelta innovativa, quindi, aveva anche le sue ragioni in un contesto con quelle caratteristiche. I cambiamenti climatici, le cui prime avvisaglie potrebbero risalire al 1997, hanno fatto sì che oggi le rese basse e le concentrazioni di sostanze in vigna come in cantina, stiano diventando un serio problema per i vini, le cui gradazioni sono sempre più elevate, le maturità di frutto eccessive e l’acidità più bassa (nei bianchi poi i profumi primari sono sempre più difficili da mantenere).

La lezione, come sempre, arriva dalla natura, non esiste una formula standardizzabile e perenne, bisogna imparare a seguire i ritmi che la natura stessa suggerisce, senza prendere scorciatoie, senza fare improvvisi stravolgimenti in vigna e in cantina, perché i processi devono essere sempre progressivi e misurati, altrimenti si rincorre sempre, con esiti spesso deludenti.

Il Vigna Giachini 1995 (oggi solo Giachini in etichetta), che fu messo in commercio nel 2000, è figlio di un’annata non facilissima, soprattutto perché il 3 e 4 agosto una maledetta grandinata fece non pochi danni nei vigneti. C’è da dire però che le vigne di Giuliano Corino guardano tutte all’Annunziata e, almeno allora, c’era una buona ventilazione e freschezza.

Sono passati, dunque, 28 anni dalla vendemmia, un ottimo modo per testare la tenuta di questo vino e dello stile con cui è stato concepito. Va detto che quando uscì, mise in mostra una condizione difficile, tannini tosti e una trama ancora squilibrata, prevederne gli sviluppi futuri non era certo semplice.

Con enorme gioia, e un certo stupore, ho davanti un vino di un’integrità impressionante, fra l’altro il tappo ha tenuto perfettamente e non ci sono odori né di muffe né di deterioramento del vino.

Il colore è un impressionante granato vivo e compatto, senza cedimenti, mentre il bouquet (lasciato respirare per parecchie decine di minuti) è davvero sorprendente, perché pur non essendo particolarmente intenso, mostra toni per nulla stanchi, devi insistere a lungo per trovare tracce di funghi, goudron, polvere da sparo, scatola di sigari e cuoio, vince ancora un frutto solido, non marmellatoso, addirittura si coglie una punta di arancia rossa, mentre la speziatura è finissima e non vira verso pungenze da chiodo di garofano.

L’assaggio non fa che confermare un vino che, da una parte manifesta la parte terziaria (sarebbe un marziano se non lo facesse), ma dall’altra mostra una freschezza, un tannino perfettamente integrato e un frutto ancora vivo, accenti ben lontani da lasciare immaginare anche lontanamente che abbia 28 anni!

Forse non raggiunge l’eleganza dei grandi Barolo, ma chapeau bas per il risultato e la tenuta, veramente eccezionali. Ah, per i più curiosi, la gradazione è di 13,5, oggi ve la potete scordare!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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