Interviste Covid-19, Enzo Tiezzi: “E pensare che 60 anni fa Montalcino era in pieno medioevo!”11 min read

Torniamo in Toscana per intervistare il giovanissimo ottantenne Enzo Tiezzi, che ci parla della storia di Montalcino degli ultimi 60 anni, dei miracoli di Giulio Gambelli, di zonazione, di Tancredi Biondi Santi, di grandi annate etc.

Winesurf “Buongiorno Enzo, la vigna sta andando bene?”

Enzo Tiezzi  “La vigna sta andando avanti i n maniera normale. Nessuna  gelata , è venuta anche un po’ di pioggia, diciamo che siamo leggermente avanti ma va bene così.”

W. “Dal punto di vista della salute  tutti bene?”

E.T. “Nessun problema , anche se mia figlia, che è medico e lavora in ospedale, è naturalmente un po’ preoccupata e sotto pressione.”

W. “Una domanda che mi sono sempre fatto: gli abitanti di Montalcino si devono chiamare montalcinesi o ilcinesi?”

E.T. “Sarebbe montalcinesi,  ma tra noi di Montalcino si dice anche ilcinesi: entrambi derivano dal toponimo  latino Mons Ilcinus, che vuol dire Monte dei lecci. Ilcinese si riferisce solo alla seconda parola, il termine giusto è montalcinese.”

W. “Tu sei del 1939, quindi alla fine degli anni 50 eri un ventenne.”

E.T. “Ho cominciato a lavorare giovanissimo e quando avevo 14 anni mi appassionai di meccanica, poi frequentai l’Istituto Agrario e nel 1959, quando avevo quasi 20 anni, entrai a lavorare a Poggio alle Mura, che allora  era un’azienda rimasta al medioevo. Pensa che  prima del 1959, con  1600 ettari di estensione aveva un solo trattore, un Landini Testa Calda.”

W. “C’era ancora la mezzadria?”

E.T. “Si, erano tutti mezzadri, però nel giro di pochi anni la mezzadria decadde. Dato che poco dopo la mia assunzione comprarono quindici trattori io avevo il compito di insegnare ai trattoristi ad usare il trattore e a lavorarci.”

W. “Ma da chi venne poi comprata Poggio alle Mura?”

E.T. “Dai Mariani, credo nel 1978, e divenne  Banfi”

W. “Quindi l’azienda che oggi è Banfi negli anni ’60 del secolo scorso era ancora a livello medievale, ma com’era il resto di Montalcino?”

Montalcino adesso.

E.T. “Il territorio di Montalcino era quasi nella stessa situazione di Poggio alle Mura.  Era un paese composto  prevalentemente da boscaioli. I piccoli poderi attorno a Montalcino  venivano venduti  a quattro soldi perché non c’era la possibilità di gestirli. La gente  non aveva certo una mentalità moderna, c’era solo agricoltura e  bosco. Non per niente dal 1950 al 1960 la popolazione del comune si dimezzò: dai circa 12000 abitanti del 1950 nel 1960 erano rimasti poco più di 5000.”

W. “Che agricoltura c’era allora a Montalcino?”

E.T. “Nella parte centrale del comune, nella collina,  c’erano  piccole proprietà che vivevano  con la propria produzione di olio, vino e grano. Avevano naturalmente degli animali e riuscivano a tirare avanti, magari andando a lavorare  a giornata da altre parti. Nella parte esterna  c’erano grandi proprietà fondiarie: Castiglion del Bosco, Casale, Poggio alle Mura, Camigliano. Molte delle terre attorno a Sant’Angelo in Colle, Sant’Angelo Scalo e a Castelnuovo dell’Abate  erano enormi proprietà fondiarie. Lì vivevano i contadini mezzadri  e tutti avevano la loro piccola vigna. Ma era allevata con il  Testucchio (forma di allevamento antichissima dove una o più viti  venivano fatta crescere appoggiate ad un albero, in Toscana di solito era un acero. Questo permetteva di poter utilizzare  il terreno anche  per seminativi, orti o  per far pascolare gli animali  n.d.r.)  e più vino facevano e meglio era perché serviva per  la famiglia. La qualità del vino era scarsa. Però nel cuore del comune, vicino a Montalcino, qualche vino buono si produceva, qualcuno che curava bene delle piccole vigne  c’era.”

W. “Negli anni ’60 e ’70 quante etichette di Brunello c’erano?”

E.T. “Negli anni Settanta si e no una ventina di etichette, mentre negli anni Sessanta c’erano solo Biondi Santi, Cinelli Colombini (Fattoria dei Barbi), Poggio alle Mura dove lavoravo io (e mi ricordo ancora la bontà del 1964!) e poco più. Comunque Poggio alle Mura era diventata in quegli anni anche un punto di riferimento: per esempio avevamo iniziato a convertire la forma d’allevamento usando  il cordone speronato,  tanto che  Tancredi Biondi Santi veniva spesso a vedere cosa facevamo. Tancredi  fu un personaggio fondamentale per Montalcino perché, tra l’altro, negli anni Sessanta, dette un forte stimolo alla creazione della DOC e del Consorzio del Brunello.”

W. “A proposito di quegli anni, pensa che Piero Talenti, arrivato alla metà degli anni ’50 a Montalcino, mi diceva che quando andava a mangiare in osteria a Montalcino il vino che servivano arrivava da Poggibonsi, dal Consorzio Agrario. Quando è iniziato il vero boom di Montalcino?”

E.T. “Nei primi anni ottanta iniziò ad esserci un forte interessamento ma prima il Brunello non era assolutamente conosciuto e considerato. Sono stato nel Consiglio del Consorzio per buona parte degli anni ’70, ma un giornalista in dieci anni non l’ho mai visto. Magari ci sarà stato anche qualche contatto ma, come si dice dalle nostre parti per sottolineare un fatto eccezionale “sembrava un cane giallo!”.  Pensa che ai primi  degli anni ’70 mi ero iscritto ad Agraria a Firenze, quando detti la tesi nel 1977, con davanti 13 professori, sul “Brunello di Montalcino e le sue prospettive future”, tutti saltarono sulla sedia.”

W. “I Professori avranno pensato “Ma questo cosa ci vuole raccontare!”

E.T. “Appunto! Ebbi anche da ridire col preside di facoltà mentre discutevo la tesi: parlai dei quattro anni di affinamento in botte e lui intervenne dicendo “Ma chi ve lo fa fare!” Io risposi semplicemente che lo diceva il disciplinare. Gli altri professori si misero a ridere e lui si alzò e andò via. Comunque già a metà anni ’70 la situazione, piano piano, iniziava a cambiare.  Nel 1973 venni via da Poggio alle Mura e andai a Col d’Orcia, acquistata da Cinzano, dove le cose erano diverse : pensa che nella seconda metà di quel decennio riuscimmo a vendere ben 400.000 bottiglie di Vino Rosso dai  vigneti di Brunello sia in Italia che all’estero.

W. “Vino Rosso dai vigneti di Brunello?”

E.T. “Ti spiego. Quando si ottenne la DOC nel 1966 il disciplinare prevedeva di tenere il vino quattro anni in botte. Ma le cantine, a parte i  3-4 nomi famosi, non le aveva praticamente nessuno. Così per cercare di valorizzare e vendere il vino venne fatto un piccolo consorzio che si chiamava “Vino Rosso dai vigneti di Brunello.”

W. “Dopo quanto poteva entrare in commercio quel vino?”

E.T. “Anche nella primavera successiva dato che  era un vino da tavola. Per parecchi piccoli produttori era importante perché lo vendevano senza aspettare i tempi di invecchiamento del Brunello per cui servivano  non  solo quattro anni ma, come detto,  botti e cantine attrezzate che praticamente non esistevano . Ma nel 1977 la Comunità Europea ci bloccò perché non si poteva etichettare vini con nome o parte di un nome di un’altra denominazione. Da lì partì l’idea del Rosso di Montalcino DOC  che però per molto tempo  non ci vollero dare perché non sapevano come gestire il fatto che da un vigneto si potessero fare due tipi di vino.”

W. “Molto interessante!”

E.T. “Considera anche che dal 1972  avevamo chiesto la DOCG sul Brunello, che non ci veniva concessa perché non sapevano come gestirla praticamente. Pensa che  le prime fascette del Brunello DOCG  le disegnai io e feci stampare anche le bozze per poi consegnarle alla Camera di Commercio. Comunque  quando entrò in vigore la DOCG  del  Brunello di Montalcino  (1984) si riuscì a far approvare anche la DOC sul Rosso di Montalcino.”

W. “Torno un attimo indietro. Tu eri tra quei pochi (meno di 30, di cui 16 coltivatori diretti  n.d.r.)  che verso la metà degli anni ’60 fondarono il Consorzio e crearono il disciplinare per il Brunello di Montalcino DOC . Visto che pochissimi avevano sia la cantina che le botti per l’invecchiamento e non sapevano quindi come e dove maturare il vino , perché metteste ben quattro anni di invecchiamento in legno?”

E.T. “Fu Tancredi Biondi Santi che forzò la mano, perché secondo la sua esperienza il Brunello per maturare bene doveva stare molto tempo in botte  e quindi si arrivò a decidere quattro anni. Tra l’altro quando venne approvato di produrre il Vino Rosso dai Vigneti di Brunello,  Biondi Santi e Cinelli Colombini dettero le dimissioni dal consorzio.”

W. “Veniamo ad oggi. A Montalcino convivono tanti tipi di produttori e  da qualche anno anche diversi imbottigliatori, da questa crisi chi ne uscirà meglio?”

E.T. “Bella domanda. Io penso chiaramente le aziende di una certa potenzialità e grandezza. Noi piccoli siamo conosciuti e apprezzati  ma se continua questa situazione sarà un bel problema.”

W. “Qual è il principale  pregio dei produttori di Brunello di Montalcino?”

E.T. “Anche  se non tutti, almeno la stragrande maggioranza ha capito che per fare un vino buono bisogna lavorare bene nel vigneto e avere rese basse.”

W. “E il difetto principale?”

E.T. “Non saprei che dire perché non vorrei autoaccusarmi (sorride). Però pensandoci bene ci sono stati delle grosse pecche da parte dei produttori quando ci fu lo scandalo del 2008 (chiamato Brunellopoli  n.d.r.). Tra l’altro tutto nasce da una storia che ti racconto velocemente. Quando, nei primi anni ’60,  si scrisse il disciplimìnare della DOC Biondi Santi volle inserire un 10% di uve o di vini che potevano provenire da altre zone. Diversi anni dopo, per richiedere  la DOCG si chiamò,  per un consiglio, il Prof. Garoglio . In quel contesto ci convinse  di togliere quel 10%,  per avere così un vino con solo sangiovese e magari poterlo eventualmente correggere con le altre annate presenti in cantina. Così facemmo.  Quando scoppiò lo scandalo e… successe quello che successe dovetti “chiamare a raccolta” i produttori che sapevo lavoravano in un certo modo  per convincere gli altri a lavorare in maniera corretta. Sembra strano ma quello scandalo servì a far capire ai giornalisti esteri come si doveva fare il vino a Montalcino.  La stragrande maggioranza non sapeva che era fatto di solo sangiovese e spesso premiavano quelli  con cabernet e merlot.”

W. “Indubbiamente quello è stato un momento cruciale per Montalcino e ci sarebbero tante storie da raccontare. A proposito di storie, Giulio Gambelli è stato uno di quelli che ha dato al Brunello una grande mano per crescere. Mi racconti qualcosa su di lui a Montalcino?”

E.T. “Giulio era fenomenale! Lo conobbi che ero  giovanissimo e lo chiamavo sempre dottore. Dalla fine degli anni ‘60 fino almeno al 1975 venne, chiamato dal Consorzio,  a darci una mano (anche in periodi successivi n.d.r.). Due volte all’anno lui girava per le cantine e, se uno voleva, dava dei consigli. Mi capitò una cosa incredibile con lui. Quando entrai a lavorare a Col d’Orcia mi ritrovai con la vendemmia del 1972 che sembrava un rosato. Così dalla Cinzano mi dissero (allora si poteva aggiungere un 10% di vino da altre zone n.d.r.) di aggiungere un vino che desse colore. Mi consigliarono in particolare quello di una determinata cantina in Puglia . Così mi fecero arrivare questa piccola cisterna di vino per aggiungerne un 3% ai 600 quintali prodotti quell’anno. Dopo un po’ di tempo arrivò Gambelli e gli feci assaggiare i vari vini che avevo in cantina: quando fu il turno del campione che aveva il 3% di vino di quella cantina pugliese  mi disse “Ma cosa hai messo in questo vino?” Poi riflettè un attimo e mi snocciolò non solo che avevo aggiunto vino pugliese ma anche il nome preciso della cantina da cui era arrivato il vino.”

Giulio Gambelli

W. “E ci avevi messo solo il 3%!”

E.T. “Manca poco che svengo dalla sorpresa!  In altri casi mi diceva l’acidità e l’alcol preciso dei vini solo assaggiandoli. Rimanevo affascinato. Inoltre era sempre garbato e educato nei suoi consigli.”

W. “Ultima domanda da un miliardo di dollari. Partendo dal 1997, annata dichiarata ottima senza esserlo, quali sono state per te le migliori annate per  dei Brunello da invecchiamento?”

E.T.“Direi il 1999, il 2006, il 2008, il 2010 e il 2012.”

W. “Non hai parlato del 2001 e soprattutto l’annata che venne considerata grandissima, la 2004.”

E.T. “Il 2001 non è stato molto uniforme sul territorio,  mentre la 2004 sembrava grande ma alla fine è risultata meno importante. Nel tempo le cose cambiano: per esempio il 2013, che non sembrava un granché, per me è stata una grande annata.”

W. “Tanto per fare un po’ di polemica, non sempre un’annata corrisponde alle stelle che gli vengono conferite durante  Benvenuto Brunello…”

E.T. “Ero presente quando decidemmo di dare le stelle e ti spiego  perché lo facemmo . Il grande Veronelli, quando voleva sapere come era andata l’annata, telefonava a Biondi Santi, alla Cinelli Colombini e a qualche altro e praticamente decideva con pochi pareri anche se importanti. Il Consorzio decise di allargare il discorso, valutare in maniera più allargata, assaggiare i vini e poi dare un proprio giudizio.”

W. “Diciamo che è stato un modo per prendere in mano la situazione.”

E.T. “Prima di chiudere mi piacerebbe parlare di una cosa a cui tengo molto: il discorso della maturazione del vino  è molto differenziato in un comune come Montalcino, perché tra avere le vigne a 500-600 metri come le ho io e invece a 250-300 come in altre zone del comune  la differenza di tempo per una giusta evoluzione  è notevole. I vini delle zone più alte sono più difficili da capire, bisogna  aspettarli.”

W. “Allora sai cosa ti dico? Si parla spesso di zonazione a Montalcino. Fermo restando che può essere giusto studiare i terreni e quant’altro,  secondo me la vera “zonazione” di Montalcino dovrebbe essere fatta rispetto all’altezza a cui si trovano i vigneti.”

E.T. “Sì, penso proprio di si. Sul fatto di fare o non fare  la zonazione credo si potrebbe anche metterla in atto ma alla fine,  forse, riuscirebbe a creare solo contrasti tra produttori, dannosi un po’ per tutti. “

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE