Interviste al contrario. Camillo Favaro: “L’uomo e la cantina contano più della vigna!”9 min read

Camillo Favaro, produttore di Erbaluce di Caluso, qualche tempo fa mi ha spedito di sua sponte quattro annate de Le Chiusure con un’unica raccomandazione: dirgli se mi erano piaciute. Mi sembrava però brutto “sgargarozzarmele” e così ho pensato di assaggiarle con attenzione, di scrivermi tutte le domande che mi sono venute in testa per poi chiedere a lui.

Un modus operandi che definisco “al contrario” rispetto agli incontri online, dove il produttore parla e tu prendi appunti. Qui le domande le faccio io, prendendo spunto dalle bottiglie. Credo sia venuta fuori un’intervista molto interessante e con tante “rivelazioni” su questo giovane e bravo produttore. 

“Partiamo dalle bottiglie e non dal vino. Intanto complimenti perché usi un vetro leggero. Nelle etichette non si può non notare che il nome Erbaluce è molto più grande del nome dell’azienda  Favaro, Viticoltore a Piverone che a sua volta è più grande di Erbaluce di Caluso DOC. Mi viene così da chiederti se credi più nel vitigno, nel territorio o nella denominazione.”

Credo sicuramente nel territorio perché è casa mia, non mi riconosco tanto nella denominazione e credo tantissimo nel vitigno! L’erbaluce, ormai posso dirlo a ragion veduta, è un vitigno straordinario, lo metterei tra  i migliori 5-6 vitigni autoctoni a bacca bianca italiani. Piverone è Il mio territorio, la mia terra, qui ho le mie radici e ci credo tantissimo come grande terra da vino. Credo un po’ meno nella denominazione perché è molto frammentata e discontinua a livello qualitativo: assaggio spesso vini di colleghi e trovo cose che mi piacciono accanto ad altre in cui mi riconosco meno dal punto di vista del mio palato. Poi c’è il nome Erbaluce che uno dei nomi più belli che si possa trovare per un vitigno.”

“Ho notato anche che Le Chiusure è scritto piccolo, perché?”

Le Chiusure è il nome della nostra zona, io abito in Via Chiusure e nell’etichetta rappresenta il nostro punto di partenza, la nostra terra. Mi piace che ci sia ma non voglio dargli una valenza così importante. Inoltre potrebbero crearmi problemi dal punto di vista legislativo.”

“Se giro la bottiglia vedo una retroetichetta semplice e utile , Non ti perdi in frasi roboanti e vuote ma riporti  pochi dati ma importanti e chiari come vitigno, altezza slm, data imbottigliamento, tipo di terreno, data vendemmia, ettari della vigna. Una retroetichetta da portare ad esempio, che spiega cose fondamentali per capire il vino. Una curiosità: perché nel 2019 non hai scritto gli ettari del vigneto e la data di vendemmia?”

Perché con le  nuove normative se prendono quella retroetichetta possono venire a controllare e a rompermi le scatole qualora  i dati non corrispondessero al millimetro. Quindi, visto che non posso impazzire per verificare tutto al 100%, e che purtroppo i dati in etichetta devono essere iperprecisi ho preferito non comunicare quei due dati per non rischiare.”

“Ho visto che sei passato dal sughero naturale al Diam. Perché?”

“Li uso per colpa di una fregatura! Nel 2016 mi sono beccato una fornitura micidiale.Cercando di capire dove stava il problema con l’enologo e un altro amico abbiamo stappato 50 bottiglie con 50 bicchieri davanti e non dico che c’erano 50 vini diversi ma almeno 30 si. E in quel momento mi chiedevo quale era il mio vino: quello chiuso, quello aperto, quello buono, quello un po’ meno buono? Naturalmente togliendo quelli che sapevano di tappo e che alla fine erano quelli che mi tranquillizzavano di più perché il TCA era chiaro. Ho dovuto così fare una scelta per due ragioni, la prima  per dare una risposta al mercato e garantire che non sarebbe successo più, la seconda è che questa incredibile altalena di bottiglie tappate cl sughero mi ha fatto riflettere. Adesso con Diam ho una garanzia quasi matematica di aver sempre lo stesso vino, forse un po’ chiuso, perché quei tappi tendono a chiudere ma alla fine i vini sono buoni e mi piacciono. Questo anche comparandolo con qualche sughero naturale che ho usato su alcuni campioni di prova. Inoltre per avere la quasi certezza di avere un sughero perfetto devi spendere circa un euro e sarebbe un prezzo difficile da sostenere per me.”

“Tra l’altro ho visto che usi il Diam 10, quindi credi che i tuoi vini possiamo invecchiare per molti anni.”

“Beh si, assolutamente si! Da quest’anno ho fatto anche delle prove con il Diam 30 sul 2019 e vedremo il risultato.”

“Prima di parlare del vino presentaci un po’ i tuoi vigneti e il tuo modo di fare il vino.”

“Credo nel modo di coltivare locale e quindi per me l’Eerbaluce è piantato col sistema tradizionale a pergola trentina. Nel 1992 mio padre piantò il primo vigneto con una parte di pergola e una parte a controspalliera a guyot: un po’ di tradizione e un po’ di innovazione. Negli anni successivi abbiamo visto che la pergola dava dei risultati migliori rispetto a quello che volevamo noi, ovvero uve più protette dal sole che hanno una maturazione leggermente più lenta rispetto alla spalliera e in definitiva un maggiore equilibrio. Bisogna anche dire che l’erbaluce ha le gemme basali sterili e quindi per fare un buon lavoro a guyot devi infittire e fare delle potature un po’ forzate. Tutto questo per arrivare a produrre col guyot 70 quintali, mentre con una pergola equilibrata arrivi normalmente a 90. Quindi c’è anche questa “lieve” differenza di resa e visto che noi produttori dobbiamo anche fare del vino.”

“Le vigne di che anni sono?”

“Come dicevo la prima è del 1992, poi abbiamo piantato nel 2000 e poi anche altri impianti più recenti.”

“Le Chiusure dove nasce?”

“Chiusure è il toponimo della zona, e il luogo e l’area dove dove viviamo, le nostre vigne sono a Le Chiusure.”

“Quindi vendemmi e porti l’uva in cantina. E poi?”

“Facciamo una macerazione a freddo senza spingere molto, quello che riusciamo ad ottenere con il caldo delle ultime annate. Macerazione a freddo per 24 ore. Mandiamo in fermentazione dei mosti molto puliti, usando della bentonite. Facciamo un innesto con lieviti selezionati i più neutri possibili e fermento non a temperature estreme, diciamo 18°-19°. Mai fatto batonage. Il vino rimane così fino a fine fermentazione e alla fine non togliamo le fecce fino a fine dicembre inizio gennaio. Questo permette al vino di finire la fermentazione in maniera molto dolce. Naturalmente se sento puzzette strane la vasca si travasa ma mai prima di metà dicembre. Non gli faccio fare malolattica, tenendo il vino sotto ai 12° con la solforosa adeguata.”

“E dopo gennaio?”

“Li travaso e li lascio lì fino ad un mese prima dell’imbottigliamento, quando faccio un travaso e un assemblaggio generale e poi li metto in bottiglia.”

“Quindi stanno sempre in acciaio?”

“Si, sempre in acciaio e l’unica filtrazione avviene quando vado in bottiglia.”

“Cosa mi dici dell’acidità e del pH dei vini?”

“L’acidità si trova sempre tra 6.2 e 7.0 gr/l, quindi il 2017 potrebbe essere 6.2  mentre il 2109 6.8. Il pH di solito è attorno a 3.35-3.40.”

“Arriviamo a domande difficili. Secondo te, in generale, quanto conta la vigna e quanto la cantina.”

“In una scala in centesimi 40 la vigna e 60 la cantina.”

“E’ un’affermazione molto in controtendenza!”

“La vigna deve dare delle ottime uve, certo, ma se consegno delle grandi uve a chi non sa niente di vinificazione  farà sicuramente una schifezza. Secondo me la mano di chi vinifica è determinante: le scelte fatte in cantina influiscono moltissimo sul risultato finale. Nella famosa “matrice del terroir” quanto conta l’uomo? Il 70%, l’80%? Secondo me siamo a questi livelli.”

“Mi hai preceduto perché la domanda successiva è quanto conta il viticoltore, considerandolo come colui che lavora sia in vigna che in cantina?”

“Mi ripeto, almeno il 70/80%! E’ lui che fa tutte le scelte, è lui che determina qualsiasi cosa. Puoi avere la più bella vigna in Borgogna ma se non la sai coltivare e se poi, peggio ancora, non sai fare il vino, farai un prodotto che fa schifo.”

“Non ci crederai ma la domanda successiva è proprio sulla Borgogna.Mi confermi che tutto quello che hai detto vale anche in Borgogna e che rapporto ci può essere tra la tua zona e la Borgogna.”

“Tra la Borgogna e la mia zona non c’è nessuna somiglianza e nessun rapporto: come suoli, come vitigno, come tutto. Confermo che il discorso che ho fatto sul viticoltore vale qui come là e in qualsiasi posto dove si fa vino. Basta vedere la discontinuità tra i vari vini della stessa vigna in Borgogna. Se prendi i vigneti grandi, dove ci sono una ventina di produttori e ne assaggi una dozzina ti rendi subito conto quali sono quelli bravi e quelli non bravi.”

Veniamo finalmente dei vini che mi hai spedito: Le Chiusure 2019, 2017, 2014, 2013. Ti faccio una domanda secchissima alla quale un produttore ha sempre difficoltà a rispondere: Tra questi quattro quale ti piace di più?

“Il 2013!”

“Ma lo sai che siamo d’accordo!”

“In prospettiva credo che il 2019 andrà su quella linea, almeno credo.”

“Il 2019 adesso l’ho trovato perfetto ma ancora da farsi, il 2017 è molto rotondo e profondo, il 2014 è una specie di lama, molto fine e il 2013 è una belva, una  vera potenza, ha la “durezza” dei 2013 e potrà andare avanti moltissimo.”

“Sono assolutamente d’accordo con quanto hai detto!”

Ma dei vini dovevi parlare te, quindi dimmi quali sono i profumi di un Erbaluce giovane

“Fiori e agrumi, mediamente gioca su queste gamme.”

“E un Erbaluce di qualche anno?”

“Una nota importante ma fine di idrocarburo, che per me lo avvicina al Fiano invecchiato e poi sempre note floreali e gli agrumi di prima diventano canditi,  e magari puoi trovarci qualche nota di zafferano.”

“Mi hai detto che il 2019 tra 6-7 anni potrebbe essere come il 2013, per quale motivo? Per l’andamento dell’annata?”

“Se vado a riguardare le due annate si somigliavano un po’e anche a livello di vinificazione ho visto che gli andamenti di fermentazione si somigliavano. Penso sia per questi motivi o forse soltanto perché mi farebbe piacere fosse così. Spesso noi produttori siamo bravi a credere in  quello in cui vogliamo sperare.”

Camillo Favaro

“Durante l’assaggio mi sono scritto una cosa che ho trovato in tre dei quattro vini: una scossa elettrica al palato“.

“L’energia nei miei vini c’è sempre!”

“Sull’energia sono d’accordo ma è un’energia dinamica non statica e l’ho ritrovata nel 2013, 2019 e anche nel 2014.”

“La 2014 è stata un’annata difficilissima, pensa che ad agosto in un pezzo di vigna c’era l’acqua stagnante! Non avevamo mai e non abbiamo più visto una cosa del genere. Come sia venuto fuori quel vino non lo sappiamo. La 2014 è stata salvata da un settembre meraviglioso. In quell’anno abbiamo capito che la qualità del vino non si fa d’estate o in altri momenti,  ma tra Ferragosto e la vendemmia. Tutto il resto non conta.”

“Ho un’idea strana in testa da molti anni ed è quella che un produttore, se è veramente lui quello che segue tutti la filiera, alla fine assomiglia al suo vino. Partendo da questo presupposto, ripensando all’elettricità di prima, alle caratteristiche dei tuoi vini,  ti immagino come un tipo piuttosto nervoso.”

“Si, effettivamente sono un tipo nervoso, veramente molto “elettrico”.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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