Il vino che verrà7 min read

In una situazione internazionale altamente volubile e, purtroppo, in molti casi esplosiva, forse il mondo del vino è quasi un’oasi di tranquillità, anche se al suo interno bollono in pentola numerosi temi (appunto) scottanti.  C’è la rinnovata  attenzione nel rapporto tra vino e salute, sui danni che l’alcol etilico contenuto nel vino provocherebbe all’organismo e in cui a volte si intravede una sorta di neoproibizionismo strisciante. Importante anche il concetto di vino dealcolato e la possibile – probabile – prossima  apertura del mercato internazionale a questo prodotto.

Di temi ne potremmo trovare ancora molti e per l’appunto molti di questi sono stati discussi nell’interessante incontro organizzato dall’Accademia dei Georgofili a Firenze lo scorso 11 maggio dal titolo “La nuova disciplina della produzione vitivinicola – Criticità e sfide tra innovazioni normative e tecniche”. Si cercherà qui di seguito di fare una non facile sintesi degli interventi e soprattutto degli interessanti e complessi contenuti che hanno caratterizzato l’evento.

I lavori della giornata di studio sono stati aperti dall’accademico Ferdinando Albisinni con un intervento incentrato sulla normativa europea riguardante il settore vitivinicolo ed  in particolare sulla nuova PAC (Politica Agricola Comune) per il periodo 2023-2027, soffermandosi sull’importanza che questo strumento assume relativamente alla sostenibilità ambientale, alla biodiversità e alla tutela di tutte le forme di vita come valori essenziali. Compreso, si fa notare con un pizzico di sarcasmo, anche il benessere di tutti quegli animali che si aggirano anche per le vigne…

Di particolare interesse è stato l’intervento di Luigi Moio, attuale presidente dell’OIV (Organizzazione internazionale della vigna e del vino). Il nostro obiettivo, spiega Moio, è ragionare sul futuro del vino alla luce dello scenario mondiale attuale influenzato, com’è noto, dal cambiamento climatico, dalla necessità di custodia dell’ambiente, dalla salubrità e dalla sicurezza per la salute dei consumatori, raccomandando in questo senso prima di tutto un consumo intelligente e responsabile. In questo contesto, il ruolo della scienza, della ricerca, dell’innovazione, è di tutelare il vino in quanto “paradigma di diversità in un contesto di omologazione”.

Lo scenario di oggi, segnatamente legato al cambiamento climatico, rischia di indebolire la qualità del vino e per contrastare questa avversità serve un approccio interdisciplinare, anche se su questo purtroppo siamo già in ritardo perché le nuove strategie richiedono tempi medio-lunghi per la loro attuazione e soprattutto per i risultati. Occorre in ogni caso porre particolare attenzione alla gestione dei vigneti, alla loro collocazione e agli uvaggi. C’è un concetto basilare che deve essere ribadito prima che vada dimenticato: non si può piantare tutto dappertutto. La forza di un vino è nel suo legame con il territorio e nelle denominazioni di origine. Parallelamente la ricerca scientifica, con continui confronti anche a livello internazionale contribuisce a far fronte alle difficoltà menzionate, come la scarsità di acqua dovuta alle stagioni particolarmente siccitose registrate negli ultimi anni. Si stanno riconsiderando gli uvaggi e gli assemblaggi.

Qualche esempio: in Francia, nella Champagne, si stanno sperimentando cloni che abbiano una maggiore acidità e Ph più basso mentre in Borgogna si pensa a come l’Aligoté potrebbe aiutare lo Chardonnay quando quest’ultimo è soggetto a eccessiva maturazione.

L’Italia in questo partirebbe avvantaggiata rispetto agli altri paesi produttori proprio per la grande disponibilità di vitigni storici. L’Aglianico – segnala Moio –  è un vitigno che riesce a raggiungere la maturazione con acidità elevate e ph basso e può diventare vino “migratore” come in passato lo è stato il Merlot.

Si tratta insomma di evoluzioni necessarie che si adattano al cambiamento. Ciò servirà anche ad evitare la trasmigrazione dei vigneti, evitando di andare a piantare ad esempio ad altitudini più elevate (tentazione molto forte di questi tempi di cui si parlerà anche più avanti); più in generale occorre garantire, con l’aiuto anche della genetica della vite, il mantenimento delle zone storiche di produzione.

Successivamente Eugenio Pomarici dell’Università di Padova ha illustrato le novità contenute nella nuova PAC “parte vino” sia dal punto di vista della spesa con maggiori incentivi economici per i viticoltori, incentivi dedicati prevalentemente alla sostenibilità e al contrasto al cambiamento climatico oltre che agli investimenti sui vigneti e sulla promozione, sia dal punto di vista normativo con importanti novità: apertura agli ibridi nelle Dop, ingredienti con dichiarazione nutrizionale in etichetta (probabilmente elettronica), dealcolazione.

Si ribadisce in conclusione che la PAC può innescare processi con effetti positivi sulla competitività se governata in modo efficace dagli stati membri; in particolare in questo momento è di fondamentale importanza costruire  una strategia di comunicazione e promozione per difendere l’immagine e il prestigio del vino soprattutto rispetto al tema molto delicato del rapporto alcol/salute.

Il leitmotiv del cambiamento climatico è stato approfondito anche da Sonia Carmignani dell’Università di Siena, la quale ha ricordato a tutti noi che l’aumento di due gradi delle temperature medie provocherebbe da qui al 2050 la scomparsa del 56% delle regioni vitivinicole a livello globale e l’Italia perderebbe il 68% di aree climaticamente idonee alla produzione di vino di qualità. Si parla così giocoforza di migrazioni ad altitudini più alte dei vigneti (tra l’altro con possibili effetti negativi sugli ecosistemi colonizzati dai nuovi impianti) e a sensibili variazioni sensoriali e organolettiche del vino. Interessante è in questo triste scenario la possibilità che la viticoltura possa costituire un modello di elaborazione di strategie di resilienza ed efficienza produttiva, rendendosi però qui necessarie l’elaborazione di strategie “climatico-resilienti”, tipo piantagione di vitigni e porta-innesti resistenti alla siccità e alle temperature più elevate anche grazie alla biotecnologia e all’ingegneria genetica.

Si è parlato anche di etichettatura del vino con Monica Minelli del Foro di Roma ed inevitabilmente del rapporto tra vino e salute. Fa sorridere, alla luce dell’oggi, che in un precedente regolamento europeo si dicesse che il consumo di alcol (10 grammi al giorno) è parte del patrimonio culturale e dello stile di vita europeo  e aiuta a prevenire le malattie cardiovascolari. Minelli informa che dal prossimo mese di dicembre  entrerà in vigore un regolamento sull’etichettatura degli alimenti.  Sarà possibile il ricorso all’etichetta dematerializzata con il QR code o altre innovazioni tecnologiche da cui si potrà leggere la lista degli ingredienti (uva, mosto concentrato) e la tabella energetica con eventuali allergeni (il regolamento vale anche per i vini naturali). Ci sarà anche l’indicazione dello sciroppo zuccherino e dello sciroppo di dosaggio. Ma qui si dovrà prestare attenzione all’impatto che queste informazioni avranno sul consumatore medio, compresa la capacità di comprensione delle stesse.

Gli stimoli sono stati veramente numerosi, vale la pena di chiudere con quanto sottolineato da Carlotta Gori, presidente del Consorzio Chianti Classico, nella tavola rotonda finale la quale ha ricordato la responsabilità in capo ai consorzi di tutela che si oggi ritrovano a gestire il territorio garantendo produzioni di qualità.

Sfide epocali? Probabilmente si, di sicuro è emersa la necessità di un presidio continuo del sistema-vino soprattutto per prevenire situazioni che già in un  futuro prossimo potrebbero avere effetti negativi dirompenti. 

Fabrizio Calastri

Nomen omen: mi occupo di vino per rispetto delle tradizioni di famiglia. La calastra è infatti la trave di sostegno per la fila delle botti o anche il tavolone che si mette sopra la vinaccia nel torchio o nella pressa e su cui preme la vite. E per mantener fede al nome che si sono guadagnato i miei antenati, nei miei oltre sessant’anni di vita più di quaranta (salvo qualche intervallo per far respirare il fegato) li ho passati prestando particolare attenzione al mondo del vino e dell’enogastronomia, anche se dal punto di vista professionale mi occupo di tutt’altro. Dopo qualche sodalizio enoico post-adolescenziale, nel 1988 ho dato vita alla Condotta Arcigola Slow Food di Volterra della quale sono stato il fiduciario per circa vent’anni. L’approdo a winesurf è stato assolutamente indolore.


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