Ho fatto un sogno. Ero in una lunga galleria buia, ma in lontananza vedevo il chiarore della luce e, proprio al centro di questa luce bianca, quella che era poco più di un ombra ma si capiva comunque che si trattava della sagoma di una persona.
Anche se tutto sembrava opprimente e misterioso mi sentivo stranamente tranquillo, come se fossi in un posto che conoscevo e anche la sagoma che intanto si avvicinava, fosse di una persona conosciuta. Mentre l’ombra oramai divenuta persona veniva verso di me, la galleria si illuminava debolmente e mi rendevo conto di essere in una gigantesca cantina dove erano stoccate migliaia e migliaia di bottiglie di metodo classico.
Mi guardo intorno stupito e ammirato: nel frattempo la persona si avvicina a pochi metri e vedo che è un signore di mezza età (un tempo si diceva così) ma in formissima: alto, slanciato, uno sguardo deciso ma sereno e comprensivo. Chissà perché sento di avere con lui qualcosa in comune, ma non ho tempo di pensarci perché con una voce baritonale ma affabile mi dice “Caro Carlo, tutte queste bottiglie sono tue!” ma con un tono leggermente più marcato continua “Solo però se prima saprai dire il mio nome”.
Penso che è la solita fregatura! Come faccio a sapere il nome di una persona che non ho mai visto, anche se in qualche modo la sento vicina a me. Lui mi guarda e capisce che sono bloccato: allora fa un sorrisino storto e, con un tono glaciale ma in realtà propositivo, aggiunge “Ti vengo incontro: le mie iniziali sono GF”.
Comincio a spremermi le meningi: la persona mi è familiare ma nello stesso tempo incute una certa inquietudine. La posta in palio mi rende nervoso e non riesco a pensare con logica, la gigantesca cantina sembra girarmi attorno e mi sento spinto a dare una risposta veloce, anche se sono quasi sicuro di sbagliare. Oramai sono nel pallone, non mi viene niente in mente: lui mi guarda come se il suo nome fosse la cosa più semplice del mondo e allora grido: “ GF…sei il Grande Fratello!”
Delusione e profonda tristezza si dipingono negli occhi e nel volto dell’uomo: la sua voce però è cristallina quando scuotendo leggermente la testa afferma, modello 007, “Il mio nome è Ferrari, Giulio Ferrari”. Poi scompare assieme alle migliaia di bottiglie e io mi sveglio dandomi, anche se era un sogno, del cretino.
Nella mattinata successiva però mi arriva una telefonata: era Ruben Larentis, enologo di Ferrari, che mi invitava ad una verticale di magnum di Giulio Ferrari dal 2007 al 1986. Lì ho capito che Dio esiste e probabilmente si chiama Giulio.
Se il sogno “può essere stato” un parto della mia fantasia la telefonata di Ruben era invece reale e così alle 11 del 27 aprile, nella casa d’aste Pandolfini di Firenze, ho avuto la fortuna di incontrare sette annate di Giulio Ferrari, in magnum.
Sette vendemmie raccontate con due stili, quello asciutto, chirurgico, lineare di Ruben e quello solare, descrittivo e leggermente barocco di Paolo Baracchino.
Ma veniamo al Giulio che quest’anno compie cinquant’anni: La prima annata infatti è del 1972. Nasce da sempre nella vigna di15 ettari di Maso Pianizza, a circa 550 metri con esposizione che varia da sud a sud-ovest a ovest pieno. E’ uno chardonnay in purezza con una resa sui 90 quintali d’uva che diventano subito 45 litri di mosto fiore. Da moltissimi anni le uve vengono divise in una quindicina di parcelle, vinificate separatamente, malolattica quasi integrale, maturazione di alcune parti in legno e solo a giugno dell’anno successivo alla vendemmia viene deciso il blend: poi si va in bottiglia con pochissimi grammi di zucchero finale residuo (da 2 a 4 ) per lunghi, lunghi anni.
Un vino su cui tutti, prima o poi, si vogliono e si devono confrontare può creare un minimo di tensione in chi lo produce, anche perché hai almeno 10/12 anni per ripensare agli eventuali errori fatti ma non per rimediare. Ruben però dice di non sentire questo peso, perché lavorare con l’ansia non solo è sbagliato, ma alla fine rischia di bloccarti e ti preclude la strada verso la libertà espressiva. Perché se c’è una cosa certa è che il Giulio non è un vino che si ripete uguale a se stesso, anzi potrei sintetizzarlo in un’altra frase di Ruben “Quello che facciamo oggi è la base per quello che faremo domani.”
In effetti le sette annate (in magnum) sono state l’esemplificazione di questi concetti. Ve le presenterò non puntando tanto sulle caratteristiche aromatiche e gustative , quanto sulle sensazioni avute, corroborate o meno dalle informazioni precise che, anno per anno, Ruben ci ha fornito.
Giulio Ferrari 2007
Annata calda, una delle prime ad essere vendemmiata nella prima decade di settembre. Ha sfruttato però “l’effetto 2005”, prima vera annata calda con cui Ruben, in Ferrari dal 1986, ha dovuto fare i conti. In effetti il vino mostra non solo una grande giovinezza, ma anche una certa durezza al palato dovuta ad un ancora non perfetta fusione tra bollicine, acidità e struttura. Sarà perché è giovane, sarà perché l’annata non è stata facile ma adesso non è nel suo momento migliore . Ruben lo conferma dicendo che dovrà maturare almeno per altri 5-7 anni.
Giulio Ferrari 2005
La prima annata ad essere vendemmiata nei primi dieci giorni di settembre. Una scelta importante è stata quella di usare meno mosto fiore del solito e molto meno legno per non appesantire inutilmente il vino. Il risultato è per me di alto profilo, con una cremosità e eleganza al palato che , affiancata da giovanile freschezza, lo rende molto più godibile e lineare del 2007. In questo vino si capiscono alcune cose dette sul 2007, specie l’importanza del lungo invecchiamento. Dopotutto è un vino di “soli” 17 anni, fatelo crescere!
Giulio Ferrari 2004
Annata molto diversa, considerata fresca, giustamente tardiva (verso il 25 di settembre) e quindi affrontata in maniera diversa sin dalla pressatura delle uve, momento che per Ruben (e non solo) è forse il più importante nella vita di uno spumante metodo classico. Quindi solo un 40% di mosto fiore per evitare note verdi e un uso maggiore del legno per dare più amalgama al centro bocca. In realtà delle belle note floreali e leggermente vegetali si sentono ma danno brio aromatico affiancando note mandorlate e di miele d’acacia. In bocca è pieno ma non ancora disteso e mostra lievi spigoli sia nella bollicina che nella componete acida. Da risentire tra 8-10 anni
Giulio Ferrari 2001
Tanto il 2004 è burbero e si concede con difficoltà, tanto il 2001 è equilibrato, setoso, profondo, complesso. Dal pan brioche al miele d’acacia passando per la macchia mediterranea si dipanano una serie importante di aromi ma è il palato che sorprende. E’ un vino accogliente, che permette di godere della sua ampia eleganza, della sua finezza, di una bollicina setosa e di una profondità gustativa importante. Una bottiglia che mi sarei scolato da solo!
Giulio Ferrari 1999
Nelle parole dette su questo vino ritrovo il Ruben dai giudizi per niente accattivanti. In poche parole afferma che quest’annata, anch’essa vendemmiata verso la fine di settembre, invecchierà prima delle altre e in effetti sia al colore che al naso è la più evoluta di tutte. Ma è un evoluzione misurata, che lascia spazio a ripensamenti e a possibilità evolutive: basta calibrare il suo bel peso in bocca, fare attenzione alla sua freschezza e alla sapidità che ti accompagna fino in fondo al palato per capirlo.
Giulio Ferrari 1995
Se mi è permesso un gioco d parole la Ferrari di casa Ferrari! Un vino che si allarga, si allunga, ha corpo, peso, freschezza, giovinezza, complessità. Un naso ancora sincopato con una fine nota salmastra apre ad una goduria assoluta: non per niente questa vendemmia fa parte dei Giulio Ferrari Collezione ed è stato sboccato solo quattro anni fa. 23 anni sui lieviti ed è vibrante, giovanile, potente, ma con il classico garbo delle bollicine Ferrari. Una vendemmia a cui nessuno dava fiducia si è trasformata da anatroccolo bruttarello in cigno sontuoso. Addirittura a bicchiere vuoto note di fragola e lampone testimoniano che siamo all’inizio di un percorso.
Giulio Ferrari 1986
Caro Giulio, lo so che nel sogno (che in realtà mi sono sognato da sveglio) ho sbagliato il tuo nome, ma ti prego, perdonami, e di quelle migliaia di bottiglie che non saranno mai mie fammene avere almeno una del 1986! I vini non devono essere eterni e questo 1986 comincia a mostrare, specie al naso, quelle rughe che rendono irresistibili tante donne dopo i 40 anni. Maturità non è un difetto, è un pregio conquistato in barba al tempo, plasmandolo e plasmandosi anno dopo anno. È stato il primo Giulio fatto “parzialmente” da Ruben in quanto se lo è trovato tra le mani, appena entrato in Ferrari , nel 1986. 36 anni mostrano alcuni “strabismi di Venere”, cioè note leggermente amare ma compensate da tonalità finali dolci, bollicina meno presente ma cremosità comunque suadente, maturità aromatica che sembra bloccare il vino è invece, dopo due minuti partono note molto intense di macchia mediterranea e miele di castagno. Un vino che fa meno “paura” perché finalmente la ricercatissima giovinezza ricercata negli altri lascia il campo alla logica dell’età a quel giusto e dorato declino che ogni grande vino deve affrontare.
A questo punto spero solo che il sogno che mi sono inventato mi visiti realmente in una delle prossime notti: questa volta non sbaglierò il nome!