Il Dolcetto di Dogliani è un vino di sinistra?7 min read

L’invito era intrigante :”Si può dire che il Dolcetto di Dogliani è un vino di sinistra ?” con la successiva risposta :”Non sappiamo se lo sia, ma sicuramente sappiamo che dovrebbe esserlo.”
Sulle prime il mio vecchio cuore si è scaldato. Ma quando, lentamente, il cervello è entrato in funzione, mi sono chiesto : ma cosa vorrà dire mai ?
Vini incerti in ogni loro espressione ?
Vini che credono di avere un gran successo quando prendono 30 punti ?
Vini dal colore rosato, con un sentore di viola appassita ?
Nulla di tutto questo, per fortuna.

DOGLIANI 2.0 è stata una rassegna ( oggi si dice “evento”) molto ben progettata : ha presentato i vini , giovani e vecchi, i produttori, le vigne, i paesaggi… anche il clima, con l’ alternanza di sole pioggia nebbia, era il clima autoctono del Piemonte .
Ma soprattutto mi ha fatto capire la questione Dolcetto , inducendomi a riflettere.

Le  strategie alternative che hanno di fronte i produttori di dolcetto sono state espresse con grande franchezza, fin dalla prima sera.
Intanto ci è stato spiegato molto bene che il dolcetto non è affatto un’ uva “facile”: al contrario, è molto delicata, richiede terreni leggeri è poco profondi, poca acqua, temperature miti… e quando le condizioni si discostano da quelle ottimali, non solo si rifiuta di maturare, ma si suicida e cade al suolo . Alla fine, una vigna di dolcetto richiede più ore di lavoro di tutte le altre uve, compreso il nebbiolo ( che è secondo in classifica) . I costi di produzione e l‘impegno personale sono comunque alti.
Con tali premesse, ci dice Nicoletta Bocca, bisogna fare vini di prezzo adeguato, che possano competere nella fascia alta . Il dolcetto ha la stoffa per giocare in questo campionato, e , in concreto, non ha alternative.
Non meno chiaramente Chionetti ha formulato l’ altro punto di vista : il dolcetto è il dolcetto , un vino che dà il meglio da giovane, o almeno non tanto anziano, e gli piace accompagnare un pranzo dal principio alla fine . Questa è la sua vocazione, questo il suo stile : amalo o lascialo. Se ti piace fare il dolcetto, se la tua azienda lo produce da generazioni, devi farti carico dei suoi problemi .
A scanso di equivoci, Chionetti produce solo Dolcetto di Dogliani , e non Dogliani docg .
Questa linea viene appoggiata dalla massa ( per indulgere al linguaggio progressista d’antan ), ossia dalla cospicua produzione della Cooperativa  di Clavesana , che produce vini assolutamente rispettabili sul piano della qualità , piacevoli, simpatici e anche democratici . Li vende a un pubblico nazional popolare e si permette di occupare il 35% della produzione di dolcetto nel doglianese .
I produttori d’avanguardia, da parte loro , perseguono l’ obbiettivo del dolcetto “di alta fascia” , con impegno , forte spirito di corpo e ,direi, con successo . Questo mi dicono gli applausi e le manifestazioni di entusiasmo dei partecipanti a questo incontro, alcuni davvero innamorati di questi vini . Il sottoscritto ha mantenuto un certo understatement , anche per non smentire il suo arcigno profilo conservatore .
Do atto in ogni caso che non si tratta di vini che possano defirsi “moderni” nel senso banale del termine, né tantomeno “di gusto internazionale”.
Fra questi, mi lascio andare anch’io all’ applauso di fronte ai vini di  Pecchenino : la sequenza dal 1995, 96,97,98….fino al 2001 . Con un vertice , a mio parere, nel 1998 . Di certo non sono vini che concedono qualcosa al gusto imperante in quegli anni  , di sicuro sono radicati nella tradizione e nella tipicità senza equivoci.  Ma c’è un prezzo da pagare : il vino di Pecchenino che va in commercio nell’annata è duro come il granito . Occorre il talento del rocciatore per inerpicarsi sulle sue asperità .
D’altra parte anche Pecchenino è stato chiaro nel dirci come stanno le cose : se si vuole che i tannini maturino davvero , non si può fare a meno che maturino anche gli zuccheri e tutto quanto concorre al corpo del vino .

Passando alla cronaca ragionata .
La prima cena contemplava il mistero delle bottiglie coperte , dolcetti di ogni età , misti a vari intrusi nobili . La prima parte del gioco, dolcetto-sì  dolcetto-no ,credo l’abbiano vinta tutti : i dolcetti sono stati individuati senza scampo . Ovvero : il dolcetto ha un’ identità molto definita, stabile nel tempo .
Con quella nota balsamica caratteristica, unita al fondo dolce-amaro , in ambiente comunque asciutto.

Dopo le eccellenti note tecniche e le visite alle aziende, la seconda cena è stata preceduta dall’ assaggio dei vini in commercio quest’anno, di tutti i produttori della zona.
Location simpatica, nella cantina della Bottega del vino di Dogliani . E dopo l’ assaggio, sugli stessi tavolini, con gli stessi personaggi e gli stessi vini, abbiamo cenato .
E qui abbiamo visto in faccia i dolcetti di ogni tipo, altro che i loro amabili produttori.
Il dolcetto di Dogliani archetipo , con le caratteristiche diagnostiche evidenti, un po’ selvaggio : Surì Marenco , da assaggiare per primo, per tarare lo standard .
Il dolcetto che non ti fa sconti ( vedi sopra ) :  Pecchenino .
Il dolcetto che non ti mette in soggezione e ti approccia amichevole : Cooperativa di Clavesana.
I dolcetti ineccepibili, vicini all’ idea platonica di dolcetto :Mascarello, Chionetto,Podere Surie
I dolcetti con i piedi per terra : Eraldo Revelli, cascina Costabella, Ivan Gallo, Le Viti
I  dolcetti ambiziosi :San Fereolo, Anna Maria Abbona
I dolcetti indomiti : Cascina Corte, Cascina Minella
Voglio fare una citazione speciale per  Bricco del Cucù , anche perchè il suo rappresentante è così schivo che forse non ha pronunciato nemmeno una parola ( conquistando con questo la mia simpatia ).
Come mi è piaciuto il suo vino più recente, così mi sono piaciute le annate precedenti (2001 e 2003) che hanno la stessa nettezza . Vini nervosi e intensi.

L’ ultimo atto è stato una verticale Himalayana : parte sud del Nanga Parbat , alta 4 volte le maggiori pareti alpine .
Dal 1995 ai giorni nostri , 60 vini in linea di principio, 34 all’ atto pratico , quando anche i degustatori più duri (quelli che scendono in campo quando il gioco si fa duro ) hanno cominciato a cedere.

Abbiamo dunque affrontato una degustazione che si proponeva simile a quelle che facciamo per i vini dell’ annata, assaggiandone 60 , cominciando al le 9 e andando fino all’ una. Solo che assaggiare le vecchie annate è tutta un’ altra cosa , come impegno critico e come tempi, dato che i vini si aprono lentamente e cambiano nel bicchiere a ogni riassaggio.
Si è svolta nell’ azienda Einaudi , che ha portato i suoi dolcetti  in questa degustazione. Il dolcetto , da Einaudi, la fanno in acciaio ,  ottenendo un vino rigoroso e ineccepibile. Mi ha colpito ancora una volta l’ annata 1998 , per la quale ho una speciale passione .
Anche Costa Pra l’abbiamo degustata solo nella verticale , ed è stata la sola azienda che ha presentato un 2002 : eccellente !  frutto di molta testardaggine e molto sacrificio .
Per il resto la verticale è stata egemonizzata da Pecchenino (vedi sopra), che aveva tutte le annate dal 95, tranne il 2002 – e da San Fereolo ,che ha messo in campo una serie di magnum, e ci ha mostrato la sua evoluzione stilistica , dal 97 in poi , fino al passaggio al biologico nel 2004 (che ci ha tramandato molte fecce in sospensione) e al biodinamico successivamente .
Nelle annate meno antiche hanno dato ottima prova Chionetti Briccolero del 2001, Bricco del Cucù ,  Boschis dal 2003 al 2006 , A.M.Abbona nel 2004.
La Cooperativa Clavesana ci ha fatto assaggiare le annate 2005 e 2006 ,assai pregevoli, e ha  tenuta alta
La bandiera del dolcetto collettivo .
Senza dubbio un’ esperienza interessantissima ed emozionante . Ci ha mostrato la vocazione del dolcetto alla maturazione nel tempo .

Anche se per me non chiude la questione , perché durante questi tre giorni, in altre occasioni, abbiamo assaggiato altri dolcetti invecchiati , che mi sembravano assai giovanili rispetto all’età dell’etichetta, ma burberi e scomposti .
Vorrei concludere manifestando la mia simpatia e il mio appoggio  a coloro che il dolcetto lo comprano e lo bevono.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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