Il Classico Santo4 min read

Dopo quello sulla D.O.P. dell’extravergine, il seminario del secondo giorno all’anteprima Chianti Classico ha messo sotto i riflettori l’altro gioiellino del territorio: il Vinsanto. E anche questo è un gioiellino un po’ nascosto, un’altra denominazione minore entro gli stessi confini dell’assai più nota D.O.C.G.

A raccontarla in questa occasione è stato il giornalista Filippo Bartolotta attraverso la degustazione di otto campioni. La sequenza scelta da Filippo ha seguito il contenuto zuccherino fino a superare i 350 grammi/litro, partendo dal più secco che poi tanto secco non era, a conferma di una tendenza che nell’arco di decenni ha visto aumentare gli esempi più dolci.

Zucchero a parte gli altri parametri andavano su e giù, voglio dire acidità, alcol, sapidità e perfino qualche traccia tannica dovuta ad uve rosse o forse a legni nuovi, chissà. Alla vista variavano colore, intensità e limpidezza; per i profumi sarebbe impossibile fare un elenco esaustivo, tanto era la ricchezza olfattiva percepita ed esternata anche dal pubblico. Ho sentito (anche nel senso di “udito”, appunto) fuochi artificiali di suggestioni: frutta secca, candita e/o a guscio, naturalmente un po’ di volatile o derivati, balsamico, paglia & fieno, funghi, salsa di soia, liquirizia-quasi-goudron, cuoio e persino affumicato. Tabacco? Diciamo meglio: sigaro (toscano, ça va sans dire). A qualcuno è venuto in mente il sedano, a qualcun’altro lo zafferano. Verosimili.

Mentre Bartolotta menzionava il teatree oil, a metà tra menta e canfora, un mio vicino ha sussurrato quamar-el-deen come se niente fosse, riferendosi a una pasta di albicocche mediorentale e costringendomi poi a ricorrere a google dopo aver annotato il nome su un tovagliolo di carta.

Per la cronaca, i ragguardevoli protagonisti: Losi Querciavalle 2006 (Malvasia e Trebbiano fifty-fifty); Il Poggiolino 1983 (Trebbiano, Malvasia, San Colombano); Bibbiano 2013 Occhio di Pernice (Sangiovese); Castello di Cacchiano 2004 (85% Malvasia, 15% Canaiolo); Lornano 2011 (Malvasia e Trebbiano al 50%); Isole e Olena 2009 (ancora un pareggio tra Malvasia e Trebbiano); Fontodi 2010 (Malvasia 60%, Sangiovese 40%); Rocca di Montegrossi 2007 (Malvasia).

Ma come sapete o potete immaginare, a parte i vitigni e l’annata, per questa rarità enologica molti altri fattori portano a un certo colore,  profumo e gusto. Quindi il racconto ha fatto incursioni sull’epoca di vendemmia, il quanto e il come dell’appassimento, la fementazione stop-and-go, i legni e la dimensione dei caratelli nonchè il loro sigillo; e poi la “madre”, il deposito di lieviti e altro che i chiantigiani più tradizionalisti ripescano in fondo al caratello e riciclano secondo tradizione da una botticella all’altra quando arriva il mosto nuovo.

E questa è davvero la “madre”  di tutte le controversie chiantigiane. Tanto che, se da una parte è stata citata direi obbligatoriamente dal presidente Giovanni Manetti nell’introduzione al seminario, è stata poi criticata da Giovanni Ricasoli-Firidolfi del Castello di Cacchiano, seduto fra il pubblico. Ha ricordato l’intervento nelle sue cantine del mitico consulente Giulio Gambelli, che a inizio degli anni ’80 gli fece buttar via tutto quel presunto patrimonio, considerandolo robaccia a rischio.

Dopo il seminario sono andato a rileggermi quanto scritto sull’argomento da Giacomo Tachis nel suo Libro del Vin Santo (Bonechi 1988), dove cita  due pareri storici divergenti, di Ferdinando Paoletti e Cecco da Sansalvi. Tachis continua poi con una discussione più tecnica alla fine della quale rimane possibilista senza schierarsi nettamente.

E per finire un’altra variabile non da poco: quanto tempo deve invecchiare in cantina questo nettare? Il disciplinare dà un minimo di 24 mesi, ma la maggior parte dei vinsantisti sembra che raddoppi o triplichi secondo scelte o abitudini personali.

Bartolotta ha reso le cose ancora più complesse e divertenti offrendo assaggi fantasiosi in abbinamento, e lasciando il gioco agli assaggiatori. Molti di questi sfizi erano sul dolce-salato come ad esempio i “cantucci” al Parmigiano o un cheesecake dove il cheese era blue vale a dire un erborinato… Del resto anche l’accostamento gastronomico è controverso, ammesso che ce ne debba essere uno. Già, e la temperatura di servizio? Questione da Guelfi e Ghibellini.

Resta da riferire che mentre si svolgeva il seminario era disponibile un banco dedicato al Vinsanto del Chianti Classico nella zona della Collection dove si assaggiavano i rossi alla presenza dei produttori, come del resto l’anno scorso. Una  cinquantina di esemplari sbicchierati da due Sommelier: festival caleidoscopico e occasione ghiotta per noi appassionati del genere, che spero il Consorzio voglia confermare per le Collection a venire.

Il Vinsanto del Chianti Classico è un grande vino “a bouquet ossidato” (più o meno ma non poi tanto a giudicare da questo assaggio); e in quanto tale in declino di gradimento secondo le analisi prevalenti. In ogni caso la quantità prodotta è bassa, molto. Si parla di meno di 100.000 litri/anno che poi economicamente parlando sono una rimessa per chi ci si dedica.

Pare insomma che non siamo ancora molto lontani da quel “vino dell’ospitalità” conservato gelosamente e offerto in casa o in fattoria quando l’enotursmo era di là da venire. Il seminario ha evidenziato la sua notevole variabilità organolettica, che può sconcertare un mondo globalizzato e in costante ricerca di benchmark, ma può anche esercitare un grande fascino quando ci si convince a metterla sulla ribalta come in questa occasione.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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