Il Bianchello del Metauro si chiama Terracruda13 min read

Non ricordo di essere invecchiato, ma sto rallentando,

Non so se mi mancherai, dove sto andando ora”

Christian Lee Hudson

Anteprima. Di quella volta che persi il respiro

Fu così che durante l’ultima settimana di Marzo mi svegliai di soprassalto nella notte, senza respiro. Dopo qualche minuto di panico generale focalizzato sulla mia imminente morte riflettei su quello che mi stava accadendo. Nei due seguenti mesi da incubo ho prestato molta attenzione alle persone a cui mi sono reso conto di stare, anche leggermente, a cuore. In questa lista, che comprende anche il direttorissimo Macchi, tra i nomi che non avrei mai immaginato di aggiungere c’è quello di Maria Vittoria Avenanti della Cantina Terracruda a Fratte Rosa, un piccolo borgo della provincia di Pesaro.

Per chi mi legge da tempo sa che potrei cadere nei cliché ma vi prego di sopportarmi. In quest’ultimo periodo, come tanti di noi credo, ho riscoperto alcune parti della mia umanità e sto portando la mia attenzione sulle piccole nuances, quei dettagli che non si vedono ad occhio nudo, perché quello che vedo non mi basta più per scrivere quello che vorrei.

Ma forse di Maria Vittoria potrebbe bastarmi quel carattere da forte donna marchigiana al comando, che difficilmente riesce a trovarsi nel torto soprattutto se il tutto è condito da un accento Pesarese, un po’ marchigiano un po’ romagnolo, che mi ricorda tanto quella forza della natura che è la mia nonna Lucia, nata qua vicino al Ponte Nuovo di Frontino.

Ma giustamente ci troviamo qui per parlare di vino. Forse.

Capitolo I . Capire Fratte Rosa e la famiglia Avenanti

Fratte Rosa è un borgo fermo nel tempo. Le mille anime che lo abitano si conoscono tutte. La mattina al forno, dove salutarsi è d’obbligo anche se di passaggio, qualcuno ha già pagato la tua colazione. Al ristorante mentre qualche altro tavolo ha già offerto la bottiglia che hai ordinato, si scruta la sala per capire chi tornerà a casa senza pagare quello che sta bevendo. Un mondo intriso di un “do ut des” di origine contadina, che dal baratto si è trasferito alla moneta, però ancora legato dal concetto di amicizia e condivisione piuttosto che dal profitto. Non per questo però dobbiamo considerarlo un borgo dimenticato dell’entroterra Italiano. Cianni  ha sfondato con un ristorante a base di tartufo, gli olandesi hanno preso d’assalto il mercato immobiliare e vi auguro buona fortuna nel caso vogliate trovare posto a una degustazione nella cantina Terracruda.

Zeno Avenanti è il vero “Marchese” di Fratte Rosa. Nei tre giorni che abbiamo passato insieme ho visto il paese fermarlo per chiedere consigli: da come dirigere un business a come chiudere un affare fino a vere e proprie lezioni di vita. Non basta molto per capire il perché di tutta questa attenzione. Zeno nella vita se ha fatto qualcosa non è mai riuscito a farlo per hobby. Dalla passione per la caccia al campionato mondiale di addestramento dei Setter, dalla tradizione della falegnameria, arte della famiglia, all’impero del mobile, dall’amore per il vino fino al segnare un marchio indelebile sul Bianchello del Metauro.

A differenza di molti nuovi imprenditori italiani del mondo del vino, che si credono capaci di comprendere ogni cosa dati i loro successi passati in altri campi, Zeno ha fatto questa scelta per lasciare quel qualcosa in più alla sua famiglia.

Tra i suoi figli ha diviso non solo i compiti ma anche le personalità che da lui derivano. Luca è a capo dell’ospitalità, quell’arte nella quale si sta bene solo se stanno bene gli altri, il più delle volte a costo delle proprie fatiche. E proprio da questa arte sovviene quella sensibilità di capire non solo i bisogni ma anche i gusti degli altri. Durante la nostra lunghissima degustazione è stato l’unico che ha assaggiato pensando ai clienti prima ancora di essere preda dei suoi giudizi.

Maria Vittoria è il futuro fulcro imprenditoriale e gestionale dell’azienda. Un equilibrio nascosto dietro agli ordini dati che impone la fermezza di carattere di chi conosce la fortuna di avere attorno persone che stimano il lavoro che stai facendo. Pronto insieme a me per un’altra scorribanda sulle colline marchigiane ho visto il terrore negli occhi di Zeno nell’accingersi a prendere una ventina di euro sotto gli occhi della figlia,  già pronta con il cazziatone. Una scena come questa basta e avanza per capire quanto la fiducia risieda nella complicità di lavorare con i propri familiari.

Nonostante tutto ciò spieghi molto,  il personaggio chiave di tutta questa vicenda non è ancora arrivato.

Giancarlo e David Soverchia.

Capitolo II . Dobbiamo interessarci a Giancarlo Soverchia

Durante i miei giorni in Bianchello l’unico momento dato per certo era l’eventuale scontro tra me e Giancarlo Soverchia. Vi basterebbe leggere i miei articoli e sentire qualche storia sulle brevissime interazioni dell’enologo con i vari giornalisti per capire che il risultato doveva essere dato per scontato.

La situazione è leggermente più’ complicata di quello che sembra. Giancarlo Soverchia non è  un personaggio dei nostri giorni. Cerca la verità sotto un profilo che riassume il retaggio degli anni  ‘90, tra le barrique, le ossidazioni e le alcolicità ma è l’unione tra la sua tecnica e l’anima “pop” del Bianchello che rende rivoluzionaria ognuna delle sue sperimentazioni.

Perchè ora come ora se il Bianchello ha un futuro, una speranza o anche semplicemente un piano, Giancarlo Soverchia è l’unico che lo ha carpito e steso sotto forma di una produzione, dove anche un vino base può, in buone annate, invecchiare per una decade.

Si scontra contro un mondo che odio. Quello della moda. Quello dei giornalisti odierni, degli influencers e dei “winelovers”, che gridano di fronte alla vista di una barrique in una cantina Italiana per poi emozionarsi con il solito Macon Village al ristorante stellato. Una sfida che nessuno, io incluso, potrebbe vincere.

In un mondo che guarda alle visualizzazioni, ai punteggi, a blandi “storytelling” su territori che esistono sulle cartine ma non nelle bottiglie (Matelica docet) sono i personaggi come Giancarlo Soverchia che nel migliore dei casi vengono dimenticati e nel peggiore additati come mostri enologici.

Nel mio girovagare nel Bianchello del Metauro ho fatto tanti, forse troppi, complimenti ai produttori e alla loro comunicazione ma bere i vini di Terracruda, che erroneamente ho lasciato come ultima visita, mi ha fatto capire che avrei dovuto essere molto più’ cattivo. Avrei dovuto chiedere ancora più cose sulle vinificazioni, sulla sanità delle uve, sulla posizioni dei vigneti.

Come fanno questi vini, rispetto a molti altri della denominazione (forse solo altri due produttori hanno mostrato un buon lavoro nell’invecchiamento) a reggere così audacemente la prova del tempo?

Ricordo ancora quando nei primi anni 2000, Alex Turner, leader degli Arctic Monekys, rilasciò una intervista dove diceva di non definirsi un artista e ne fui terrorizzato. Avevo già capito che la generazione successiva sarebbe stata quella che avrebbe definito qualsiasi cosa come arte. Ed in questo mondo usa e getta, dove i Beatles sono sostituiti da X-Factor, quanto spazio possiamo lasciare agli artisti del vino come Giancarlo Soverchia per scoprire il potenziale di uve minori come il Bianchello?

Capitolo III. Una verticale dei Bianchelli del Metauro della cantina Terracruda

Segue qui una degustazione della produzione completa della cantina Terracruda seguita dal vostro qui scrivente insieme a Giancarlo e David Soverchia consulenti della cantina, Zeno Avenanti, Maria Vittoria Avenanti, Luca Avenanti proprietari dell’azienda Terracruda e dell’enologo Eugenio Fanelli.

Le Bolle

2019 Ciao Ancestrale – Verdognolo confuso dai lieviti in bottiglia. Puro lime e lievito al naso. Non presenta il classico amarognolo finale sul palato e rimane monotematico sulla spremuta di lime. Ottima idea estiva nonostante una dubbiosa etichetta.

2016 Metodo Classico (24 mesi) – Colore e naso verdissimi. Si inizia a sentire sull’olfatto l’arrivo dell’amaro (ricorda molto il Verdicchio Spumante Perlugo di Pievalta) che si conferma sul palato insieme a un finale di erbe selvatiche. Bollicine finissime che allungano il finale. Necessita di più affinamento.

2014 Metodo Classico (30 mesi) – Il colore inizia a volgere sul dorato con vari riflessi verdi. L’autolisi e quindi lo sviluppo di aromi dovuti ai lieviti diventa dominante al naso mentre la parte verde di erbe e prato rimane in sottofondo con un leggero sentore di saponetta. In bocca continua a essere protagonista la scorza di lime, che diventa spremuta sul finale e richiama a una maggiore presenza di profumi di lievito.

Boccalino

Vino base dell’azienda selezionato da un vigna pianeggiante a 300mt. Passaggio in solo acciaio, lavoro principalmente in ossidazione. Nonostante sia un vino pensato per la pronta beva risponde a un deciso e interessante invecchiamento grazie all’attentissima selezione delle uve.

2019 – Fresco ed etereo. Naso con qualche nota verde, lime e spremuta di lime. Amarognolo leggero sul finale quasi impercettibile, che lascia una buona mineralità sia in bocca che sul fondo del bicchiere. Il migliore Bianchello del Metauro base che si possa acquistare oggi.

2018 – Leggerissima frutta cotta che scompare abbastanza in fretta. L’amaro squilibra il vino sul palato lasciando una leggera scorza di lime.

2009 – Una leggera ossidazione, che sembra preannunciare uno sherry ,riesce a mostrare una mineralità gessosa che cancella la frutta. Sul palato ritorna fortemente la sensazione di lime.

2006 – Etereo con sentori di burro. Frutta secca esotica. Buona mineralità e bilanciamento tra corpo, acidità e amaro.

2005 – La parte verde scompare grazie all’ossidazione. Rimane una quantità di acidità tale da poterlo definire ancora fresco.

Campodarchi Argento

Bianchello Superiore che lavora sulle fecce fini. Prima dell’arrivo di Campodarchi  Oro è stato il prodotto dove si  è sperimentato di più’ sul legno. La quantità totale in barrique quindi cambia rapidamente da annata ad annata, guardando verso una riduzione sulle annate correnti.

2018 – Nonostante rimangano tutte le caratteristiche chiave del Bianchello resta un vino opulento  ma chiuso, che guarda a un buon invecchiamento. Freschezza, burro con un amaro che si percepisce fin dall’olfatto.

2016 – Mineralità, finocchio e menta selvatica. Palato fortemente acido e amaro portato da una spremuta di lime.

2015 – Etereo con sentori di burro da un leggero uso della barrique. Un’ossidazione leggera riporta a collegamenti verso lo Chardonnay. Amaro sul palato, si apre col tempo insieme a leggere erbe di campo. Ottima acidità che supporta i sapori senza sbilanciare il vino.

2014 – Una barrique più presente non riesce a coprire la frutta cotta tendente al tropicale e una parte fenolica che apre verso il Sauvignon Blanc del nuovo mondo (Rippon). La mineralità sul palato riesce a bucare la pesantezza dei profumi.

2013 – Lavanda, lime e leggera pesca bianca. L’ossidazione apre alla mineralità e copre l’amaro. La lavanda si apre, col tempo, nella vaniglia. Potrebbe in questo caso la lavanda essere una espressione della frutta cotta che riesce ad elevarsi? Un vino molto “Jazz” dove le componenti che dovrebbero essere considerate errori diventano protagonisti nella loro ripetizione.

2012 – Un Bianchello tradizionale. Vaniglia e biancospino appassito. Mineralità, asprezza e acidità. Standard.

2011 – L’alcol spinge i sentori eterei di freschezza, leggera vaniglia. Mineralità, asprezza ed acidità già viste nell’annata precedente diventano ancora più’ presenti e protagoniste, dando un senso di grande coerenza e qualità produttiva.

2009 – Lavanda, mineralità gessosa: generalmente profuma come quando si entra in lavanderia (giuro!). Il palato presenta un buon bilanciamento tra mineralità e amarezza. Il vino si apre enormemente grazie all’ossidazione, che ricorda molto gli invecchiamenti  degli chardonnay Francesi.

2008 – A sorpresa ritorna la parte verde e saponetta. Vaniglia ossidata che nel palato cancella l’amaro.

2007 – Dopo varie annate dove il colore rimaneva paglierino con riflessi verdi si cade di getto nel dorato intenso con toni granati. Vaniglia e ossidazione non riescono a coprire miele e frutta secca che scompaiono nel palato per introdurre un’esplosione di mineralità. Nel suo incontro verso un’ossidazione più importante il Bianchello riesce a mantenere i suoi tratti comuni sia nel naso che nel palato. Grandissima performance.

2006 – La prima annata di Campodarchi. Ossidazione e fiori secchi pure nel palato. Monotematico ma rispettoso del varietale.

Nonna Egina

Campodarchi Oro

Bianchello in affinamento in barrique da 8 a 12 mesi. 30/40% in legni nuovi. Fecce vini con vini molto torbidi aiutati da batonnage continui. Ritorna qui uno stile molto alla “Leflaive” che sembra essere comune ai vini bianchi marchigiani (esempio più’ comune sono i Verdicchi della Marca di San Michele o Pievalta).

2012 – Le fecce si sentono fin dal naso. Uso del legno molto pesante appesantisce il vino e sembra non concludere ancora il suo affinamento. Acidità segnata da una bassa salivazione che rimane costante.

2013 – Lavanda copre la frutta esotica. Leggera ossidazione sul palato. Il palato all’inizio pesante si alleggerisce col tempo nel bicchiere. Una ricerca di complessità, equilibrio e struttura che inizia a definirsi in uno stile che rimane ancora leggermente confuso.

2015 – L’uso del legno inizia a migliorare anche se rimane ancora molto presente nel palato. La vaniglia diventa la coperta del biancospino.

2017 – Il legno richiede ancora molto tempo per una piena integrazione. Lime spinge sul fondo del palato. Generalmente il vino aumenta la sua eleganza (odio il termine ma qui va usato) e nella verticale quest’ultima annata sembra volgere lo sguardo verso uno stile finale dell’incontro tra Bianchello e legno. Col passare del tempo la parte vanigliata si oscura e apre su note di zucchero di canna. Ottima acidità e corpo che guardano a un affinamento in legno di 10-15 anni.

Sipario . Cos’è veramente la critica?

Devo essere onesto con voi. Sto iniziando a detestare la parte critica del mio lavoro. Durante questi ultimi difficili mesi il vostro affetto mi ha letteralmente travolto regalandomi un minuscolo momento di popolarità che sicuramente non merito e di cui non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza. Questo ha influito fortemente su come ora le persone giudicano quello che dico e su come i produttori mi vedono e si comportano con me. La mia funzione critica ora è veramente compromessa? Le persone che incontro sono reali o sono maschere costruite per leggere una mia prosa positiva nei loro confronti?

Inoltre alcuni produttori faticano a  vedere in me un sommelier, un critico o, ancora peggio, un giornalista perché viene molto più semplice vedere attraverso la mia età o il mio carattere. Grazie a questo aspetto riesco ad infiltrarmi dentro alcune realtà e a diventarne parte per qualche giorno, condividendo il loro quotidiano,  il gossip, gli obiettivi, le visioni, le paure. Nel lasciarmi andare poi cado trappola dei miei sentimenti e mi innamoro di luoghi e persone con la conseguenza del soffrirne lasciandomi questo passato alle spalle, troppo intenso nella sua brevità.

E’ possibile quindi parlare di questi Bianchello senza ricordare il mio tempo con la famiglia Avenanti? Nonostante beva tantissimo a bottiglia coperta e continui a degustare il vino per quello che è, mi devo soffermare nel chiedermi quanto il famoso “racconto” abbia importanza quando si deve parlare di tutto quello che danza attorno al vino.

Odio la parte critica del mio lavoro perché mi illudo di essere un protagonista dei miei viaggi quando invece mi ritrovo più a essere come il giornalista di “Rimini” di Pier Paolo Tondelli: un osservatore attento che deve per forza sporcarsi le mani per scrivere qualcosa di decente.

Quindi, quanto posso essere credibile quando parlo di vino? Sto veramente scrivendo per voi che mi leggete oppure è tutta una egoistica messa in scena nell’intento di forgiare in parole questi ricordi per poi poterli dimenticare e chiudere così un’altra pagina, un altro viaggio? Forse hanno ragione i miei detrattori, la vecchia scuola del giornalismo italiano che mi vede troppo naif, i poeti delle degustazioni che non sopportano le mie descrizioni, quei consorzi e associazioni di produttori che non riescono a digerire una critica, quando dicono che alla fine dei conti scrivo con il culo?

Cercherò allora di aspettarvi qui, a Fratte Rosa, per bere insieme questi vini: così potrete finalmente dire che anche io ho imparato, dopo tanto tempo, a scrivere con il cuore.

Nelson Pari

Classe 1989, nato nella felliniana Rimini, da 10 anni residente nell’isola di Albione (Londra, UK). Dopo un Master in chitarra Jazz conseguito al Trinity Laban di Greenwich, si lancia nel mondo del vino. Supervisore eventi a 67 Pall Mall di Londra, il club privato di “fine wine” piú prestigioso al mondo, e Certified Sommelier per la Corte dei Master Sommelier. Il suo vino preferito e’ Mouton Rothschild 1989 in abbinamento a Kind of Blue di Miles Davis.


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