Razionalità e sogno, due parole così distanti tra loro che sembrerebbero negarsi a vicenda, eppure a volte succede che il sogno segua una sua razionalità, specie quando non è una fantasia onirica, ma una visione chiara, un obiettivo da perseguire e possibilmente da realizzare. Luigi Moio, il professore universitario, il ricercatore, l’agronomo, l’enologo, amante della musica e della pittura, ha fatto quadrare il cerchio.
Dopo una serie di collaborazioni e consulenze con varie aziende di tutt’Italia, dà vita al suo sogno creando Quintodecimo, quasi un piccolo chateau sullo stile francese e come i francesi lo fornisce di una moderna cantina, ma senza effetti speciali e lo circonda di vigne che vengono curate con estrema attenzione, quasi maniacale.
E’ un piacere seguirlo nelle sue descrizioni delle vigne così come delle pratiche di cantina, tutto sembra così semplice, naturale, senza alcuna forzatura, eppure dietro c’è tanto lavoro certosino, simbiotico con la terra e la vite.
Anche i concetti enologici espressi sembrano di una semplicità disarmante, logici soprattutto. La cura e la passione di Moio portano a 6 vini equamente divisi tra bianchi e rossi.
A noi il piacere della prima verticale del Terra D’Eclano dal 2013 al 2004. 10 annate esemplari e didattiche, raccontate (solo per l’andamento climatico) dall’autore.
Una degustazione che si presta a varie letture ma soprattutto capace di rimettere in discussione alcuni capisaldi sinora ritenuti iincontestabili, come ad esempio quello della tannicità dell’Aglianico, gioia e dolori del vitigno.
I vini in degustazione hanno mostrato come è possibile addomesticare l’esuberanza tannica. sia con un lavoro in vigna che porti le uve ad una maturazione fenolica completa, poi con un uso delle barrique mirato e con fermetazione malolattica svolta nel rovere. Sull’uso delle barrique, cosa su cui s’è discusso molto, Moio ha le idee molto chiare, che si riflettono nei vini dove il rovere svolge il ruolo di aiuto e non di prima donna:quello che giustamente deve avere.
Il susseguirsi delle annate in degustazione ha sempre mostrato una pulizia esemplare, un frutto non condizionato dal rovere e dei tannini vellutati, nient’affatto ostici, anche in gioventù.
Vini di classe non v’è dubbio, con un frutto fresco “croccante”, concentrato ed elegante, con rovere appena accennato.
L’elenco sarebbe lungo e pur considerando le diversità climatiche che hanno caratterizzato le diverse annate, lo stile è rimasto lineare, sempre mirato all’espressività territoriale.
Ogni annata ha mostrato classe e anche le più giovani, pur con un tannino ancora lievemente “polveroso” ma di grande morbidezza, sono rimaste sulla stessa lunghezza d’onda. Per non citare anche il vino della prima annata (2004), ancora integro sia nel colore che nella freschezza, con profumi che iniziano appena a virare verso fiori appassiti e dove il tannino colpisce per la finezza.
Una esperienza che consiglio a tutti coloro che amano questo vitigno ed in particolare a coloro che sono pronti a rimettere in discussione alcune “certezze”, a partire dal biccvhiere e non dalle parole.