I vini che nascono davanti al meraviglioso mare di Hvar5 min read

Dimenticatevi per un attimo di Chardonnay, Sauvignon, bianchi campani, altoatesini e friulani, Verdicchio, Soave o qualsiasi altro bianco italico, perché nei vini che potreste assaggiare in Croazia, nulla dei riferimenti acquisiti in anni di assaggi e di bevute “intra moenia” potrà esservi utile.

Perché  qui sull’isola di Hvar ed esattamente nel paesino di Jelsa i bianchi sono altra cosa. Non fraintendetemi non ci troviamo di fronte  a chissà quali vini, ma pur nella loro semplicità non hanno alcuna  riconducibilità, per la mia esperienza, a varietà che un po’ tutti conosciamo.

L’occasione per questa istruttiva esperienza mi è stata data da una piccola degustazione organizzata dall’Ente di Turismo Croato e da Marija Marjan dell’Ente del Turismo di Jelsa, con la collaborazione di Marija Vukelic di “Stelle del vino” che ha organizzato la degustazione: non dimentichiamo la determinante collaborazione di Ivana Krstulovic Caric presidente dell’Associazione Vignaioli di Hvar.

Una due giorni che oltre alla degustazione dei vini  ha permesso anche  di avere  un’idea della viticoltura isolana. Salterò a pie’ pari la descrizione delle magnifiche spiagge e delle bellezze naturali che le isole croate offrono a chi ha la fortuna di visitarle, per guardare queste terre con l’occhio “deformato” di chi si interessa di vino e quindi alle sue vigne che sono protagoniste. Per capire quanto la produzione di vino  sia  radicata nelle tradizioni popolari basti pensare che non c’è praticamente casa che non abbia la sua konoba (cantina), dove si produce e conserva il vino.

Anche durante il periodo  socialista questa abitudine è rimasta in uso, pur se la maggior parte della produzione confluiva nella cantina statale e finiva in distillazione. Dopo il disfacimento della Jugoslavia, seguendo l’esempio di Zlatan Plenkovic, sicuramente il più noto produttore di Hvar con riconoscimenti internazionali, i piccoli vignaioli dell’isola avviano lentamente un processo che acquisendo anche  moderne tecniche di vinificazioni, li rende protagonisti di una nuova fase della produzione vinicola.

Al momento l’isola conta dieci aziende che imbottigliano, per un totale 426 ettari di superficie vitata. Il rosso plavac mali con i suoi 258 ettari  è la varietà più coltivata, mentre il bianco bogdanuša, vitigno autoctono di Hvar, ne conta 47 ed è al secondo posto dopo il trbjlian , altro autoctono, per lo più usato per la produzione di vino sfuso e domestico.

Questi sono  solo i vitigni più diffusi, ma la base ampelografia è vastissima,. La scarsa presenza di vitigni internazionali (cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot)  appena 13 ettari,  rende quest’isola una vera miniera di biodiversità viticola, con una concentrazione di vitigni autoctoni veramente unica. Tutta l’isola da nord a sud è attraversata da una catena montuosa calcarea che raggiunge i 626 metri. Il versante nord ha vigneti che degradano verso il mare con terrazzamenti anche molto ripidi mentre quello a sud è meno ripido, con una coltivazione meno estrema ma altrettanto impegnativa.

Il centro vinicolo di riferimento è sicuramente Jelsa, E’ qui che s’è svolta la piccola ma interessantissima  degustazione. Poco meno di trenta  i campioni all’assaggio tra bianchi e rossi.

Il Bogdanuša è senz’altro il vino bianco bandiera su cui molti puntano, incrementandone  in questi ultimi anni la coltivazione. E’ sicuramente il vitigno che identifica l’isola, così come il posip identifica l’isola di Korcula. Anch’esso è coltivato a Hvar,  solo 15 ettari, e usato soprattutto in uvaggio.

Il basso tenore alcolico bogdanuša lo rende perfetto per il consumo che è prevalentemente locale ed estivo. Nelle espressioni migliori  è di colore  giallo paglierino non intenso, con  profumi che ricordano i fiori di campo, il fieno fresco, a volte la mandorla verde oppure la mela smith: insomma una dominanza di sensazioni verdi.  Al palato c’è un ritorno dei toni erbacei, di camomilla ed alcune volte anche di agrumi. Ci si aspetterebbe una freschezza che in qualche modo si richiami al naso, invece tutto scorre sui placidi binari di una acidità contenuta, senza eccessive spinte. Certo non si può generalizzare, mancava all’appello qualche grande nome, ma  la degustazione metteva in evidenza proprio questo, oltre ad una gestione della cantina spesso, incerta ed ingenua.

I problemi nascono dalla gestione della vigna? Le rese sono troppe alte? il  momento della raccolta in un clima così caldo viene opportunamente ponderato?

Sono alcune delle domande che ci siamo posti. Molto meglio le cose vanno sul fronte dei vini rossi dove domina assoluto ed incontrastato Il plavac mali.  Molto spesso accostato al primitivo o allo zinfandel, ha con questi una stretta parentela essendo un incrocio dii dobricic e crnljelak kanstelanski, quest’ultimo geneticamente identico al Primitivo.

Quindi una certa rassomiglianza è abbastanza facile individuarla e certamente le condizioni ambientali sono quelle tipiche del sud:  terreni aridi a volte  sabbiosi o ciottolosi,  prevalentemente carsici con scarse  piogge e tanta insolazione. Facile quindi ritrovare schemi produttivi che giocano con un fruttuosità a volte debordante oppure, come avviene nelle interpretazioni migliori, contenuta e mitigata da un uso dei legni sia grandi che piccoli. Vale qui come altrove che la differenza lo fa lo stile produttivo, con quello che ne consegue nell’uso dei legni.

La mia personale predilezione però è andata  a quei vini giovani (2018) che non hanno subito passaggi in legno, cosa non molto comune visto che tutti vini hanno minimo 2-3 anni di invecchiamento. In questi pochi vini giovani, perlopiù prodotti da altrettanti  giovani vignaioli, è facile cogliere una bevibilità che è difficile riscontrare negli altri, con un  frutto che presenta freschezza, intensità e, cosa non facile, anche tannini molto gradevoli: il tutto senza alcuna pesantezza, visto che difficilmente si superano i 14 gradi alcool.

Non mancano ovviamente Plavac Mali di spessore, in tutti i sensi, con un uso appropriato dei legni e che rappresentano l’altra faccia della medaglia, quella diretta ad un pubblico più esigente.

Sapranno questi giovani vignaioli portatori di una nuova idea di Plavac Mali affiancare i produttori storici ed offrire un ventaglio di vini sempre più variegato senza rinunciare alla loro identità?

I prossimi anni saranno decisivi, anche per mostrare che la coltivazione della vite può essere redditizia e frenare così il progressivo abbandono di tanti vigneti, ormai in atto da anni.

 

Le foto dell’articolo sono di Julio Frangen, che ringraziamo.

Pasquale Porcelli

Non ho mai frequentato nessun corso che non fosse Corso Umberto all’ora del passeggio. Non me ne pento, la strada insegna tanto. Mia madre diceva che ero uno zingaro, sempre pronto a partire. Sono un girovago curioso a cui piace vivere con piacere, e tra i piaceri poteva mancare il vino? Degustatore seriale, come si dice adesso, ho prestato il mio palato a quasi tutte le guide in circolazione, per divertimento e per vanità. Come sono finito in Winesurf? Un errore, non mio ma di Macchi che mi ha voluto con sé dall’inizio di questa bellissima avventura che mi permette di partire ancora.


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