I tre Taurasi di Antoine Gaita5 min read

Nel gennaio 2015 Antoine Gaita ci lasciò per sempre. Ancora oggi, a distanza di quasi dieci anni, possiamo godere dei suoi ragionamenti sul vino puntando sulla sua ultima annata lavorata, il Taurasi 2009, che la figlia Serena e la moglie Diamante hanno voluto chiamare Ad Ultimum.

Antoine Gaita


Taurasi? Ma Antoine non è stato un grande produttore di Fiano? Sicuramente, ci ha lasciato una scia di grandissime annate tra il 1997 e il 2013, l’ultima che porta effettivamente la sua firma sul totale della lavorazione perché nel 2014 riuscì solo a seguire la vendemmia.
Due anni prima in un video di 13 minuti spiega perfettamente a Lello Tornatore la sua visione del Taurasi che potremmo sintetizzare in un titolo del tipo “Cogli l’attimo”. In questa chiacchierata nata per caso Antoine smantella completamente alcuni luoghi comuni che all’epoca circolavano portando alla ribalta la sua visione decisamente francese, da vero vigneron attento al territorio e alle sue variabili.  In sintesi, per lui i tre grandi areali che concorrono alla formazione di un grande Taurasi sono Montemarano, zona di uve cariche e di vini potenti, Paternopoli, dove siano in altezza e le uve maturano più lentamente regalando freschezza e, in mezzo, Castelfranci. I parametri produttivi di riferimento che cita sono quelli di Luigi Tecce e Michele Perillo. E Taurasi? Per Antoine è un caso a se stante, nascono più in equilibrio nella parte bassa della DOCG.


Per Antoine il Taurasi è dunque frutto del blend fra le uve di questi territori irpini che devono essere bilanciate in base alle annate calde, proprio alla francese, senza le solite regole scritte e codificate in percentuali che regolarmente vengono poi aggirate in Italia. Annata calda, il pendolo volge ad una maggiore quantità di uva di Paternopoli, annata fredda, verso Montemarano. La dose di Castelfranci dipende poi dal gusto, se piace o meno più fruttato.
Antoine in questa stessa intervista relativizza anche il concetto di tempo perché, dice, il vino ha sempre qualcosa da darti, come le persone, dipende da quello che cerchi e che desideri.
Il risultato di queste osservazioni sono state tre grandissime interpretazioni del Taurasi di Villa Diamante che attualmente sono vendute sui 50 euro ma che per me non hanno prezzo per la loro assoluta e totale bevibilità, eleganza, freschezza, longevità. Originalità.
Partiamo dall’ultima.

Ad Ultimum Taurasi Riserva 2009.

Scrive la figlia Serena sul sito aziendale : “La voglia di mio padre di produrre Taurasi lo portò ad elaborare un progetto che prevedeva di realizzare ogni anno un vino che fosse espressione di un territorio. Attualmente in vendita c’è il Libero Pensiero, prodotto nel 2008 da una vigna di Castelfranci. L’ultimo Taurasi di mio padre, del 2009, proviene da Montemarano”.
Il progetto di Antoine era dunque procedere per gradi, vinificando in purezza le diverse zone anno dopo anno per poi arrivare ad una sintesi, sintesi che non è mai arrivata a causa della sua scomparsa. Ad ogni annata aveva dato tempo, proprio per capire l’evoluzione, da vero artigiano che non si fa condizionare dal mercato.
Ad Ultimum è un vino di potenza, un Cassius Clay che saltella attorno all’avversario, lunghissimo, fresco, dai tannini pienamente e abilmente risolti.

Taurasi Riserva Libero Pensiero 2008.

Un nome allora lanciato in polemica con le commissioni di assaggio delle doc che gli avevano chiesto di rivedere il suo Fiano Clos d’Haut. Lo abbiamo bevuto di recente trovando quello che ci aspettavamo ma anche molto di più: un vino assolutamente infinito, di valore assoluto, in grado di competere con i grandi. La strada possibile dell’Aglianico che non deve vergognarsi del frutto pur senza rinunciare alla freschezza e ai tannini. Il Libero Pensiero è un vino che ormai non vuole più alcun abbinamento.

Pater Nobilis Taurasi Riserva 2007

Da Paternopoli.  Annata calda, forse per questo Antoine decise di partire dal punto più alto della denominazione regalandoci forse il Taurasi più fine e ricco di sempre. Vino di una attualità sconcertante, per certi versi simile a un Barbaresco di Rizzi.

Tre vini indimenticabili che dimostrano la capacità progettuale di Antoine e sottolineano la grandissima perdita che ha subito il mondo del vino con la sua scomparsa. Elastico come un francese nel cambiare protocolli, poco disposto ai compromessi come un irpino. Può sembrare un ossimoro, ma non lo è: la sua inflessibilità riguardava la libertà del viticoltore di poter sperimentare come e quanto gli pare ma al tempo stesso dichiarando con onestà assoluta quello che realizza nella produzione del vino. L’elasticità sta nel cavalcare l’annata come con un surf, senza incaponirsi sui protocolli e al tempo stesso decidere in quale direzione muoversi senza farsi travolgere dalle onde. Nessuno come lui è stato interventista e al tempo stesso rispettoso della natura e delle condizioni pedoclimatiche.
Al di là delle differenze, la 2008 e la 2009 (annata piovosa e terribile per l’Aglianico a causa di un ottobre pieno di pioggia) più concentrate della 2007, tutte e tre le esecuzioni restano uniche nel suo genere e rivelano la stessa mano.
Un grande, grandissimo vigneron, che per fortuna ha trovato nella figlia e nella moglie la volontà esecutrice del suo testamento enologico.


Luciano Pignataro

Luciano Pignataro è caporedattore al Mattino di Napoli, il suo giornale online è Luciano Pignataro Wineblog.


LEGGI ANCHE