I ragni di Musar6 min read

Per rispondere alla prima questione posta nell’altro articolo, quella relativa al covo delle streghe, devo  raccontare la mia visita a Château Musar che, in ordine cronologico corrisponde alla prima.

Mi ero già messa d’accordo con Tarek Sakr e Gaston Hochar in precedenza via mail, e avevo ricevuto una mappa per andare a Ghazir, un villaggio che si trova a 35 km a Nord di Beirut, subito dopo Jounieh, sulle montagne. Ma nonostante questo sono riuscita ad arrivare in ritardo di almeno un’ora.

Poco male,  al nostro arrivo Tarek Sakr, l’enologo, ci accoglie calorosamente, iniziamo a parlare in inglese, ma poi ci sentiamo molto più a nostro agio con il francese canticchiato alla libanese. Tarek sta aspettando un camion di Roussanne, per lui si tratta di un esperimento e a Tarek piacciono molto gli esperimenti, o comunque piace fare di testa sua contro il parere degli altri. Château Musar è conosciuto dall’entourage vinicolo libanese come una cantina che fa sempre di testa sua. I suoi vigneti si trovano nella valle della Beqaa, e durante le vendemmie ogni mattina i camion portano l’uva a Ghazir per la vinificazione. Quest’anno le vendemmie in Libano, complici le temperature elevate, sono iniziate qualche giorno prima.  

Per la prima volta il Cabernet Sauvignon è stato vendemmiato il 15 agosto, mentre l’anno scorso le medesime uve erano state raccolte il 24 agosto. Assaggio dunque dell’ottimo succo di Cabernet Sauvignon, fresco e zuccherino,  nel frattempo arriva il primo camion di Roussanne; un mezzo di trasporto tradizionale un po’ datato, con i folkloristici cedri dipinti ai lati.

Per non disturbare l’attività di scarico dell’uva, seguiamo Fadia, la responsabile dell’accoglienza, che ci mostra prima di tutto gli alambicchi dove viene estratto e prodotto l’Arak. L’Arak è la bevanda nazionale; si tratta di uno spirito ottenuto dalla distillazione di alcol prodotto a partire da uve provenienti da vitigni di almeno 5 anni. La particolarità dell’Arak di Musar è che viene distillato 4 volte (contro le 3 tradizionali) e solo nell’ultima distillazione viene in contatto con l’anice. Poi viene fatto “invecchiare” in anfore di terracotta per almeno un anno.

Di solito lo si consuma diluito con un po’ d’acqua, anche se ho già visto dei libanesi berlo in purezza. Io ci ho provato a berlo puro, utilizzando i bicchierini di cioccolato bianco ideati da Domaine des Tourelles, ma questa è un’altra storia.

Château Musar ha ottenuto la certificazione di produzione di vino a partire da uve biologiche dall’Istituto Mediterraneo di Certificazione, ma per Tarek il concetto di naturale va ben oltre la vinificazione, nel senso che la vinificazione avviene senza l’aggiunta di solfiti, o quasi. Fadia ci tiene molto a farmi capire l’impegno di Musar nel seguire i ritmi della natura, nel non forzare la mano in nessun caso.  La vinificazione inizia nel cemento per 15 giorni e poi in acciaio e poi ancora in barrique a seconda della gamma di riferimento. La linea della Cuvée non passa nel legno, perché si tratta di vini nati per essere consumati subito e per invecchiare al massimo, nel caso del rosso, 5 anni.

Poi c’è Hochar Père & Fils: assaggio il 2007, e posso assicurarvi che ho bevuto qualcosa di davvero speciale, sia se rapportato ai vini biologici o presunti tali che ci sono in circolazione, sia rapportato ai vini prodotti in maniera più “convenzionale”. Hochar Père & Fils lo possiamo bere solo rosso, si tratta di un assemblaggio di cinsault, cabernet sauvignon, carignan e grenache. Viene dapprima vinificato in acciaio per poi trascorrere 6 mesi in barrique e ritornare ancora nell’acciaio prima di finire in bottiglia. E’ un vino facile da bere, quasi “croccante”, forse un po’ femminile, magari per la vaniglia e i frutti di bosco appena raccolti. Fadia mi dice che può invecchiare sino a 15 anni, quindi tra 15 anni vi dirò se è vero o no!

Infine c’è Château Musar, che corrisponde al top della gamma: dapprima assaggio il bianco 2004, ad occhi chiusi, ed è talmente complesso nelle note percepite, che quasi quasi, si sarebbe potuto confondere con un rosso floreale con erbe, miele e fiori, in continua evoluzione.

Anche il rosso 2003 è sorprendente nella sua delicatezza, in generale si tratta di un vino che trascorre 18 mesi in legno, e che può invecchiare più di 30 anni.

Ma torniamo alla visita della cantina, direi una cantina come cento altre, se non fosse stato per il luogo dove vengono stoccate le bottiglie. Scendiamo al secondo piano sottosuolo, con un aggeggio che somiglia più ad un montacarichi che ad un ascensore. Si tratta di un luogo scavato nella roccia, una roccia che traspira acqua: i muri infatti sono sempre umidi, quasi bagnati. Ci sono ragnatele che pendono ovunque e a dispetto della temperatura esterna di 35 gradi, qui sotto ce ne sono 18. Le bottiglie sono disposte in file orizzontali, e sono tutte ricoperte da un soffice manto grigio scuro, che talvolta raggiunge i 3 o 4 cm. Per spostarci dobbiamo sollevare le ragnatele che ci sfiorano il viso. Guardando con attenzione scopriamo che questo luogo è abitato da una miriade di ragni, perlopiù ragni “ballerini”, quelli dal corpo piccolo e le zampe lunghe.

Fadia è fierissima di mostrarci questo dettaglio, uno dei segreti di Musar. Le chiedo candidamente come mai non tolgano le ragnatele almeno dal soffitto; lei con semplicità risponde che i ragni si nutrono di tutti gli insetti che in qualche modo potrebbero danneggiare i tappi delle bottiglie, rigorosamente in sughero: insomma, sono li per svolgere un lavoro.

L’impressione che ho avuto è che a Château Musar ciascuno abbia il suo ruolo ben preciso, in primis le stagioni, poi a seguire lo trascorrere del tempo che inesorabilmente rivela la personalità di ciascuna bottiglia. Ciascuna bottiglia per Château Musar è una bottiglia a sé, anche se si tratta della stessa annata, due bottiglie apparentemente identiche possono rivelare personalità differenti, che esprimono entrambe i valori di Musar. “Give my wine more time and my wine will give you more joy”, è così che ci saluta Tarek, e noi ce ne andiamo, con una bottiglia di Hochar Père & Fils ovviamente.

Château Musar non è l’unico ad aver ottenuto la certificazione dell’Istituto Mediterraneo di certificazione, ma è sicuramente il più conosciuto e il più apprezzato, anche se vi dirò, qualche perplessità nel merito del viaggio dell’uva dalla Beqaa à Ghazir in camion non refrigerati sotto un sole che dire cocente è un eufemismo mi resterà!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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