I giovani, il vino e tanti luoghi comuni da sfatare5 min read

Il trend del vino del momento è capire la direzione dei consumi dei giovani, acquirenti attuali e futuri di bottiglie e cocktail.

All’interno del Wine Talk “Cosa bevono i giovani?”, sponsorizzato dal movimento Generazione Sangiovese e ospitato da “Il Gusto Toscano”, manifestazione organizzata da Artex e Promowine presso il Conventino Fuori le Mura, l’ho chiesto ai diretti interessati: 4 professionisti con un’età media di 27 anni e già da alcuni anni inseriti nei loro settori di riferimento. Hanno risposto in modo diretto a molteplici dubbi che attanagliano produttori, distributori e soprattutto i guru del marketing. Ecco cosa è emerso.

I professionisti coinvolti nel wine talk provengono da formazioni diverse, e questo ha consentito di non chiudersi sul tema vino: Rebecca Baroncelli enologa del laboratorio d’analisi Enocofi, Francesca Noce giornalista freelance, Davide Nasti barman del caffè Paskowski, Cosimo Giuntini titolare dell’enoteca fiorentina Vino al vino.

Alcune cose hanno colpito particolarmente durante la chiacchierata, in primis quella che sembra una critica ai giovani sul loro rapporto non quotidiano con l’alcool: “Possibile che ci si lamenti che beviamo meno?”.

I consumi sono cambiati e questo lo sappiamo tutti, vino e drink oggi rientrano solo in un contesto conviviale, di aperitivo, di cena, di celebrazione: il prodotto di per sé non è al centro dell’attenzione dei giovani.

Altro elemento emerso è il fallimento del tentativo di avvicinare il vino alla mixology, non per una questione di qualità miscelative del prodotto, ma perché gli stessi giovani riconoscono un’identità al vino che con la miscelazione viene derubricato.

Cocktail con ingredienti di pregio, esclusivi etc…? Non interessano: alzano i prezzi e non rappresentano l’esperienza ricercata, legata piuttosto al locale dove si fruisce la bevuta e il tipo di persone con cui si condivide.

I giovani bevono vino nelle occasioni speciali e quello che cercano sono sapori e profumi nuovi, non i brand. Davide Nasti ha riferito che, come barman, l’ascolto e la proposta al cliente è un aspetto chiave. Cosimo Giuntini ha confermato che in enoteca accade la stessa cosa: il giovane chiede consiglio all’enotecario. Chi arriva già con le idee chiare invece ha consultato un APP come Raisin e Vivino, o siti come Call me wine.

La fascia di prezzo che i giovani consumatori prendono in considerazione non è bassa come si vocifera: 30 euro per una bottiglia da condividere direttamente in enoteca, 20 euro per quella da portare a casa o a una cena. E per i cocktail? Per un buon drink servito per bene, con prodotti di qualità, 15 euro è un prezzo ritenuto corretto. Da notare che per i cocktail sempre più frequente è la richiesta di low alcool.

Altro tema, quello della lattina e del tappo a vite. Il tappo a vite non spaventa in alcun modo i giovani, pur consapevoli che non tutti i vini possono tollerare questo tipo di chiusura. La lattina solletica, ma viene accettata per la comodità nell’ambito di un party, di un evento, in cui il drink non è al centro, esattamente come funziona con la birra. Da notare che nell’immaginario il vino dentro una lattina è tassativamente con le bollicine.

Giuntini ha raccontato di averne assaggiati diversi di buona qualità, ma che il loro ritmo di consumo è tale per cui in enoteca non li tengono. L’enologa Baroncelli ha poi spiegato il passaggio dalla lattina per vino 1.0 a quella 2.0, ovvero da una serie di deludenti vini dal forte sentore di riduzione, risolto attraverso l’applicazione di un polimero all’interno del contenitore: non è l’assenza d’ossigeno ad aver causato i cattivi odori nel vino, bensì una reazione chimica tra il vino stesso e l’alluminio.

La giornalista Noce ha smontato invece i pilastri del marketing: non è vero che i giovani non leggono, bensì bypassano ciò che è prolisso e superfluo. Poche informazioni, chiare, dirette e verificabili. Gli story telling maestosi non agganciano le nuove generazioni. Ecco perché contenuti social che raccontano l’azienda, le persone che ci lavorano, i luoghi, restituendo uno spaccato del background del prodotto, sono quelli dove si soffermano maggiormente. Descrittori, abbinamenti prestabiliti, non funzionano: oggi il mondo è ampio, ampi i sapori a cui attingere per la tavola di ogni giorno. Il vino raccontato dal piedistallo non incontra più l’interesse di giovani che sono internazionali, smart, diretti: anzi li allontana. Perciò meglio un vino sconosciuto ma con tanto da raccontare e intriso del rapporto umano di chi te lo propone e serve. Ed ecco che i vini definiti naturali fanno spesso match con questa scelta per il contesto stesso in cui nascono: piccole aziende, dove il rapporto umano persiste.

Il futuro di vino e drink? La sfera di cristallo non ce l’abbiamo, eppure unendo i puntini sembra evidente che o entrano nella logica di un life style coerente con i valori che racchiudono, o rimangono sugli scaffali a raccogliere polvere. 

Barbara Amoroso Donatti

Appassionatissima di vino e soprattutto “liquidi con qualche grado in più”. Punto di riferimento del giornale per tutto quanto riguarda il mondo dei superalcolici.


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