Ho partecipato al Valpolicella Annual Conference e vi dico che…3 min read

Venerdì scorso ho partecipato alle sessioni mattutine e pomeridiane della Valpolicella Annual Conference, l’evento online che in pratica ha sostituito, in tempi di Covid,  l’Anteprima Amarone.

Nei giorni passati l’attenzione su questa iniziativa si era concentrata sulle microscopiche bottigliette da 20 cl inviate per la degustazione, criticate da molti (anche da me) per il formato lillipuziano.

Ma veniamo ai contenuti e partiamo dalla conferenza mattutina, dove si sono succeduti vari relatori. Un punto a favore è stato l’assoluto rispetto dei tempi e i brevissimi saluti istituzionali iniziali sono rimasti finalmente ancorati ai 3-4 minuti.

Uno dei problemi delle conferenze online che abbondano in questi periodi è infatti  l’enorme spazio che viene dato alle chiacchiere istituzionali (presidenti, politici, sponsor) che non solo allungano il brodo ma ti fanno venire voglia di abbandonare anzitempo il collegamento. Ho partecipato di recente ad altri due eventi online che dovevano essere di 75 minuti e dopo 35 eravamo sempre ai saluti… Quindi da una parte un bravo al Consorzio della Valpolicella dall’altra un consiglio a chi vuole organizzare questi incontri: se sei in una sala “l’istituzionale” lo subisci obtorto collo, se sei al computer togli l’audio e il video e fai altro. Quindi tutte parole al vento e sarebbe il momento di dargli un taglio.

Come accennato c’erano vari relatori: da grossi rivenditori di vino online all’onnipresente e bravissimo Denis Pandini, a creatori di catene di enoteche, ma quello che mi ha colpito di più è stato Roberto Burro, professore dell’Università di Verona che ha parlato di un suo studio su come i non esperti recepiscono e capiscono quello che dicono su di un vino gli esperti di vino. Un campo che andrebbe sicuramente approfondito e cercheremo di farlo, sia intervistando il Professor Burro che leggendo il lavoro fatto da lui e dalla sua equipe.

In definita, a fine mattinata il voto alla manifestazione si assestava sul 7.

La degustazione pomeridiana l’ha fatto crollare a 4!

Questo non a causa dei relatori, tutti bravi e competenti (anche se qualche gaffe c’è stata) ma perché una degustazione che vuole presentare un territorio e alcune tipologie del vino che vi si producono (quindi un qualcosa di abbastanza approfondito)  non può essere affidata a delle parole, ad un po’ di dati e soprattutto a microbottigliette da puffi.

Se proprio si voleva puntare su quello che è la negazione della bellezza del  vino, cioè un microcampione asettico peggio di una provetta da laboratorio, da consumarsi inoltre in rigorosa solitudine, forse passare delle slides sulla Valpolicella e sui vigneti da cui venivano quei vini avrebbe reso più “umana” la degustazione.

Inoltre anche se spedire 12 bottiglie da 0.375 nel mondo avrebbe avuto un costo molto alto e forse problemi doganali, almeno dal Giappone agli Stati Uniti, all’Australia, i giornalisti avrebbero avuto in mano un segno tangibile della Valpolicella e non un microcontenitore di plastica. Capisco che organizzativamente parlando sarebbe stato difficilissimo, ma così non abbiamo sfruttato per niente la cosa più importante che abbiamo: la bellezza, la grande bellezza della Valpolicella, che una piccola ma reale bottiglia in vetro poteva portare con se.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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