Guida vini. Roero Arneis: un buon 2022 ma attenti al “limbo”4 min read

Nonostante tornare in Roero ci piaccia sempre di più questa volta l’immagine che ci porteremo dietro per molto tempo non sarà quella di una bella bottiglia o di un ristorante, ma quella di un vigneto praticamente distrutto dalla grandine. Ci ha fatto veramente male al cuore vedere viti che sembravano potate male, con ancora qualche foglia attaccata a casaccio e con la pianta ridotta ad un pezzetto di legno che esce per 40/50 centimetri dal terreno. Si possono vedere immagini di palle di grandine grosse come mele ma finché non vedi la distruzione che portano con se non puoi provare in pieno il dolore interiore per qualcosa che non c’è più: un annata di lavoro.

“Per fortuna” la grandine ha colpito solo alcune parti del Roero (e della Langa e dell’Alta Langa) e quindi, incrociando le dita, torniamo ai nostri vini. In particolare al Roero Arneis (del Roero parleremo, come sempre, più avanti) di cui quest’anno abbiamo degustato quasi sessanta campioni, potendoci fare un quadro abbastanza chiaro delle nuove uscite

Vogliamo subito affrontare un tema che può sembrare scomodo ma  forse rappresenta in maniera chiara il momento di questo vino/vitigno, che oramai non è più da bere giovane ma nello stesso tempo non viene visto come un vino da invecchiamento.

In questo “limbo” (dove tra l’altro gli fanno compagnia tanti altri vini bianchi italiani) un produttore si trova a dover decidere, anche e soprattutto nel momento dell’imbottigliamento, “lo stato di forma del vino”, ovvero quale evoluzione futura dare al suo Arneis d’annata, cioè se averlo pronto da subito o, all’opposto, un po’ ritroso e chiuso nei primi mesi ma poi in perfette condizioni  dopo 8-10 mesi e più.

Per far questo le armi a sua disposizione sono essenzialmente due, la dose di solforosa da aggiungere e il tipo di chiusura, più o meno “sigillante”. Se specialmente il produttore crede di avere tra le mani un ottimo vino e pensa di renderlo magari un po’ meno pronto sin da subito ma con maggiori possibilità future di evoluzione, userà qualche milligrammo in più di solforosa  e/o magari una tappatura tecnica o naturale con permeabilità minori. Questo però porta ad una certa “chiusura” dei vini nei primi mesi dopo l’imbottigliamento, di solito il momento in cui vengono degustati per le guide.

Se poi ci mettiamo che l’Arneis non ha intensi profumi primari questa “chiusura” è ancor più accentuata e non permette una perfetta lettura del vino.

Sicuramente una discreta fetta degli Arneis 2022 degustati sono assimilabili a quanto sopra detto, ma per fortuna la maggioranza ci ha presentato le vere caratteristiche della 2022.

Intanto è un’annata con delle colorazioni più intense e, nonostante il caldo e la siccità, i vini hanno profumi di frutto maturo ma mostrano una bella freschezza e ampiezza aromatica, sicuramente superiore al 2021. In bocca hanno sapidità, discreta concentrazione e buona dinamicità: non certo quello che ci si poteva aspettare, sulla carta, dalla 2022.

Sul fronte della tipologia Riserva si notano alcuni netti miglioramenti nell’uso del legno anche se, anche qui, qualche chiusura aromatica di troppo la troviamo.

Le annate più vecchie presentate, riserva o meno,  dimostrano le grandi possibilità di invecchiamento del vitigno: non da tutte le parti troviamo bianchi di 7 e 10 anni così in forma e non da tutte le parti troviamo un così positivo rapporto qualità/prezzo.

Anche per questo, nonostante l’appunto sulle “chiusure”  fatto all’inizio, siamo molto più soddisfatti dell’annata 2022 di quanto lo fossimo della 2021 lo scorso anno.  Il processo di crescita è chiaro, il territorio e i produttori ne  sono sempre più convinti  e vi investono le loro energie. Del resto l’Arneis è ormai in Roero il vino trainante e, anche con logici problemi di crescita e di posizionamento,  ha tutte le carte in regola per continuare ad esserlo sempre più.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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