In questo ultimo articolo dedicato alle bollicine italiane non andremo dalle Alpi alle Piramidi ma sicuramente toccheremo territori diversi e distanti tra loro, in particolare L’Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia e poi, scendendo un pizzico di Valtellina, Piemonte Veneto, Marche e Sicilia.
Alto Adige
L’Alto Adige non è storicamente un grande (nel senso dei numeri) produttore di metodo classico e una delle motivazioni, tutti dicono, è perché già vende tutto il suo vino nella “modalità fermo”. In realtà un piccolo focolaio di metodo classico in Alto Adige c’è sempre stato ed oggi si sta allargando, non tanto perché vendono meno vino fermo, ma perché è un mercato importante (si parla quasi di un miliardo di euro) e quindi anche l’Alto Adige ne vuole una fetta.

Il mondo delle bollicine altoatesine, dal punto di vista del numero di bottiglie, è molto diverso da quello del vino fermo perché le grandi cantine sociali e i grossi marchi sono stati tra gli ultimi ad entrare in questo settore, dove da molti anni due-tre case spumantistiche lo hanno praticamente monopolizzato. Oggi vediamo infatti alcuni cantine cooperative produrre interessanti metodo classico ma in numeri veramente bassi, giusto per testare il mercato e capire possibili sviluppi.
I nostri assaggi riflettono un po’ questa situazione: pochi vini, soprattutto dai produttori storici, ma con alcuni qualitativamente interessanti inserimenti sia di cantine cooperative che di nuovi piccoli produttori. I risultati sono stati veramente interessanti: vini con ampie gamme aromatiche dove la freschezza è la matrice comune ma dove si intravedono anche reali possibilità di maturazione. Risultati quindi positivi, con prezzi non certo bassi ma in linea con il mercato.

Friuli Venezia Giulia
Le bollicine friulane, parlando di metodo classico, sono anch’esse una recente scoperta, anche se alcuni pionieri le producono, con ottimi risultati, da anni. Il panorama però è ancora variegato e naturalmente legato in buona parte alla produzione di charmat brevi o lunghi da uve locali, come la ribolla gialla. I metodo classico a base delle uve iconiche per la tipologia hanno in vari casi il cartello “lavori in corso” e con questo spirito ci siamo approcciati all’assaggio, quasi propedeutico per gli anni futuri. Abbiamo trovato pulizia e nettezza tecnica ma sicuramente siamo all’inizio di un processo che non potrà che crescere, specie se i produttori friulani capiranno che per produrre delle buone bollicine bisogna pensare in maniera molto diversa rispetto alla produzione di un vino bianco.
Dalle Alpi alle Piramidi
I rimanenti spumanti ci sono arrivati un po’ da tutta Italia e quindi è difficile parlare in linea generale, però alcune brevi annotazioni vanno fatte. La prima è per la durella e per i “suoi” metodo classico, che secondo noi stanno raggiungendo ottimi livelli di equilibrio e complessità. Bisognerebbe però smetterla con i Durello giovani, fatti per entrare comunque in un mercato importante ma che alla fine, proprio per le caratteristiche di acidità e austera durezza dei vini giovani, allontanano più che avvicinare il consumatore finale. Parlando di durella ci viene da segnalare un’altra uva autoctona, la pignola valtellinese di rara eleganza e di particolare aromaticità. Altre uve autoctone hanno scandito i nostri assaggi: dal cortese al nerello mascalese, passando per il verdicchio e la garganega, dandoci sensazioni piuttosto divergenti.

A conclusione della nostra carrellata sui metodo classico italiani, che ha messo in campo Franciacorta, Trento Doc, Alta Langa, Oltrepò Pavese sino a quelle che abbiamo presentato oggi ci viene da parlare non solo di sensazioni positive. Quelle negative non riguardano tanto la qualità dei vini (anche se in qualche caso bisognerebbe stare più attenti) ma la voglia di navigare l’onda di un mercato in crescita che però, proprio perché si sta piano piano separando da quello del Prosecco, ha sempre più bisogno di vini che non puntino a “obiettivi aromatici e gustativi” simili a quelli della glera (peraltro validissimi) ma presentino reali diversità (con numeri più importanti), quelle che tanti consumatori vanno a ricercare negli champagne. Abbiamo un bel dire che tanti metodo classico italiano non hanno niente da invidiare ad altrettanti champagne, ma se poi sul mercato questi vengono sommersi da metodo classico di elevata semplicità come può un consumatore farsi una quadro e fidelizzarsi all’ IBI, che non è una banca ma un acronimo creato sul momento e sta per Importante Bollicina Italiana.
Cosa fare? Una strada la stiamo perorando da sempre: maggiori tempi di affinamento dei vini dopo la sboccatura (magari, in caso di lunghe o lunghissime permanenze sui lieviti, diminuendo proprio quelle, e avendo così gli stessi tempi di ingresso sul mercato) sarebbero una vera mano santa e presenterebbero al mondo vini meno bloccati dalla solforosa del degourgement e più complessi grazie a processi di cui abbiamo parlato qui. Naturalmente è solo una proposta da inesperti ti di spumantistica ma questo ci sentivamo di dire.
A questo punto come concludere? Naturalmente con un consiglio a tutti voi: a Natale brindate con bollicine italiane: ce ne sono per tutti i gusti, tutte le tasche, tutti i palati.