Guida vini. Etna Rosso Doc: ottima qualità ma forse siamo troppo “Contradaioli”3 min read

Parlare dei rossi etnei porta inevitabilmente a confrontarsi con il concetto di Contrada e quindi anche con la certosina e meritoria suddivisione in 133 (142 prossimamente) contrade censite e riconosciute dal Consorzio di Tutela. Un lavoro che credo sia solo agli inizi in quanto, dopo aver censito,  si tratta adesso di capire i tipi di suoli e i microclimi che li circondano.

Un lavoro importantissimo ma, come dicevo, in gran parte da fare. Mesi fa parlavo con tecnici che lavorano sull’Etna, anche di aziende siciliane molto importanti, e pure da loro traspariva la velata certezza di essere all’inizio di un lavoro di comprensione dei terreni e delle vigne che hanno in gestione.

Quindi in questo momento potremmo definire l’Etna un cantiere a cielo aperto, dove (naturalmente con varie “fasi di avanzamento lavori”) oltre a produrre vino si cerca anche di capire al meglio le interazioni tra terreni, microclimi, altitudini e, last but not least, vignaiolo.

Un cantiere che darà i suoi frutti negli anni ma che già adesso propone vini di ottimo profilo qualitativo.

Però, pur parlando di ottimo livello qualitativo  mi sento di andare un p’ controcorrente affermando che non basta mettere in etichetta la parola “Contrada” per avere non tanto un buon vino ma un prodotto figlio in maniera chiara di quel e solo quel territorio.

Qui mi sento di spiegare il termine “contradaioli” usato nel titolo e mutuato dal Palio di Siena, dovei contradaioli sono “a prescindere” per la loro contrada e contro la contrada nemica. Sull’Etna non ci sono contrade nemiche, per fortuna, ma noto invece una certa passione mal controllata e “a priori” (potremmo chiamarla moda?) per i vini che hanno il termine Contrada nel nome, senza valutare attentamente la loro qualità.

Ci sono due concetti da non confondere: uno è l’unicità di un vino e l’altro è la sua qualità. Se sul secondo punto l’arrivo di tanti grandi produttori siciliani e italiani di alto profilo ha di fatto trasformato il vino etneo, portandolo a ottimi livelli qualitativi, sul fronte dell’unicità, del vino figlio di quel fazzoletto di terra, credo ci sia ancora diversa strada da fare.

Quello che non vorrei succedesse in futuro e che si cominciasse a scambiare l’unicità, magari ricercata con mano tecnica non ineccepibile, per qualità, portando fuori strada il consumatore. Questo per adesso non è accaduto ma i produttori sull’Etna crescono ogni giorno e il rischio di ritrovarsi con “interpretazioni particolari” per me è più che reale.

Sempre a proposito di unicità, dopo aver degustato quasi  50 Etna Rosso, molti dei quali con la dizione di “Contrada” in vari casi abbiamo trovato vini di zone diverse  che si somigliavano molto, con buona pace del concetto. Vini peraltro buoni ma dove prevaleva, almeno adesso,  la mano di cantina.

Nerello mascalese

Ribadisco che la qualità per gli Etna Rosso è alta (84% dei vini ha raggiunto e superato la soglia degli 80 punti, che per noi, lo ripetiamo sempre, non sono pochi) e che il nerello mascalese in primis è un vitigno  dalle possibilità ancora da esplorare.

Chiudiamo con due appunti che facciamo sempre: da una parte i prezzi piuttosto alti (ma non quanto i bianchi): c’è da dire però che spendendo siamo quasi sicuri al 100% di bere bene. Il secondo appunto riguarda il peso delle bottiglie, assurdo e intollerabile, oggi più di ieri.

La foto di copertina è di Websi da Pixabay

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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