GUIDA VINI. Bardolino Chiaretto 2017: annata “da cavallette” ben superata3 min read

Da tempo sostengo che la corvina è uno dei vitigni più eclettici d’Italia ed ogni volta che vado in zona Bardolino ne ho conferma: nell’arco di trenta chilometri lo stesso vitigno (da solo o assieme ad altri vitigni, ma sempre gli stessi) dà vita a rossi giovani freschi e fruttati, rossi importanti da lunghissimo invecchiamento, vini spumanti dalle insospettabili doti e, last but not least, a rosati piacevoli e ben caratterizzati. Quest’ultimi, come tutti sanno, si chiamano Bardolino Chiaretto e dell’annata 2017 ne abbiamo degustati quasi 50.

Qualcuno in zona ha definito la vendemmia 2017  “Quella a cui mancavano solo le cavallette” ed in effetti partendo dalle gelate primaverili e arrivando alla lunga siccità estiva  l’annata in commercio adesso è stata indubbiamente molto, ma molto difficile per i viticoltori (non solo in zona Bardolino).

Se il Bardolino ha avuto e avrà modo di reagire meglio all’annata (ma di lui parleremo tra qualche tempo) il Chiaretto difficilmente poteva giocare la carta della freschezza e, nello stesso tempo, del buon corpo e della rotondità, però il risultato finale è stato comunque interessante.

Bisogna dare atto che dal punto di vista aromatico i Chiaretto 2017 hanno tenuto botta, mostrando una gamma  dove le sensazioni fruttate sono  mature ma piacevoli e assolutamente non in via di evoluzione. Se i problemi della “annata da cavallette” al naso vengono superati in bocca vengono a chiedere dazio e i vini assaggiati spesso, per cercare di mantenere un minimo di freschezza senza  mostrare momenti di vuoto, in buona parte sono ricorsi “all’arma autorizzata” dello zucchero residuo. Alcuni ne hanno fatto un uso forse eccessivo, che si percepisce proprio perché manca un contraltare a bilanciare.

Ci sono comunque delle belle espressioni asciutte e sapide, assolutamente godibili e altri vini dove questa rotondità non è squilibrata e, specie a tavola diventa quasi un motivo a favore del vino.

Bardolino, dove nasce il Chiaretto, ha belle tonalità rosa al tramonto.

Sono convinto che da 6-7 anni, per esempio dalla caldissima vendemmia 2012, dal punto di vista tecnico in zona sono stati fatti tantissimi passi avanti ed oramai il Chiaretto non è più un vino da bere il prima possibile o comunque da guardare dall’alto in basso, ma è oramai un rosato che ha tutte le caratteristiche per primeggiare nel moderno mercato di questa tipologia.

L’importante è che “l’arma autorizzata” venga utilizzata con giudizio solo quando è indispensabile e non diventi un fattore irrinunciabile, visto che oramai la sensazione amabile è un grimaldello utilizzato per aprire il palato di tanti consumatori.

I consumatori pare amino anche rosati piuttosto scarichi e il Chiaretto sta da alcuni anni puntando in maniera generale ad una tonalità “buccia di cipolla molto scarica”. Per fortuna non tutti stanno seguendo questa strada, tracciata in maniera inequivocabile dalla Provenza, oramai “rosatizzata” a livelli impensabili fino a qualche anno fa.

La mia idea è che seguire una moda (e non crearla) ti espone sempre ai sussulti e ai cambiamenti della stessa: molto meglio avere una giusta varietà cromatica, senza eccessi nei due sensi ma con un range che rappresenti tranquillamente la triade “vitigno/i-annata-terroir”. Per questo non mi scandalizzo quando vedo varie gamme di colore nei Chiaretto, anzi mi sembrano sintomo di vitalità e libertà d’espressione.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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