Gradirebbe un Côte de Nuits di 43°?5 min read

Ultimamente gli scozzesi hanno perso la testa per i legni. Da sempre, si sa, il buon whisky viene invecchiato in fusti, dalle caratteristiche comunque assai variabili. Tradizionalmente infatti, le botticelle arrivavano in Scozia dopo aver già prestato servizio nel trasporto di qualche vino fino ai porti inglesi. Inoltre da un po’ di tempo noi enofili abbiamo cominciato a dare tanta, forse troppa importanza ai contenitori. Specie e sottospecie di alberi, dimensioni e origine dei legni, grado di tostatura, verginità o semiverginità dei fusti,  tempi di permanenza e quant’altro vengono snocciolati in bella evidenza sulle etichette o sui siti internet, appena un vino vuol darsi una qualche importanza. Ebbene il fascino del legno ha colpito più recentemente proprio fino in Scozia, dove certi distillati d’orzo d’alta gamma vantano la permanenza in barriques rigorosamente usate, e rigorosamente per vini di prestigio. I toni ammorbidenti  conferiti dalle botticelle dove sono passati i classici, inglesissimi Porto, Sherry e Madera vanno – beninteso – sempre alla grande. Recentemente ho comprato sull’isola di Skye – direttamente in azienda, – chè altrove non è dato trovarla – un’edizione limitata del celebre Talisker. Si tratta di un “double matured”, espressione che riecheggia sinistramente certi nostri vini passati due volte in barriques sempre nuove. Ebbene questo Distiller’s Edition 1988 (che è l’anno di distillazione, mentre quello di imbottigliamento è il 2001)  dopo un primo affinamento riceve il tocco finale in botticelle che hanno ospitato dell’Amoroso,  una categoria di Sherry francamente un po’oscura ai più comuni mortali bevitori. In ogni caso il gusto è risultato non buono ma ottimo, con elegante equilibrio tra dolcezza caramellata e salinità, e lungo finale sostenuto.  Il contributo dei vini iberici, tuttavia, non è piu così trendy: il vero raffinato dà oggi la caccia alle limited editions che hanno goduto del contatto con barrique di Bordeaux o di Borgogna. C’è addirittura il sospetto che qui si nasconda la simpatia degli scozzesi per la Francia, in storica funzione antiinglese. Ecco la celebre Bowmore offrire il Claret, che come avrete intuito è finito in botticelle  girondine, ecco Glenmorangie con il suo 2000 Côte de Nuits, bissato nell’anno seguente dal Côte de Baune e addirittura dal Sauternes nel 2002, il cui gusto è stato defnito “sexy” dal superesperto d’orzi Micael Jackson.. In alternativa potete tuffarvi nell’intrigante gamma della Glen Moray, sempre che li troviate: un loro single malt viene “ammorbidito” (mellowed)  in barriques ex Chardonnay. I più raffinati si godranno il contributo dello Chenin Blanc in ben due versioni, 12 e 16 anni. E che ne direste del millesimato ’76, targato Vallèe du Rhône? Ancora più precisa l’etichetta del Glenmorangie Tain L’Hermitage, che potrebbe inaugurare la serie dei “cru multinazionali”, una contraddizione in termini ma alla globalizzazione non sembrano  esserci limiti. Più banalmente e per palati forse appena più sempliciotti il Glenlivet di 12 anni è offerto anche nelle versioni French Oak e American Oak. Qualcun’altro, come Glenfiddich, scherza col fuoco usando addirittura botticelle di rhum (il vecchio Havana Reserve) e non è il solo visto che anche la gloriosa Springbank sembra gradire l’accostamento con questi barilotti tanto popolari tra i pirati immortaltati proprio dallo scozzese Stevenson nell’ Isola del tesoro.
 Per non perdere l’allenamento, in attesa che qualcuno dalle nostre parti metta la grappa a maturare nelle botti dove hanno dormito il Taurasi o il Picolit, potete continuare con il whisky maturato in fusti di birra: l’interessante variazione sul legno è offerta in questo caso da un  blended (ma sempre a tiratura limitata), il William Grant’s Ale Cask Reserve, con tracce della birra Caledonian di Edimburgo.
E a proposito di birra: in Scozia nemmeno quest’altra figlia dell’orzo è rimasta immune dalla legnomania. Per quanto sia ovvio che nel passato remoto i fusti di birra fossero tutti di legno, oggi chi passa fuori da pub e birrerie  intravede solo cataste di contenitori di alluminio. Qualche sparuto birraio, è vero, continua imperterrito con le botticelle, ma si tratta quasi sempre di maniaci isolati, prevalentemente belgi. E invece oggi e’ proprio una birreria scozzese  a vantarsi di avere introdotto ex-novo le barrique: si tratta della Innis & Gunn di Edimburgo, che lascia la birra 30 giorni (beh, si, giorni…) in botti nuove di Quercus Alba prodotte in Kentucky. La maturazione continua in fusti da dieci ettolitri per altri 47 giorni esatti, tanti quanto bastano a poter evidenziare sull’etichetta il totale di 77, che dev’essere un numero magico. Devo dire che l’assaggio non tradisce certo una mano pesante nella gestione del legno, tanto per intenderci come siamo abituati con tanti  supervini, e ormai anche vinelli chippati. Il perlage è ben avvertibile alla vista e cremoso al palato, insomma non se n’è scappato tra le doghe. I profumi sono intensi e gradevoli, con ricordo di miele e fiori; quanto alla traccia di tostato mi viene da attribuirla più al malto che al legno, e il paventato balsamico proprio non si fa sentire. Nel complesso il gusto è consistente e piuttosto alcolico (6.6°) ma di ottima bevibilità. Quanto ai fusti usati, secondo la Innis & Gunn vanno a finire in qualche distilleria…

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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