Gorgona di Frescobaldi: il vino Buono, Pulito e Giusto!6 min read

Gorgona è un’isola dell’arcipelago toscano di una bellezza allo stesso tempo austera e  incandescente, è circondata da un mare che non ha confronti  e la raggiungi con nemmeno un’ora di barca da Livorno. C’è solo un piccolo problema: non ci puoi andare!

Oddio, da un certo punto di vista è meglio se non ci vai, perché sull’isola dal 1869 c’è una colonia penale agricola, cioè un carcere.

Gorgona

Un carcere, come potrete capire, molto particolare: in primo luogo perché è destinato ai “fine pena”, cioè a chi ha ancora pochi anni da scontare e può e vuole reinserirsi nella società imparando un lavoro, in questo caso legato alla campagna. In secondo luogo perché il fatto di avere un lavoro da fare ti permette di vivere tutto il giorno all’aria aperta, a contatto con la natura, e non in una cella.

Questi lavori agricoli erano, fino a pochi anni fa, destinati all’autosussistenza: poi le cose sono cambiate. Le ha fatte cambiare l’impegno e la voglia di fare dei reclusi, dell’istituto penitenziario e di Frescobaldi.

Gorgona panorama con i vigneti

Da sette anni i circa 2 ettari e mezzo di vigneto presenti sull’isola sono destinati alla produzione di un vino bianco a base di ansonica e vermentino, che si chiama Gorgona.

Scriverlo è la cosa più facile del mondo, ma riuscire a farlo non lo è stato  e forse è bene vi parli un po’ di come è nata la cosa.

Sette anni fa ci fu l’incontro tra Lamberto Frescobaldi e i responsabili della struttura. Incontro  abbastanza casuale ma la visita sull’Isola (prima ho detto una parziale bugia, perché piccoli gruppi guidati possono avere il permesso di accedere) fece scattare l’idea.

La vigna in parte c’era, anche se parlando con Niccolò d’Afflitto, mio caro amico nonché  enologo di Frescobaldi, scopro che era un vigneto non solo tenuto non benissimo ma con uve in parte poco adatte (tipo verdea) e piantate con scopi “universitari”.  Inoltre c’era una cantina per niente attrezzata o attrezzata male (vasche per vini rossi anche se producevano vino bianco) e quindi c’era da fare molto.

Mettiamoci anche il fatto che questo “molto”  non poteva essere fatto con tempi normali perché, se per esempio devi portare un macchinario sull’isola, non è che puoi farlo senza prima chiedere una serie di permessi e essendo sottoposto a molti  controlli, giustamente attenti ma che allungano i tempi per ogni cosa, grande o piccola che sia.

Gorgona vigneti

Per farla breve: dal 2012 Frescobaldi ha preso in affitto dall’amministrazione carceraria  i vigneti dell’isola (anche quelli che ha poi reimpiantato o piantato ex novo) e vi fa lavorare solo detenuti a fine pena scelti naturalmente dall’amministrazione carceraria stessa.

Questi sono assunti con una paga sindacale e quindi hanno lo stesso trattamento di un dipendente della maison fiorentina. Naturalmente sia in vigna che in cantina c’è un responsabile di Frescobaldi a seguire tutte le varie fasi agronomiche e enologiche,  e il tutto è supervisionato da altri tecnici e naturalmente da  Niccolò d’Afflitto.

Attualmente gli ettari vitati sono circa 2 e mezzo, prevalentemente a vermentino e poi  ad ansonica. Le vigne sono divise in due corpi: il principale, piantato alla fine degli anni novanta  e poi in parte reimpiantato, è esposto a ovest-sud ovest. Vicino a questo, in posizione leggermente più bassa si trovano un  mezzo ettaro di  terrazzamenti, esistenti da due anni e che guardano in faccia un mare meraviglioso.

Gorgona porto

Quel mare da cui noi stavamo arrivando, provando una specie di “effetto Mediterraneo” nel senso del film vincitore dell’Oscar. Arrivi e ti senti un po’ sergente Nicola Lorusso, alias Diego Abatantuono, perché l’isola,  sembra deserta e le poche divise venute a farci gli onori di casa non  ci restano negli occhi, che spaziano a destra e sinistra tra gabbiani, boschi, casette e stradine  ben tenute.

Mano a mano che sali verso il vigneto finisce l’effetto film Mediterraneo  e inizia quello Mediterraneo-Mediterraneo: ti guardi attorno e sei circondato da un mare da favola che ti apre il cuore. In più  cammini tra pini e ai margini di boschetti dove, mi dicono, le  lepri sono di casa.

Anche la vite è di casa, e che casa! Quello che l’occhio  vede dal vigneto, in una giornata di sole, è un luogo da sogno, dove però delle persone stanno cercando di uscire da un incubo in cui si sono infilati da soli.

Questo non va mai scordato: qui non ci sono persone che “ hanno solo pestato un piede a qualcuno” (così si è espresso il direttore del carcere)  ma condannate per gravissimi reati, che però hanno diritto,  dopo aver pagato il loro debito, a rientrare a pieno titolo nella società.

“Perché vedi Carlo- mi ha detto ad un certo punto Niccolò d’Afflitto- Se un carcerato riceve uno stipendio e lo manda a casa, quelli a casa per mangiare non hanno più  bisogno di andare a chiedere a… destra e a manca, creando così situazioni ancora più gravi o semplicemente  vincoli dai quali è impossibile poi uscire.” Anche per questo  la recidiva di reato si abbassa bruscamente in quelli che finiscono di scontare la loro pena a Gorgona.

Insomma un carcerato che lavora è un uomo che, oltre ad avere uno stipendio, una volta uscito ha imparato un lavoro che gli potrà permettere di rifarsi una vita, diminuendo così di molto il rischio di recidiva di reato.

E sarebbe un reato adesso non parlare del vino, che nasce da una conduzione biologica del vigneto e in cantina viene vinificato nel modo più semplice: solo acciaio a temperatura controllata e qualche barrique usate solo come contenitore, perché non si vendemmiano più di 500 chili d’uva  per mattinata che, una volta pressati, riempiono appunto una barrique. Così nasce il Gorgona, in maniera semplice.

Degustando il 2018 appena imbottigliato mi è venuto da pensare alla frase coniata a suo tempo da Carlin Petrini e da Slow Food : un prodotto non può essere solo buono, deve essere buono, pulito e giusto.

Questo bianco da uve vermentino e ansonica, di cui adesso si producono poche migliaia di bottiglie è il classico vino che definirlo buono è riduttivo, non tanto perché è eccezionale, ma perché è fatto in maniera pulita e per una giusta causa.

Chi avrà la fortuna di berlo  sappia che non starà bevendo solo  un vino che parla con i suoi profumi di un luogo unico, con il suo corpo di sapienza enoica, ma in quella bottiglia troverà tanta speranza e voglia di futuro migliore.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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