Gli “Icon Wines” dell’Alto Adige: marketing, espressione del territorio o tutti e due?4 min read

Saper fare bene un vino alle volte non basta, c’è la necessità anche di dover comunicare al meglio il prodotto al consumatore, quindi serve una regia competente. Il Consorzio dei Vini dell’Alto Adige riunisce tutti gli operatori del settore vinicolo altoatesino: cooperative, aziende e viticoltori indipendenti. Esso è l’interfaccia tra i viticoltori e le istituzioni che si occupano di vino in Alto Adige, è l’organo più importante per le questioni strategiche, tecniche, giuridiche e culturali in materia, e svolge anche un grande ruolo nella comunicazione mediatica.  

Un progetto di comunicazione è stato dedicato agli Icon Wines, vini capaci di rappresentare al meglio l’alto livello raggiunto, e costantemente mantenuto, in Regione. Vini bianchi e rossi, in qualche caso storici e leggendari, ma comunque connessi al territorio e alla filosofia produttiva che li ha ispirati.  un “tour” attraverso questi vini è stato molto istruttivo e anche molto piacevole.

Fino a qualche anno fa questa Regione pensava di poter fare a meno delle bollicine, ma dal 1990 il trend di crescita del Metodo Classico è in continuo aumento con sempre maggiore richiesta del prodotto (400.000 bottiglie a fronte dell’1% della produzione totale). Aziende di punta sono Arunda  con il Blanc de Blanc Extra Brut e Kettmeier con Athesis Brut, tra le prime ad affermarsi sul mercato.

Le temperature più elevate degli ultimi anni hanno agito positivamente sulle performance dei bordolesi di Tiefenbrunner, il quale ha saputo anche valorizzare la grande potenzialità dell Altopiano di Favogna (1000 mt) con il mùller thurgau, che lo vede interpretato in maniera molto particolare nel Feldmarschall von Fenner.

La Cantina di Termeno si è contraddistinta per il suo cavallo di razza Chardonnay Riserva Troy 2019, mentre J. Hofstàtter per il suo incredibile Gewùrztraminer Vigna Pirchschrait 2008. Entrambi hanno dimostrato come un vitigno bianco possa ben esprimersi anche con l’utilizzo del legno e dell’affinamento.

I terreni della zona della Cantina San Michele Appiano sono calcarei, porfirici, morenici e si traducono con espressioni identitarie di sauvignon. Non solo in purezza come nel Sanct Valentin e nel The Wine Collection, riesce a dare un ottimo valore qualitativo anche in assemblaggio nell’ Appius (Chardonnay, Pinot Grigio, Pinot Bianco Sauvignon Blanc) che disegna l’etichetta in modo diverso in base all’intensità espressiva dell’annata imbottigliata.

A pochi chilometri troviamo Elena Walch con il Gewùrztraminer Kastelaz Argentum Bonum 2015, Cantina Kaltern con il Kalterersee Classico Superiore Quintessenz 2021 e Manincor con Pinot Nero Mason di Mason 2016 che rappresentano l’eccellenza di questa zona. 

Troviamo ottime espressioni in vini rossi anche nelle numerose realtà cooperativistiche della Regione. Colterenzio con il Cabernet Sauvignon Lafòa 2019 è impressionante per classe e finezza, mentre Girlan riesce a regalare grande intensità interpretativa con il Pinot Nero Vigna Ganger 2016. Tra l’altro vincitrice dell’ultima edizione delle “Giornate del Pinot Nero” ad Egna con la sua Riserva Trattmann.

Schiava: collina Santa Maddalena

Vini/vitigni storici per antonomasia sono Schiava e Lagrein, ecco quindi che nella conca di Bolzano troviamo la Tenuta storica Ansitz Waldgries con il Lagrein Roblinus de “Waldgries 2018” e la Cantina familiare Pfannenstielhof con il St. Magdalener 2017.

Cambiano i terreni che diventano di origine vulcanica ma non certo la capacità di essere emblematici della Cantina Terlan, regno incontrastato delle varie interpretazioni magistrali del pinot bianco, in purezza ed in cuvèe, una su tutte il Raritàt 2010. L’eterogeneità dei vigneti ha contribuito a sviluppare una “cultura dei cru” unica in questo territorio, dove anche la Cantina Nals Margreid con il Sirmin 2021 interpreta al meglio questo vitigno. 

A mio parere chi interpreta al meglio l’essere filo conduttore tra passato, presente e futuro è Maso Unterganzner, Josephus Mayr. Situata a nord di Bolzano, da dieci generazioni l’azienda passa l’eredità da padre in figlio, interpretando la tradizione del “maso chiuso”. Schiava piccola, Schiava grossa e Lagrein (in proporzioni variabili a seconda delle annate) compongono il St. Magdalener Classico Heilmann 2016, la migliore espressione di un vino iconico che ho assaggiato in questo percorso. 

Un percorso che, come detto, ha mostrato vini molto diversi ma tutti di alto profilo.

Letizia Simeoni

Beata la consapevole ignoranza enologica. Finchè c’è ti dà la possibilità di approcciarsi alla conoscenza! Prosit.


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