Gli “Alchimisti” della Valle dei Laghi5 min read

Secondo gli alchimisti, la pietra filosofale era un strumento capace di tramutare i metalli in oro o di produrre “elisir di lunga vita”. per alcuni rappresentava inoltre la via alla saggezza e alla conoscenza assoluta.

Per tutto il Medioevo in Europa l’alchimia fu una disciplina vista di cattivo occhio, per via della sua affinità al paganesimo, alla magia e alla stregoneria. Gli alchimisti erano esperti di botanica, disciplina strettamente legata alla terra e quindi ritenuta in stretto contatto con gli spiriti sotterranei. I praticanti però non erano condannati come eretici, per via del loro apporto sostanziale alla società, tanto che molti ordini monastici si cimentarono in questa disciplina.

Probabilmente risparmiati dai “roghi purificatori”, un gruppo di sparuti “alchimisti” trentini sono sopravvissuti fino a oggi e si sono ritrovati in un piccolo luogo incantato della Valle dei Laghi dal nome Santa Massenza.

L’idea di base del lavoro dell’alchimista si basava sul concetto di creazione: una sostanza veniva sottoposta a una serie di trattamenti con l’obiettivo di darle vita e di purificarla progressivamente. Allo stesso tempo la materia adottava forme e qualità biologiche diverse: sembrava crescere e gonfiarsi, come se fermentasse. La sostanza risultante alla fine del processo era, come veniva descritta nei testi, una materia molto pura. Questa leggendaria sostanza, secondo gli alchimisti possedeva anche molte proprietà medicinali. Inoltre, il suo effetto “purificante” agiva sugli organismi viventi, in particolare sugli esseri umani, preservandone la salute e prolungando la vita. Fu così che si sviluppò un’importante corrente di sperimentazione alchemica che andava alla ricerca di mitici elisir dalle proprietà straordinarie.

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Tutto questo non può che non far pensare a un rapporto (non proprio immediato, se vogliamo) con la produzione del Vino Santo Trentino da parte dei vignaioli di Santa Massenza, luogo famoso pure per i tradizionali alambicchi, da sempre utilizzati per la distillazione delle vinacce.

Venendo ad oggi, ancora una volta l’evento “DiVinNosiola” ha visto protagonisti il Trentino, la sua Nosiola e il Vino Santo Doc . La manifestazione ha puntato i riflettori sulla varietà di uva nosiola, vitigno tipico, autoctono, fortemente inserito nella storia enologica del Trentino, e sulla sua versatilità nel processo di vinificazione. 

Dei 10.200 ha vitati del Trentino purtroppo solo 60 sono piantati con questa varietà, che perde di anno in anno spazio a favore di altre varietà, poiché la nosiola presenta difficoltà non solo nell’adattarsi ai vari areali, ma anche da un punto di vista commerciale. È piuttosto delicata e soggetta facilmente al marciume, ecco perché solo nelle zone nelle quali veniva prodotta storicamente ha trovato perfette condizioni per potersi esprimere al meglio (piccole zone: nord del lago di Garda, Valle dei Laghi, colline di Lavis/ Pressano e qualche collina in Vallagarina). 

Ne derivano vini sottili, ben bilanciati, dalla caratteristica acidula, con finale di nocciola. Le uve però sono molto versatili e possono tranquillamente reggere tutti i processi che in cantina si desidera sperimentare per poi uscirne con prodotti davvero interessanti (legno, cemento, acciaio, anfora, macerazioni, spumantizzazioni, vendemmia tardiva e appassimento). Oserei dire che è una delle poche uve che si esprimono al meglio quando vengono azzardati processi di vinificazione alternativi a quello del tradizionale acciaio.

La zona dedita alla produzione delle uve per il Vino Santo è ancora più ridotta visto che siamo solo nella zona intorno al lago di Toblino. Il Vino Santo Trentino è ciò che è stato tramandato da un’antica storia rurale, ma rappresenta un elemento fondante dell’identità di una comunità che non ha mai smesso di proiettarsi nel futuro, pur rimanendo solidamente ancorata alle proprie tradizioni. 

Inoltre va ricordato che questo sistema di appassimento naturale pare che sia il più lungo periodo al mondo: 6 mesi sulle “arele” (graticci di legno). A seguire, nel periodo della “Settimana Santa’,” avviene la spremitura e l’inizio di quel processo “alchemico” che lo trasforma in un vino di 10-12°, ben bilanciato, caratterizzato da una tavolozza olfattiva molto sfaccettata, che esprime una sinfonia di profumi. In bocca è piacevolmente dolce ma contrastato da una sferzante freschezza, unica nel suo genere. 

I Produttori di Vino Santo Trentino

Detto questo è giusto accendere i riflettori su questo vero e proprio “rito” e sui suoi produttori. Grazie alla Masterclass prevista nel programma della manifestazione DiVinNosiola, guidata dal sommelier Roberto Anesi (miglior Sommelier d’Italia 2017) e curata dai Vignaioli del Vino Santo Trentino,  si è potuto effettuare un percorso che ha accompagnato i partecipanti dalla semplicità della nosiola fino alla complessità e longevità del Vino Santo, dando la possibilità di poter conoscere tutti i 6 piccoli “alchimisti” che lo producono (va precisato che anche la Cantina di Toblino produce il Vino Santo).

Nosiola 2022 di Giovanni Poli

Nosiola 2022 di Maxentia

Vino Santo 2008 di Pravis 

Vino Santo 2003 di Gino Pedrotti 

Vino Santo 1998 di Francesco Poli 

Vino Santo 1983 di Pisoni

A fine degustazione, indubbiamente molto soddisfacente sotto tutt i punti di vista, posso dire che I ripetuti tentativi nella vana ricerca della pietra filosofale, non hanno portato alla redenzione della materia e alla trasformazione di metalli in oro, ma hanno lasciato “in eredità” qualcosa di ben più importante: un liquido color ambrato dalla lunga longevità e dalla piacevolezza straordinariamente unica.

Ora basta solo divulgare questa ricchezza attraverso una comunicazione adeguata per far conoscere al meglio quel grande vino passito che è il Vino Santo Trentino.

Letizia Simeoni

Beata la consapevole ignoranza enologica. Finchè c’è ti dà la possibilità di approcciarsi alla conoscenza! Prosit.


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