Giovannino era uno spirito libero. Fin da ragazzino faceva tutto quello che gli andava di fare. Intendo fin dalle elementari, dove ovviamente era invidiato da tutti.
Mentre noi comuni mortali dopo la scuola uscivamo un po’ a giocare ma poi si doveva rientrare per fare la lezione, lui no, lui rientrava quando voleva.
Aveva una buffa bicicletta, con due piccole canne ricurve ad arco: una bici di taglia media, sembrava fatta su misura per lui. Con questa scorrazzava con acrobazie da funambolo per il paese e nelle immediate vicinanze della campagna.
A fare che? A zonzo, ma soprattutto a caccia, occasionalmente anche a pesca nel fiume. La caccia fatta a modo suo, da ragazzino con la strombola (la fionda) e da più grande con una carabina. Finchè adoperò la strombola non ci furono problemi: i proiettili erano i piccoli sassi della strada, ma quando passò alla carabina dovette comperare i pallini, e questi costavano. E lui sparava assai. Gli si pose quindi il problema di rimediare soldi per le munizioni. Tra i mille sistemi cercati e provati uno è rimasto nelle leggende del paese.
Una volta, forse per sbaglio, uccise una civetta. Ora non se ne vedono e non si sentono più, ma allora il “tutto mio, tutto mio” del loro canto era un accompagnamento abbastanza normale e abituale in paese. La civetta veniva allevata legata con un lungo cordino ad un paletto per poi essere usata come richiamo per la caccia, in particolare alle allodole.
Una volta uccisa per prima cosa la portò in bici a giro per il paese, legata alla canna come trofeo, poi gli si accese la lampadina. Andò da un’amica e gli chiese se gli poteva dare una mano a pelarla. Così fecero. Poi gli tagliò la testa e le zampe ai ginocchi, insomma la rese praticamente irriconoscibile.
Questo fatto si recò da Spartaco, il macellaio del paese, e gli disse: “Guarda che bel piccioncino ho ammazzato! Me lo compri per i tuoi clienti?” Naturalmente con la sua simpatia e il suo “savoir faire” concluse l’affare. Prese i soldi e andò a comprarsi le amate munizioni.
Il volatile fu presto venduto alla famiglia del mio amico Sergio che se lo mangiò la sera stessa. La mattina però la mamma ritornò da Spartaco dicendogli che un piccione così duro non l’aveva mai mangiato!
Questo era Giovannino.
Ma non era il solo “fenomeno” del paese. Quello che seguì in gran parte le sue orme fu il Cecchino. Questo è naturalmente il suo soprannome (il nome vero è Alessandro, ma credo che solo sua madre l’abbia chiamato così) e ora vi spiego il perché.
Cominciò da bimbo a tirare con la strombola. Uscito da scuola partiva subito, con la sua arma infilata nei pantaloni, a caccia di uccellini. Lo faceva perché poi li vendeva ai cacciatori che avevano le civette per la caccia. Quest’ultime dovevano mangiare carne, e possibilmente cacciagione, e quegli uccellini erano una manna per i cacciatori… e per le civette.
La mira del Cecchino era indiscussa: era capace di tirar giù passerotti nascosti dentro ad un cipresso! Proprio facendo questo gli appiccicammo quel soprannome: aveva una mira come un cecchino. appunto. Più avanti passò all’arco e alle frecce, entrambi costruiti con le stecche di un ombrello, senza che la sua formidabile mira ne risentisse. A differenza di Giovannino lui partiva subito dopo pranzo e lo rivedevano a casa solo la sera quando faceva buio.
Quinto figlio in una famiglia dove il babbo era uno dei più famosi cacciatori della zona, aveva ereditato da lui la passione per la caccia. Il babbo aveva sfamato durante la guerra la numerosa famiglia e pure altri parenti proprio con la caccia. Cacciatore quindi per necessità. Questo lo portava ad essere uno spirito libero, scontroso e solitario. Così come divenne poi il Cecchino quando cresciuto poté prendere il porto d’armi.
Io ho sposato la sorella del Cecchino, non perché lui fosse un gran cacciatore, ma perché mi piaceva lei, ovviamente. Però, dal momento che cacciatore era….perchè non approfittare delle sue capacità?….
Segue…….