Giovanni Manetti. Sangiovese, territorio e… MGA: ecco i riferimenti per il futuro9 min read

Giovanni Manetti, proprietario di Fontodi, è stato eletto da pochi giorni Presidente del Consorzio Chianti Classico. Lo abbiamo intervistato trattando molti temi e scoprendo delle interessanti novità.

 

Winesurf. La prima domanda l’abbiamo fatta a suo tempo anche ai due presidenti che ti hanno preceduto:  hai pescato la pagliuzza più corta  o cosa?

Giovanni Manetti. In effetti non rientrava nei miei programmi ma sono venuti a chiedermelo veramente in tanti, tantissimi e quindi  probabilmente in un momento di follia (lo dice ridendo) ho detto di si. Ho sentito senso di responsabilità, amore per il territorio ma la cosa che mi ha veramente colpito che c’è stata una totale convergenza totale sul mio nome, dal più grande al più piccolo produttore.

W. Insomma tutti d’accordo ti hanno messo in mano la pagliuzza più corta.

G.M. Si, diciamo che mi hanno messo bonariamente con le spalle al muro. Però è stata  una grande soddisfazione, perché sentire che tanta gente ti considera il suo rappresentante ti riempie di orgoglio. Poi senti anche il peso della responsabilità, perché si sta parlando di 600 soci, e ti tremano un po’ i polsi.

Sergio Zingarelli

W. Tu arrivi dopo due presidenze di grandi produttori e bravissime persone  Secondo te qual è la cosa migliore che Marco Pallanti e Sergio Zingarelli hanno fatto nei loro mandati?

G.M. Senz’altro  il pacchetto di riforme varato nel 2014, lavoro impostato da Marco e portato avanti e concluso da Sergio.

W. A che pacchetto di riforme ti riferisci?

G.M. L’introduzione della Gran selezione,  la certificazione specifica e separata per la tipologia Riserva (che permette di delinearla e di indirizzarla sin da subito come tale)  e poi la certificazione per il trasferimento dei vini sfusi. Quest’ultima ha veramente tolto di mezzo un’area un po’ grigia che in qualche caso poteva esserci: adesso invece trasferire  una partita di vino sfuso  ad un altro soggetto deve essere fatto con tutte le regole e le chiarezze del caso. Queste tre riforme hanno inciso positivamente sulla denominazione, secondo me anche a livello qualitativo e  hanno  fatto fare anche un salto in avanti nel percorso della valorizzazione.

W. A proposito di salto in avanti, visto che oramai sei stato eletto e quindi non puoi fare “solo promesse elettorali”, cosa farà Giovanni Manetti nei molti anni dei suoi futuri mandati?

G.M. Alt! A suo tempo posi due condizioni per accettare l’incarico: la prima era che ci fosse  il sostegno di tutti (anche se questo me lo devo guadagnare), la seconda è che io svolgerò un unico mandato di tre anni.

W. Quindi in questi tre anni cosa farai?

G.M. C’è un solo punto nel mio programma: ulteriore valorizzazione della denominazione Vino Chianti Classico. Può sembrare una banalità ma se si va ad analizzare parola per parola non è così. Ulteriore perché si deve lavorare in continuità cercando di fare sempre meglio, senza disconoscere quanto è stato fatto in passato e portando avanti le riforme, cercando  di migliorare sempre di più la Gran Selezione e le strategie di marketing  messe in campo in questi anni. Valorizzazione  perché bisogna cercare di dare più remuneratività  a tutti gli operatori della filiera, ai 600 soci. Sia che siano produttori di uva, di sfuso o di vino imbottigliato  ci deve essere un margine superiore  per tutti, in modo non solo da coprire i costi ma da pensare agli investimenti. Chianti Classico perché bisogna tornare a parlare solamente di vino.

W. Si può dire che è il vino che fa il territorio?

G.M. La cosa, se  permetti, è più complessa: il vino è frutto di un territorio, però noi siamo un consorzio del vino e del vino dobbiamo occuparci. Sapendo che qualità  vuol dire sempre di più territorialità, va benissimo  promuovere il territorio ma solo se è in funzione del vino. Spesso e volentieri il consorzio si è dovuto occupare anche di altre cose, legate  alle aziende ma non al vino: le piscine negli agriturismi, i laghetti collinari etc. Con il mio mandato ci incentreremo sul vino.

W. Oggi come oggi qual è il problema più grosso che vedi nel territorio del Chianti Classico?

G.M. Non c’è dubbio, gli ungulati!, Questo è un problema  che sta creando danni a tutti, non sono sufficienti reti metalliche più o meno alte o elettrificate, bisogna affrontare questo problema.

W. Hai detto ungulati, non solo cinghiali o caprioli.

G.M. Ci sono vari ungulati in Chianti Classico (per esempio i cervi n.d.r.) ma quelli che fanno più danni sono proprio cinghiali e caprioli: per i primi sono già in atto varie misure che un qualcosa fanno, ma il capriolo è un problema veramente grave e sta crescendo sempre di più. Considera che  oltre il 40% dei caprioli nazionali  sta in Toscana, con una concentrazione altissima nelle province di Firenze e Siena, che vuol dire in Chianti Classico. C’è una concentrazione insostenibile. Il capriolo è un animale che crea danni in primavera, in estate e  sotto vendemmia.

W. Qual è sarà in vece il principale problema futuro che si troveranno di fronte i produttori del Chianti Classico?

G.M. Più che di problemi, cerchiamo di parlare di sfide  e pensiamo in maniera positiva. Come affrontare i mercati nei prossimi anni e come cercare di superare la competizione internazionale : per farlo credo che la scelta vincente sarà sempre più  quella di cercare di “trasferire il territorio all’interno della bottiglia”.  Quindi rafforzare sempre di più i caratteri territoriali all’interno del vino e per farlo occorre  lavorare sempre meglio in viticoltura: i metodi adottati oggi rispetto a venti anni fa sono sicuramente molto più validi, sostenibili e rispettosi della natura.

W. Sembra che tu abbia letto la prossima domanda: cosa è cambiato da quando ti sei messo a fare vino in Chianti Classico?

G.M. Purtroppo o per fortuna sono più venti anni che faccio il viticoltore, comunque noto  un maggiore rispetto della natura e del sangiovese: si sta lavorando per rendere questo grande vitigno  sempre più protagonista nel Chianti Classico. Lo dico con certezza, negli ultimi 10-15 anni si sta piantando praticamente solo sangiovese, al limite qualche varietà autoctona, non certo uve internazionali: questa moda sta tramontando e anche fare vini di gusto internazionale è cosa del passato.  Tutti oggi stanno puntando sul sangiovese, nessuno punta sul gusto internazionale perché  bisogna fare che i nostri vini siano strettamente legati al territorio, con una personalità sempre più forte e che non siano riproducibili o copiabili in altre parti del mondo.

W. Quali sono i competitor principali del Chianti Classico in Italia e all’Estero?

G.M. I più svariati: Volendo stare nel gruppetto dei grandi del mondo vengono in mente  Borgogna, Bordeaux e i grandi della California. A livello europeo noto una concorrenza sempre più forte dei vini spagnoli e ultimamente del Portogallo, che ormai non produce solo vini fortificati ma rossi di grande qualità. Comunque noi abbiamo tutto per vincere la competizione: un territorio meraviglioso e una storia  plurisecolare.

W. Domanda breve che ha bisogno di una risposta breve : a che serve la Gran Selezione?

G.M. Come sai ho partecipato alla sua nascita  e quindi la vedo in maniera molto positiva. Serve a dare un po’ più di ordine, a creare uno spazio per i migliori vini a base sangiovese prodotti in Chianti Classico. Chiaramente è un lavoro in progressione e siamo all’inizio. C’ è stata una risposta da parte dei produttori importante: al momento ci sono più di ottanta  etichette di Gran Selezione che rappresentano in termini di quantità  un po’ meno del 5% ,ma a livello di fatturato siamo quasi al 15% . E’ una tipologia che deve ancora progredire, e anche il Progetto di MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive, n.d.r.) che vorrei portare avanti servirà a farla crescere.

W. Per MGA cosa intendi, tipo quelle presenti nel Barolo o nel Barbaresco? Quindi dei piccoli cru o pensi a zone più ampie?

M.G. Zone più ampie, da una base comunale con magari  eccezioni per alcune frazioni. Per esempio pensiamo alla parte ovest del nostro territorio e alle tre porzioni nei comuni di Tavarnelle Val di Pesa, Barberino Val D’Elsa  e Poggibonsi:  una delle  idee sul tavolo è quella di raccoglierle all’interno della menzione San Donato . Quindi macrozone con delle ridotte  disomogeneità. Se si andasse a cercare solo omogeneità totale si potrebbero  fare centinaia di zone, ma il Chianti Classico non è il Barolo. Con le MGA vorremmo creare  un collegamento più stretto col territorio, accontentandoci di una ridotta disomogeneità senza andare oltre, perché il nostro territorio  è  estremamente  eterogeneo e questo è proprio  la sua  bellezza, anche viticola. Credo molto in questo lavoro, che non dovrà creare  classificazioni, perché in ogni zona del territorio si possono fare grandi vini ma diversi tra loro e quindi credo sia giusto dire al consumatore da che zona viene un vino.

W. Qual è stato secondo te il più grande errore fatto negli ultimi 30 anni in Chianti Classico?

G.M. Ci sono state delle cose che oggi non sono più d’attualità, come aprire nel 1984 alle varietà internazionali. Visto con l’occhio di adesso forse se ne poteva fare a meno, però in quel momento storico  era la scelta  da fare. Oggi  invece non è più attuale, bisogna puntare sul sangiovese e dargli sempre più spazio e  fiducia. Fiducia che sta sempre più ottenendo grazie anche miglioramenti tecnici in vigna:  per esempio il progetto Chianti Classico 2000,  partito agli inizi degli anni Novanta,  ha prodotto oggi a 8 cloni di sangiovese eccezionali, forse i migliori che puoi trovare in commercio. Anche questo porta ad avere sempre più fiducia nel vitigno.

W. Ultime domande, le più difficili: Cosa bevi a tavola?

G.M. Un po’ di tutto! Vado a periodi  ma l’unico vino che non bevo mai è il rosato: non lo sopporto. Ce ne sono sicuramente di ottimi, anche in Chianti Classico, ma non è il mio vino né fermo né con le bollicine. Bevo tanti vini che mi portano gli amici e tante volte mi porto il lavoro a casa.

W. Se vai a ristorante, non in veste ufficiale, cosa bevi?

G.M. Adoro la Borgogna è una delle prime zone che ho visitato in vita mia, un vino del cuore. Amo tantissimo i Riesling  austriaci della Wachau , secchi, capaci di vivere a lungo con quelle belle note di idrocarburi. Naturalmente bevo spesso anche Barolo, Barbaresco e Brunello, e ogni tanto ho degli innamoramenti, come quello dello scorso anno per l ‘Ansonica  dell’Isola del Giglio, con quei viticoltori veramente eroici.

W. Se un giorno decidessi di lasciare l’azienda in Chianti Classico ai tuoi figli e di andare a far vino da un’altra parte, dove andresti?

G.M. Non ho idea ma sicuramente in una zona difficile, tipo un’isola vulcanica di Capo Verde dove ci sono vitigni antichissimi a 2000 metri di altezza. Non  è che voglia andare proprio  li, ma in posto simile.

W. Lo faresti come una scommessa.

G.M. Assolutamente, a me piacciono le sfide difficili.

(Non per niente ha accettato la carica di Presidente del Consorzio… n.d.r)

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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