Frascati: situazione difficile ma le idee ci sono3 min read

Qualcuno dirà: “Dopo il Lambrusco il Frascati! Il Macchi vuole diventare il paladino delle denominazioni poco considerate!”

A parte che tale lavoro non sarebbe certo inutile (sul Barolo son buoni tutti a scrivere….) in questo caso è stato proprio il Caso che mi ha portato a visitare la zona e ad assaggiare una esaustiva raccolta dei Frascati 2010.

Il Caso in realtà ha un nome: Stefano Asaro. Conosciuto ai tempi di Arcigola ed oggi responsabile laziale di Slow Food, mi ha invitato ad un assaggio organizzato dal Consorzio di Tutela per…..farsi dire fuori dai denti come sta il Frascati. Questo compito è spettato al qui presente e, oltre a Stefano, ad altri tre cari amici giornalisti dell’area romana: Jan d’Agata, Paolo Zaccaria e Fabio Turchetti.

Prima di parlare dei vini una breve presentazione del Frascati. Oltre che di una denominazione storica non stiamo parlando di una produzione minimale, ma di un territorio che con 1500 ettari vitati sforna circa 15 milioni di bottiglie all’anno. I 15 milioni sono suddivisi però tra poche cantine, diciamo una quarantina. Queste, oltre a vinificare le uve proprie (ovviamente chi possiede vigneti) le ricevono in conferimento da più di ottocento produttori.

Ho detto ricevono? Volevo dire ricevevano perché uno dei grossi problemi del Frascati è che nel 2010 i produttori di uve sono passati da 807 a 627, il che ha portato ad un 20% in meno di produzione. In questi 180 produttori ci sta di tutto: ci sono quelli che hanno deciso di non lavorare più il piccolo vigneto di proprietà (la media per produttore è attorno ai 5-6000 metri) e quelli che, visti i prezzi spuntati dalle uve, hanno deciso di venderle addirittura come IGT.

Da qualsiasi punto comunque si guardi questo dato è estremamente allarmante per una denominazione che, pur avendo  recentemente ottenuto (non senza polemiche ma…chi è senza G e senza peccato scagli la prima pietra) la DOCG, non è certamente al top della qualità, sia per l’immaginario collettivo sia direttamente nel bicchiere. 

Nel bicchiere avevamo appunto l’annata 2010 ed i risultati non sono certo stati eclatanti ma nemmeno tanto lontani da denominazioni con maggior blasone.

Per prima cosa, pur essendo i vini mortificati da notevoli dosi di solforosa, ben pochi mostravano difetti di vinificazione. Non esprimevano grandi profumi (col trebbiano non è certo facile farlo, con la malvasia puntinata forse si…ma questo è un altro discorso e ci portrebbe lontano) ma la vinificazione corretta è oramai un dato che il Frascati ha acquisito. A proposito di profumi: come detto il Frascati non è certo un vino con grandi componenti aromatiche e quindi non si capisce (anzi, lo si capisce benissimo….) perché alcuni vini profumassero di rosa, per non parlare di quelli dove lo Chardonnay ed il Sauvignon dicevano chiaramente la loro: almeno un25-30% dei vini erano marcati da altre uve. Dato che per un consumatore finale risultavano anche piacevoli, il rischio grosso è quello che, neanche tanto piano piano, la stragrande maggioranza dei produttori adotti la “scorciatoia legale” di utilizzare un 15% di altre uve e proporre al mercato un Frascati sicuramente più apprezzabile nell’immediato ma molto lontano dalle sue radici. Lasciando da parte le componenti aromatiche ci siamo mediamente trovati di fronte a vini a cui l’annata 2010 non ha permesso di essere ampi e caldi ma, nella migliore delle ipotesi, eleganti, fini e di sufficiente freschezza. 

La discussione finale con i rappresentanti del consorzio  ha mostrato  produttori ben consci di doversi muovere con decisione (ma anche con attenzione) per cercare di portare (ora o mai più!) il Frascati a livelli che il territorio meriterebbe. Sarà un lavoro lungo ma le intenzioni  sembrano buone: proprio per questo mi sono fatto  l’idea che un vino ed un territorio del genere hanno bisogno di essere maggiormente investigati e conosciuti. Quindi nei prossimi mesi estivi Winesurf tornerà in forze a Frascati per uno dei suoi assaggi ufficiali. 

 “I paladini” stanno per scendere in campo..

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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