Facebook e Instagram mon amour? Ovvero il vino al tempo dei social5 min read

Il primo giorno di lavoro trovai sulla mia scrivania, anzi sul mio tavolo perché non c’era nemmeno la scrivania, la seguente impressionante attrezzatura: tre penne (blu, nera e rossa), matita, gomma da cancellare, appuntalapis. Fondamentale per scrivere la famosissima “lettera 35” della Olivetti, una macchina per scrivere che era necessario il martello per battere sui tasti tanto erano duri.  Stop.

non ho citato il telefono non perché sia scontato, ma perché in ufficio non c’era!

Oggi, dopo quasi quattro decenni, siamo più o meno allo stesso “tipo di attrezzatura”, nel senso che tengo una penna per le firme e una matita per mine auto dotata di gomma per gli appunti.

Per il resto ci sono il computer e la protesi delle nostre mani cioè il telefono.

Certo è che invece il contesto di lavoro è decisamente cambiato. Quello della comunicazione del vino è un mondo che si è evoluto ed è cambiato tanto quanto quello del prodotto di cui si è occupato.

Siamo passati dalla faccia perplessa del produttore al quale dicevo di occuparmi di comunicazione e pubbliche relazioni e che non capiva di cosa stessi parlando a quella di produttori che contavano talmente tanto sulla possibilità di ottenere premi e riconoscimenti grazie al fatto di assumere una buona agenzia di comunicazione, da dimenticare quasi che alla base di tutto resta comunque l’azienda e il vino.

Siamo partiti dall’esclusività dei giornali, all’impèrio delle guide per poi arrivare all’era attuale con i social che la fanno da padrone.

Con la nascita e la crescita incontrollata (anzi, controllata da loro stessi) di Facebook e Instagram si è formata l’idea che questi siano mezzi insostituibili per vendere vino. L’ultimo anno di quasi totale lockdown sta poi rischiando di farci credere che non solo siano i più attuali e importanti, ma tutto il resto non serva più a niente o quasi.

Così mi sono decisa a fare un’analisi quanto più possibile obiettiva (trattandosi solo in una mia opinione) della situazione social al tempo del vino: del resto studiare è d’obbligo per crescere e fare un buon lavoro per le aziende con cui collaboro.

Prima di tutto il fattore umano: il vino è emozione che coinvolge tutti i sensi, dentro e fuori una persona. Un vino non colpisce solo per i suoi profumi, colori e sapori, ma anche per la luce, l’ambiente, il calore umano dove lo assaggi. Se io sono nel mio salotto e tu nel tuo, per quanto entrambi in un ambiente che amiamo, non è lo stesso ambiente e questo può cambiare la percezione emozionale e quindi la gradevolezza che percepiremo (non tanto da farlo essere buono o cattivo, ma almeno da influenzare la graduatoria del buono).

Poi un fattore sociologico: i vini di livello qualitativo medio alto come quelli di cui mi occupo sono per lo più acquistati da esperti e appassionati di età non inferiore ai 35-40 anni (non fosse altro per un fatto meramente economico e fatte salve le solite eccezioni). Consumatori che hanno quasi sempre fatto un corso da sommelier e continuano a formarsi visitando cantine e approfittando di molteplici occasioni d’assaggio. Quali sono i mezzi di comunicazione che queste persone usano mediamente di più? Siti specializzati di sicuro, credo anche guide di settore.

Facebook o Instagram? Il primo sì il secondo un po’ meno. Anche secondo le statistiche FB è il social più seguito al mondo, IG è al terzo posto.

E l’età? Gli under 35 sono tutti su IG, meno su FB, gli over 35 sono tutti su FB meno su IG (fonte nimaia.it).

Quindi il proliferare, specie su IG, di blogger e influencer giovanissimi e non sempre di provata esperienza, con un linguaggio dedicato specificatamente ai giovani fanno davvero vendere vino di qualità?

Diamo ad ogni settore della comunicazione la giusta importanza e impariamo a gestirli valutando gli obiettivi che possono raggiungere e i risultati effettivi ottenibili da ciascuno.

La crescita di un’azienda ha, a mio parere, una progressione programmatica imprescindibile: per prima cosa il vino deve essere espressione dell’azienda e del produttore e non fatto con un protocollo produttivo che lo renda uguale a se stesso a prescindere dalla vendemmia, poi essere qualitativamente all’altezza del mercato di riferimento, e per questo bottiglia e azienda devono avere un’adeguata immagine e presenza nel mercato, prima italiano e poi all’estero.

Per ottenere questo credo si debba partire dall’essere presenti bene nelle guide di settore e poi nei giornali di settore (online o meno) e di pari passo costruire un’idonea rete commerciale senza la quale il lavoro d’immagine resta monco.

A me pare che sia FB quanto IG debbano invece essere usati per far crescere il marchio aziendale e l’immagine di un vino e di una cantina, ma non si può sperare che, se l’interlocutore non conosce già vini e azienda tramite altri canali che reputa più attendibili (come appunto siti di settore e guide), possa decidere di acquistare solo grazie a un post.

Per di più dobbiamo tenere conto che per acquistare dovrebbe fare i seguenti passaggi che sappiamo quando si è su internet sono considerati lunghissimi: chiudere FB o IG, cercare su google il sito della cantina, aprire la pagina e-commerce (ammesso che ce l’abbia) procedere all’ordine. Quattro tappe che scoraggeranno una percentuale altissima di ben intenzionati e il 100% di quelli sotto i 30 anni che sono abituati alla velocità del clic = risultato.

In conclusione i social sono un bel mezzo di comunicazione, ma non il solo e tantomeno il più importante e ditemi pure che sono un dinosauro della comunicazione, ma tra un po’ di tempo (non molto perché nel web gli anni valgono secoli) vedremo se ho ragione o meno.

Maddalena Mazzeschi

A 6 anni scopre di avere interesse per il vino scolando i bicchieri sul tavolo prima di lavarli. Gli anni al Consorzio del Nobile di Montepulciano le hanno dato le basi per comprendere come si fa a fare un vino buono ed uno cattivo. Nel 1991, intraprende la libera professione come esperto di marketing e pubbliche relazioni. Afferma che qualunque successo è dovuto alle sue competenze tecniche, alla memoria storica ed alle esperienze accumulate in 30 anni di lavoro. I maligni sono convinti che, nella migliore tradizione di molte affermate PR, sia tutto merito del marito! Per Winesurf si occupa anche della comunicazione affermando che si tratta di una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato. A chi non è d’accordo domanda: “Ma hai idea di cosa voglia dire occuparsi dell’immagine di Carlo Macchi & Company?”. Come darle torto?


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