Arrivano i dati dall’Osservatorio del Vino sull’export italiano del 2016 e subito giù titoli che grondano allegria e numeri che la giustificano: + 4,3 in valore con 5,6 miliardi di euro di vino venduto all’estero, i vini a denominazione che aumentano del 10,5% . Tutti contenti.
Poi guardi un altro dato estremamente positivo “pure troppo”, cioè l’aumento in percentuale delle vendite di Prosecco del 32% rispetto allo scorso anno e cominci a fare due conti.
Due conti penso li abbia fatti anche Antonio Rallo, Presidente dell’Osservatorio del Vino, se a un certo punto si lascia sfuggire una frase del tipo “Il fenomeno Prosecco va sostenuto con ogni mezzo affinché prosegua la brillante corsa iniziata da qualche anno ma non possiamo affidarci solo a questo prodotto per migliorare le performance del vino italiano fuori dai confini nazionali.”
Infatti subito dopo si arriva alle dolenti note e cioè che i cosiddetti vini fermi in bottiglia hanno fatto registrare un -4.5%. Tra i vini fermi in bottiglia ci sono sicuramente i vini di alta gamma, (Barolo, Amarone, Brunello, Chianti Classico tanto per fare qualche nome) che hanno quindi subito uno stop (più nei quantitativi esportati che nel prezzo) e questo stop dovrebbe far ragionare tutti più che innalzare cori di giubilo.
Da una parte credo occorrerebbe domandarsi dove sta portando il fenomeno Prosecco, che cresce a ritmi impensabili, proprio visti i numeri già raggiunti. Si arriverà a piantarlo ovunque, senza un minimo di programmazione futura, senza domandarsi cosa accadrà domani?
Dall’altra occorre capire come far capire all’estero che il Prosecco è uno dei molti vini italiani, ma è solo il primo passo verso un mondo di prodotti di altissimo livello, quasi sempre più costosi del Prosecco.
Altrimenti si continuerà a dare i numeri e a gioire perché la “Corazzata Prosecco” naviga baldanzosa senza curarsi delle altre mille “navi” della flotta enoica italiana impegnate, nel migliore dei casi, nel mantenere con fatica la scia.