Enologhe in cerca di un lavoro.Speriamo sia femmina, o forse no..3 min read

Con questo articolo siamo felici di accogliere tra le nostre file “Madame X”. Enologa con appaganti esperienze all’estero, al suo rientro in Italia si sta trovando nella difficile situazione lavorativa sotto riportata. Per suo espresso desiderio, che noi rispettiamo, ha chiesto di mantenere l’anonimato.

 Solitamente l’arrivo di una bimba e’ motivo di gioia, soprattutto per i novelli papà, ma se abitate in Trentino e la vostra pargola dimostra negli anni interesse per il settore enologico, preparatevi a rimpiangere di non aver avuto un maschietto.

Come, direte voi, il ricco e progredito Trentino e’ un’enclave di integralisti misogini? No, perché i fondamentalisti esprimono chiaramente di non gradire le donne nel mondo del lavoro, tra le Alpi invece si predica in un modo ma si fa l’opposto.

Discriminazione occulta, insomma. Basta qualche dato: quante donne ricoprono il ruolo di direttore di cantina sociale ? Zero. Di presidente? Zero. Di responsabile enologo? Zero. Cariche di prestigio all’interno della cooperazione? Zero. 

I soliti dinosauri obietteranno che l’enologia e’ da sempre un campo prettamente maschile ma esiste un concetto denominato "evoluzione" che forse i rettili giurassici non hanno ben chiaro. Continuiamo forse a circolare con il calesse trainato dal cavallo? Ovviamente no.

Il lavoro di cantina ormai non e’ più faticoso di tanti altri, quindi Maciste possiamo lasciarlo a casa e usare al suo posto muletti, transpallet e montacarichi. Certo non e’ nemmeno un incarico adatto ad una modella anoressica di 40 kg, ma suvvia, una sana ragazza trentina e’ più che in grado di svolgere qualsiasi compito, anche in cantina. In questo senso nazioni come la Nuova Zelanda hanno da insegnarci molto visto che, lavorativamente parlando, i Kiwi non fanno distinzioni di sesso ed il personale femminile e’ normalmente impiegato in funzioni che in Trentino potrebbe fare solo un ometto. 

Localmente l’unico impiego possibile per un enologo in gonnella è il laboratorio, ma le stanze dei bottoni sono a totale appannaggio maschile.

Probabilmente il settore vino e’ talmente saturo che la "casta" difende strenuamente il proprio posto, evitando di assumere giovani leve che alla lunga potrebbero risultare più valide degli attuali dirigenti/enologi. Se davvero il confronto e’ funzionale al progresso, qui ci troviamo in pieno Medioevo.

Tanto per rimanere in ambiente medioevale vi voglio raccontare un episodio che mi ha coinvolta in prima persona. Ad un certo punto della mia carriera lavorativa mi sono sentita come Messner prima di scalare l’ultimo 8.000: non potevo considerarmi una vera enologa senza aver lavorato almeno una volta in una cantina sociale del Trentino. Considerazioni? Avrei preferito scalare il Lhotse senza ossigeno e senza l’aiuto degli sherpa.

L’illuminato direttore mi chiese cortesemente di presentare i vini della cantina in occasione di una serata organizzata da un’associazione di produttori locali. Ovviamente risposi positivamente, ben contenta di poter svolgere il mio lavoro al di fuori della cantina, ma purtroppo assistetti alla trasformazione di Gandhi in Hugh Hefner. "Mi raccomando, vestiti bene. Magari una bella gonna corta". Impassibile, sfoderai il migliore dei miei sorrisi e tra me e me lo mandai dove potete immaginare.

La fatidica sera mi presentai come si conviene alla moglie del più integralista ayatollah, ma le  due colleghe di mescita compensavano ampiamente i miei centimetri di stoffa in più. Eravamo una bionda, una mora ed una rossa: le Charlie’s Angels con licenza di mescita.

Ho pensato che la tragicomica esperienza fosse stata solo un caso e quindi, diabolicamente perseverante, mi affacciai ad un’altra cantina , ma già durante il colloquio intuì che qualcosa non andava. Il direttore mi spiegò il funzionamento della pressa pensando che non ne avessi mai vista una. Puntualizzai con garbo che sarei stata all’occorrenza anche di grado di smontarla e rimontarla, ma il T-Rex mi sorrise, compatendomi. Finii in laboratorio e all’occorrenza venivo mandata al supermercato per acquistare bibite e pane.

Forse si e’ trattato di un altro caso. O forse no.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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