En Magnum. Le Vin + Grand, n. 196 min read

In copertina é l’elegantissima etichetta nera dello Château Talbot 2018, celebrativa del centenario della proprietà Cordier, con l’immagine stilizzata di rami d’albero che   evoca il nuovo chai di questa storica proprietà. Molti i titoli: nuovi Bordeaux ;  i 20 Bordeaux di Bettane; Dorenencourt, vino e rock’n’roll ; Hermitage; Vins de France; Scandinavia. Impossibile rendere conto di tutto, perciò mi concentrerò su un paio di servizi per poi limitarmi a un cenno sugli altri, numerosi, che riempiono le 132 pagine di questo numero.

En Magnum è una rivista generalista, nella quale si parla dei vini di tutta la Francia , senza trascurare il resto del mondo (ne è prova l’insolito servizio dedicato ai vini scandinavi, miracolati dal global warming), ma è indubbio che il suo cuore batta soprattutto per Bordeaux. E’ per questo motivo che sceglierò due articoli dedicati ai Bordeaux minori. Il primo, annunciato dal titolo evocativo “Le Bordeaux nouveau est arrivé”, di Gilles Durand Daguin, è dedicato ai piccoli produttori bordolesi che sono fuori dai riflettori ma che innovano continuando a produrre vini di qualità molto  interessante a prezzi ancora attrattivi e comunque inferiori  a quelli  attuali dei vini della Borgogna, come mostrano anche i grafici di  Wine Lister riportati  a pag. 16 della rivista.

E’ una Bordeaux sconosciuta, con molti giovani che cercano una propria strada  fuori dai percorsi più battuti. Certo attrae sempre di più il biologico, ma non solo. Quella che viene più spesso ricercata è la libertà di produrre i vini che piacciono al di fuori di formule e restrizioni imposte dai disciplinari. Proprio come ce ne aspetteremmo nella Loira o nel Jura. Ad esempio come lo Château Tire-Pé (lo château non c’è, il nome è quello della côte su cui sorgono le vigne), nell’Entre-Deux-Mers, dove ha trovato rifugio David Barrault, proveniente da una famiglia di coltivatori di cereali, desideroso solo di un pezzo di terra dove condurre una vita semplice con la moglie Hélène, insegnante di equitazione.

Produce un 100% malbec tutto frutto, e, dal 2016,  una cuvée, L’Echappée, da vecchie varietà quasi estinte  come il castet e il mancin delle palus, che vengono affinati in giarre ed etichettati come vin de France. O come Laurence Alias e Pascale Cholme,  che coltivano i loro tre ettari di vigna per produrre vini tradizionali bordolesi e altri più liberi imbottigliati in bottiglie borgognone come Vins de France. Non per disprezzo dell’appellation Bordeaux- precisano, di cui riconoscono il valore- ma solo per sperimentare più liberamente senza troppi vincoli e costruire una identità propria, come testimoniano anche le belle etichette disegnate da grafici loro amici.

Anche sulla rive droite c’è voglia di innovazione. Particolarmente attivo è Olivier Técher, che nel suo domaine familiare, lo château Gombaude-Guillot, produce una cuvée di Pomerol dal nome, che non potrebbe essere più esplicito, di Pom’N’Roll. E non poteva mancare anche un originale giapponese, Osami Uchida, proveniente da Hiroshima, che coltiva come un giardino una piccola vigna di 60 are di cabernet sauvignon in mezzo ai boschi, alla quale  ha da poco aggiunto una piccola parcella di merlot. Certificato in biologico, usa il cavallo grazie alla tradizionale solidarietà médocaine, nella persona di Laurence Alias, il quale  afferma che la sua cuvée Miracle è destinata a diventare un vino  di culto.

Nell’articolo che segue, Louis-Victor Charvet presenta la Saint-Émilion che resiste alla crisi. Anche qui i protagonisti non sono i grandi Châteaux classés, ma piccole proprietà meno conosciute,  da cui provengono bottiglie sorprendenti. Qualcuna di esse comincia ad essere più nota, come lo Château de Villemaurine, dove Justin Onclin, vicino di Trotteveille, produce dei St. Emilion classici, potenti ed equilibrati che si avvicinano ai migliori della denominazione. Altre , come Fleur Cardinale, stanno invece riprendendo smalto sotto l’impulso innovatore dei giovani Decoster  ottenendo il ricononoscimento di cru classé nel 2006 , o come Trianon, dove Dominique Hébrard, comproprietario e amministratore di Cheval Blanc , cerca la sua rivincita dopo la vendita nel 1999 del mitico château.

Poi ci sono i nuovi, come Jean-Louis Alloin, geniale e iperattivo, che,  con l’ausilio  tecnico di David LIorit, ha investito nel Petit Val: un malbec  affinato in anfore, un rosé du Val seduttore, anche una parcella di qualche ara di riesling: non per rottura o mancanza di rispetto verso la tradizione del territorio, ma per sperimentare una nuova strada.

C’è poi la vigna giardino di Croix de Labrie dei Courdurié. Una volta lo si sarebbe chiamato un   “vin de garage”, il suo:  niente château né cuverie immense, ma solo una piccola casa  accanto alla vigna, situata splendidamente tra Badon (vicino alle parcelle di Pavie), St. Christophe e St. Sulpice-de-Faleyrens, condotta con una visione borgognona.

Più un villaggio che uno château è il Domaine Ripeau di Cyrille Grégoire.  Vicini di gran rango (Cheval Blanc, Figeac, La Dominique), un lavoro immenso di cartografia “haute résolution” per lo studio dei terreni, lavori lunghi e costosi, di reimpianto e restauro dei piccoli fabbricati pre-esistenti, ma la qualità dei vini sta ripagando.

C’è poi il lato esotico degli stranieri affascinati dal territorio:  come la star cinese, attrice e cantante, Zhao Wei , che ha rilevato lo Château Monlot , affidando i suoi 8 ettari a Cécile Paillé, talentuosa enologa  formata alla scuola di   Jean-Louis Berrouet, con  un rinnovamento colossale di vigne ed edifici. E poi  il russo Andrei Filatov,  che nel 2013 ha acquistato le terre dell’antica Grâce Dieu des Prieurs sul plateau nel settore di Figeac: 9 ettari per il  90% merlot, una uverie spettacolare. Patronio della fondazione Art russe, imbottiglia i suoi vini nelle antiche bottiglie bordolesi fasciate da lussuose etichette di artisti russi. Presente ormai in molti ristoranti à la page, la sua cuvée  del 2016 con l’etichetta di Igor Grabar è in vendita a 1000 euro la bottiglia.

In un  altro articolo Bettane parla dei “suoi” 20 Bordeaux: grandi bottiglie che più lo hanno emozionato nel corso della sua vita. Nove bottiglie sono del Médoc, 4 della Rive Droite, 7 delle Graves, includendo i 5 preziosi flaconi di Sauternes. Tre bottiglie  provengono da vendemmie ultracentenarie, come il favoloso Latour di annata sconosciuta, ma sicuramente della seconda metà dell’800, o l’Yquem 1869. Sarà un caso, o un effetto della nostalgia, ma nessun vino è degli anni 2000 e solo un Pavie 1998 proviene da un decennio relativamente recente.

Questo numero regala ancora due verticali di grandi Bordeaux: quella dello Château La Gaffelière (dal 1943 al 2017)  e dello Château Lafaurie- Peyraguey (28 millesimi dal 1906 al 1945) e la grande degustazione dei Bordeaux del 2017 secondo Michel Bettane. Nessun Premier Cru del classement 1855  fa parte dei top 10; nessun Pauillac e nessun Margaux: il Médoc è rappresentato solo da un  St.Estèphe e due St. Julien. Le altre regioni vinicole della Francia presenti in questo numero: il Rodano (Hermitage), Beaujolais (Moulin-à-vent) e il “Grand Est”, a cui è dedicata la selezione dei magnum di questo numero.

Segnalo un servizio di Véronique Raisin (suo anche  un articolo tecnico sulle nuove tendenze nell’élevage) sul fenomeno crescente dei Vins de France, che sfidano i disciplinari delle AOC. Poi c’è naturalmente tutto il resto: bei servizi fotografici (la primavera nelle vigne), la gastronomia (nuovi ristoranti parigini, tendenze della bistronomie), le solite rubriche, le sulfuree bandes dessinées del Peuple des vignes.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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