Eccovi i 50 vini del mondo da bere (avendo un NOTEVOLE conto in banca)4 min read

Un po’ come la classifica di Miss Universo questa, dal mio punto di vista, rimarrà assolutamente inutilizzata. Come non potrò mai ambire ad invitare a cena una concorrente di quel concorso, così non potrò mai stappare a cena (pagando io, s’intende) una di queste cinquanta bottiglie che, secondo vari siti internet, sono le più care del pianeta.

la prima cosa che colpisce noi italiani (molto meno il nostro portafoglio) è che fra questi cinquanta non ci sia nemmeno un vino nato nel “bel paese là dove ‘l sì suona”.

La seconda è che la parte del leone la svolgono la Borgogna (7 tra i primi 10 sono borgognoni) e incredibilmente la Germania (i 3 che mancano sono tedeschi), relegando Bordeaux a vini da parvenu e lo Champagne quasi a vino quotidiano.

In relatà non solo l’Italia manca ma praticamente tutto il resto del mondo enoico che, a parte una veloce comparsata di Stati Uniti e Portogallo, rimane a guardare l’arte di chi riesce a rendere il vino veramente un’opera d’arte, con prezzi equivalenti o quasi.

Più che opere d’arte potremmo definire questi vini degli  “oggetti preziosi”, che cambiano di mano ma non credo vengano aperti spesso.

Siamo di fronte a quelle che un agente di borsa potrebbe definire “azioni liquide”, qualcosa che ha valore solo se passa di mano, altrimenti è carta straccia. Questo in un mondo dove le azioni non rappresentano più un pezzo di un’azienda ma solo un modo per guadagnare o rimettere fior di quattrini.

Qui non si parla di carta straccia ma di vini, che però hanno un valore diverso per noi appassionati, legato alla conoscenza della cantina, della storia, del vigneto, di chi ha prodotto o produce produce quel vino e suda nelle sue vigne. Non ci interessa comprare un’ azione, ma magari un giorno condensare in un sorso la conoscenza di una vita. Questi sono valori che non si quotano in borsa, i numeri qua sotto sono invece valori reali ma hanno poco significato per noi, o almeno per me.

Vivono in un mondo che non mi riguarda, con regole tutte sue ma che serve per far parlare di vino.

Alla fine meglio usare la frase detta a Jack Nicholson nei panni dell’investigatore Jake Gittes: “Lascia perdere, Jake: è Chinatown!”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE