Se c’è una cosa che Babbo Natale sa perfettamente è che sotto l’albero mi piace tantissimo trovare bottiglie di olio extravergine.
Tradotto in termini prosaici, il regalo più bello che può farmi un produttore di vino è una bottiglie del suo extravergine d’oliva.
Questo perché si unisce l’utile al dilettevole e soprattutto perché gli extravergine che mi arrivano sotto Natale sono sempre di grande qualità.
Sorge però il problema, visto che sono ottimi, come far capire la loro alta qualità con un linguaggio semplice e comprensibile almeno a chi ha una minima infarinatura di enogastronomia.
Questo perché fare una recensione su un extravergine può ottenere l’effetto opposto, quello cioè di usare termini tecnici e allontanare il lettore dalla reale fruizione di un prodotto che ha profumi, sapore, odore, consistenza, persistenza (vedete, vado già sul tecnico) “quasi” come un vino.

Quest’anno ho ricevuto dei buonissimi extravergine da due cantine di amici: dal marchigiano Gianluca Mirizzi (Montecappone) ben tre tipologie e dall’abruzzese Fausto Albanesi (Torre dei Beati) qualche bottiglietta del blend che quest’anno è riuscito a produrre dalle poche olive raccolte.
L’idea mi è venuta assaggiando una delle tre tipologie (la parola giusta sarebbe cultivar ma è molto specifica) che mi ha mandato Gianluca, l’ascolana tenera. Ho messo sotto il naso un cucchiaio con questo olio è ho sentito una serie infinita di profumi di frutta e di fiori che, per assonanza, mi hanno fatto pensare immediatamente ad un profumatissimo vino marchigiano come la Lacrima di Morro d’Alba. Quest’ascolana tenera, oltre a profumi “da vino” ha notevole rotondità al palato, non è ruvida proprio come la lacrima di Morro che non ha molti tannini. Vi consiglio di usarlo solo per condire a freddo anche una semplice bruschetta o fettunta o per un’insalata mista.

La Raggia invece (la seconda cultivar che mi ha mandato Gianluca) mi ha ricordato un bel Verdicchio dei Castelli di Jesi, sia perché ha note vegetali più decise e importanti, ma soprattutto per una pienezza al palato veramente decisa. Qui l’abbinamento (sempre a crudo) è con piatti più concreti come un bel brodetto di pesce.
La terza cultivar è Il Piantone di Mogliano, che mi ha ricordato invece un bel merlot abbastanza maturo: ha infatti profumi che ricordano l’oliva matura e una piacevole rotondità e dolcezza al palato, che però non prescinde da una persistenza notevole. Abbinamento perfetto? Un bel coniglio con le olive, cotto in bianco, senza pomodoro. Qui lo potete usare anche per il soffritto ma un goccio al momento dell’impiattamento darà una garbo ulteriore al tutto.

L’olio di Fausto è quello che nell’emisfero vino sarebbe un uvaggio, e in effetti al naso e in bocca sembra quasi di sentire due tipologie di olive che si contrappongono. Da una parte una sensazione potente, piena, quasi astringente che ricorda tanto il Montepulciano e dall’altra una componente fresca, giovanile ma per niente cedevole che mi riporta al pecorino. Insomma, visto che nel mondo del vino un uvaggio montepulciano-pecorino non è possibile vi consiglio di provare quest’olio e di immaginare come potrebbe essere. L’abbinamento? Qui andiamo su roba seria: qualsiasi grigliata può andare, ma se poi sono arrosticini il cerchio si chiude alla perfezione.
Un mio caro amico dice sempre che si spende più per l’olio che si mette nell’auto che per quello che si mette in pancia. Forse perché non si pensa che un extravergine buono possa avere profumi, corpo, freschezza, profondità come un buon vino. La differenza è che quattro bottiglie dei buoni vini che ho citato possono andare a costare sugli 80/100 euro e vi durano per due/tre giorni, mentre 4 bottigliette di questi extravergine possono anche costare più o meno la stessa cifra ma vi durano un mese e vi fanno godere allo stesso modo.
Meditate gente, meditate…