Dopo il voto sul Rosso di Montalcino5 min read

L’assemblea degli associati al Consorzio del Brunello ha deciso di respingere (69% contro 31%)  la proposta di modifica del disciplinare del Rosso di Montalcino, presentata dal Consiglio di amministrazione.

Se da una parte si pone fine ad una lunga discussione facendo chiarezza su cosa pensa la maggioranza dei votanti,  dall’altra questo voto solleva altrettanti problemi almeno tanti quanti apparentemente ne risolve: in un futuro assai prossimo, andranno, per forza di cose, affrontati con attenzione.

Comunque quel 31% di voti a favore della modifica non può essere considerata un’infima minoranza, un’area di poco conto, da snobbare con sufficienza. Sarebbe un errore.

È il caso di Banfi ma anche Il Poggione e altre ancora. La dichiarazione di Fabrizio Bindocci ( Il Poggione) riportata da Decanter, da questo punto di vista, è del tutto comprensibile. “ Montalcino (con questo voto. ndr) ha perso la grande opportunità di avere due Rosso che avrebbero soddisfatto tutti i mercati. Ma è stato un voto democratico, fatto a scrutinio segreto, e i produttori si sono pronunciati. Almeno adesso sappiamo quale strada imboccare per il futuro”. Già, il problema è quale…

Infatti il problema Rosso continua ad esistere: a fronte di 8,5 milioni di bottiglie di Brunello ci sono appena 3.600.000 bottiglie di Rosso (erano quasi 4.4 milioni nel 2700). Vale a dire che la piramide della qualità è completamente rovesciata: il vino migliore e di maggior prezzo è prodotto in quantità quasi tre volte maggiore di quello di minor pregio e assai meno costoso.

Una contraddizione che Montalcino vive da molto tempo e che non ha mai risolto. Se da una parte sarebbe necessario diminuire in modo strutturale il Brunello, dall’altra il Rosso dovrebbe necessariamente aumentare. Ma tutto ciò richiederebbe uno sforzo che sinora non c’è mai stato.

Intanto bisognerebbe partire da una considerazione generale. Negli ultimi vent’anni del Rosso di Montalcino non si è mai scritto e parlato così tanto come nell’ultimo mese. Uno degli elementi da considerarsi positivi è che la stampa, non solo specializzata, di ogni parte del mondo ha riportato il nome di Montalcino all’attenzione generale. Sulla proposta si sono pronunciati le più famose firme internazionali del settore tra cui James Suckling, Jancis Robinson, Nick Belfrage – quest’ultimo ha lanciato un appello per votare no alla modifica- e altre ancora.

In Italia il blogger ( in realtà non è solo blogger n.d.r.) Franco Ziliani è stato il capofila  del sostegno dell’attuale disciplinare e ora evoca l’8 Settembre, chiede le dimissioni Rivella, dell’intero CdA del Consorzio, del suo direttore, ecc.  In poche parole se fosse per lui si dovrebbe applicare “lo spoil system” come se invece del pronunciamento su un disciplinare, ci fossero state le elezioni regionali….

Ora finito il momento delle votazioni, bisognerebbe arrivare al più presto alla fase propositiva e programmatica. Il presidente del Consorzio, Ezio Rivella, ha annunciato un programma denominato Montalcino 2015, che avrebbe l’obiettivo di programmare le scelte future. Sarebbe auspicabile che il Rosso di Montalcino sia o diventi una parte importante di una strategia complessiva di rilancio. Anche perché quel “deficit d’identità” del Rosso di cui qualche anno fa parlava il prof. Mattiacci, in un lungimirante studio sull’area montalcinese, continua a rimanere.

E il fatto che debba continuare ad essere prodotto con le sole uve sangiovese, non è purtroppo risolutivo. Ci vorrebbe un progetto forte e condiviso, per esempio, per definire uno standard qualitativo più elevato dell’attuale, un ragionamento più attento sui prezzi, un progetto di comunicazione mirato alle sue necessità.

Cose molto concrete, investimenti, che richiedono di superare il più velocemente possibile questa fase. Anche perché – detto per inciso – ci sono sempre quei 600 ettari di vigneto iscritto a Sant’Antimo, altri 240 a Igt Toscana e anche più di qualche ettaro di Brunello di troppo, a cui va trovato uno sbocco: troppo semplice considerarlo solo un problema dei diretti interessati e non avesse conseguenze sull’intera area.

Indubbiamente tra i produttori di Montalcino si è creata una frattura. Sta a loro decidere se sia il momento di ricucire le diverse posizioni o ampliare le divisioni. La cosa peggiore, in questo momento di gravi difficoltà economico-finanziarie e con un futuro assai incerto, sarebbe quello di non chiudere la partita, magari iniziando anzitempo la campagna elettorale per il rinnovo del CdA piuttosto che occuparsi dei problemi di mercato.  

 


Una nuova fase
Devo dire che sono abbastanza stupito nel leggere molti commentatori specialmente esteri che sembrano fare a gara nel decantare oggi le qualità del  Rosso di Montalcino  fatto con le sole uve sangiovese.

Francamente non so cosa scrivessero sul medesimo argomento 15 anni fa o prima – e in molti casi credo sia pure lecito dubitare sulla effettiva consuetudine con questo vino –  comunque non può che far piacere vederne riconosciuta la “grandezza” seppur tardivamente.  Probabilmente – spero – fanno riferimento a qualcuna delle aziende che si è sempre impegnata sul Rosso come Col d’Orcia che dall’annata 2002  lavora su una versione particolarmente complessa denominata Banditella; o le vecchie annate di Rosso di Montalcino del Poggione vere e proprie pietre miliari da cui non si può prescindere. Oppure in tempi più recenti le annate di Salvioni  o  de Le Potazzine tanto per citarne un’altr’ancora. 

Vini però più che altro legati alle scelte delle singole azienda che non ad un “progetto d’area” e molto, molto diversi l’uno dall’altro. A parte il periodo in cui ogni vino di Montalcino aveva un proprio specifico Consorzio, solo durante la presidenza del Consorzio del Brunello di Andrea Costanti e del Consorzio del Rosso di Montalcino di Giancarlo Pacenti, questo vino ha goduto di attenzione e di sostegno seppur minimo. Finita quella stagione, il Rosso è tornato a svolgere il ruolo di gregario che ha avuto sinora.

Forse è arrivato il momento di aprire una nuova fase.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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  1. leggo nel commento pubblicato a margine di questo articolo che l’autore é arrivato a mettere in dubbio la competenza dei wine writer internazionali che hanno preso posizione contro il cambio di disciplinare del Rosso di Montalcino, affermando: “Devo dire che sono abbastanza stupito nel leggere molti commentatori specialmente esteri che sembrano fare a gara nel decantare oggi le qualità  del Rosso di Montalcino fatto con le sole uve sangiovese.
    Francamente non so cosa scrivessero sul medesimo argomento 15 anni fa o prima – e in molti casi credo sia pure lecito dubitare sulla effettiva consuetudine con questo vino – comunque non può che far piacere vederne riconosciuta la “grandezza” seppur tardivamente”.
    Trovo sorprendente che A.G. faccia finta di non capire (ma secondo me lo capisce benissimo) che la strenua difesa del Rosso a base Sangiovese 100% aveva soprattutto un significato: difendere il legame Rosso = Sangiovese per difendere il Brunello, perché era chiaro a tutti, e quindi anche ad A.G. che oggi si cercava di cambiare l’identità  del Rosso per poi puntare, quanto prima, a cambiare l’identità  del Brunello.

  2. Non soltanto qui, ma anche da altre parti, si parla spesso di “rovesciamento della piramide della qualità ” nel caso del Rosso e del Brunello. Oppure della cosiddetta DOC di ricaduta. Già  agli inizi degli anni ’80 ho polemizzato con chi considerava il Rosso di Montalcino la pattumiera delle uve non adatte a far Brunello o la ruota di scorta dei Brunelli da declassare. Non c’erano i blog, ma queste idee bislacche già  c’erano. Esattamente come nel caso del Nebbiolo d’Alba. Il Rosso è un Sangiovese fresco e rinfrescante, quello di certi produttori a me piace di più del Brunello, si abbina meglio ai pasti normali e costa pure di meno. E’ un’altra cosa. Non è una serie B. La cosiddetta anomalia delle vendite, dove il Brunello prevale, è dovuta semplicemente all’eccezionalità  del terroir di Montalcino, che dà  uve Sangiovese irripetibili altrove (qui diventa “grosso”) e dunque maggiormente destinabili all’invecchiamento in legno. Il mercato richiede più Brunello che Rosso, si riescono a vendere anche dei vini che di Brunello hanno soltanto la patente (ma chi gliel’ha data?). Ma a me e ad altri consumatori le spremute di legno non piacciono, le barriques per il Sangiovese ancora meno (mentre sono adatte per altri vitigni) e non mangio selvaggina tutti i santi giorni. Il Brunello col pane appena sfornato ed il salame mantovano morbido non va proprio giù. E c’è chi mangia pane e salame tutte le mattine in una pausa di lavoro.
    Poi, purtroppo, il disciplinare DOC non lo difende bene, ci sono anche parecchie bibite annacquate con il nome di Rosso, anche qui a Montalcino si producono le utilitarie e non solo le Ferrari, ma proprioper questo motivo io sostengo ancora la nascita di una DOCG Rosso di Montalcino Superiore estratta dalla DOC attuale, sull’esempio di altre che già  sono nate nel nostro Paese.

  3. Evviva!
    Il mio grande plauso va ai produttori di Montalcino.
    A quel 70% di produttori che operano secondo logiche che vedono prevalere il legame con il territorio dei loro vini, piuttosto che le logiche di alcuni (grandi) produttori che vogliono fare il vino che si vende più facilmente, non importa come.
    Si è consumato ancora una volta lo scontro fra due culture, quella di chi guarda ai bilanci dell’azienda innanzitutto, e quella di chi bada in primis ad essere un buon interprete di quanto il territorio di Montalcino offre, senza dimenticare che a Montalcino alligna il Sangiovese. Il Cabernet, Merlot, Sirah vengono da via.
    Forse per alcuni, questi vitigni saranno anche comodi, consentono una via più facile verso una qualità  diversa e comunque imbastardita. Questi signori, quelli che sono stati pescati tempo fa con le dita sporche di marmellata creando non poco imbarazzo al nostro paese, dovrebbero capire e non riproporre con un’escamotage sul Rosso di Montalcino ancora una volta le loro idee.
    Se proprio “vogliono” hanno la possibilità  comunque di mettere il coraggio necessario e fare ciò che un illustre produttore Piemontese ha fatto. Anzichè chiamare il loro vino Brunello di Montalcino DOCG lo possono chiamate Toscana IGT e tanti auguri, senza tentare di coinvolgere quel 70% di vignaioli “veri”. Se si affievolisce il legame vino/territorio il mercato lo recepisce e di qui non si torna indietro. Allora berremo ottimi vini Australiani o Sudafricani a prezzi decisamente competitivi e nei vigneti di Montalcino ci costruiremo delle bellisime ville con piscina.

  4. Non ho nulla da aggiungere a quanto ho scritto sui commentatori esteri e ringrazio F.Z. per aver ripetuto integralmente il mio pensiero, pubblicato appena qualche centimetro sopra. Giudicheranno i lettori se si tratta di “denigrazione” oppure no. La teoria del Rosso di Montalcino come “cavallo di troia” la considero singolare mentre riterrei più consono descriverla, come per altro ho già  scritto, un “processo alle intenzioni” tout court. Infatti non era e non è all’ordine del giorno e non lo è mai stato, il cambiamento del disciplinare del Brunello. Non trovo particolarmente corretto evocare questa possibilità  quando non è nemmeno lontanamente all’orizzonte. Personalmente cerco di fare informazione in modo diverso. Quanto alla Doc di ricaduta, non è un’opinione di qualche bislacco commentatore ma è quanto prevede l’art. 3 del Dpr 7/6/1996. ( E’ il disciplinare del Rosso di Montalcino. ndr). La presunta “anomalia” delle vendite è dovuta molto semplicemente ai soldi. Si guadagna di più a vendere Brunello, in bottiglia o sfuso, piuttosto che Rosso di Montalcino. I piccoli e piccolissimi a Montalcino sono assai numerosi e hanno superfici vitate altrettanto piccole. Fare selezioni è spesso impossibile, basta aver fatto qualche vendemmia per comprenderlo, mentre un’azienda di dimensioni più cospicue, ha la reale possibilità  di scegliere di più. D’altra parte a Montalcino ci sono tanti bravi piccoli produttori ma non tutti hanno le capacità  di Giulio Salvioni… e né la forza d’animo di sua moglie Mirella quando devono tagliare i grappoli in eccesso…..

  5. Gabbrielli, per cortesia, non mi metta in bocca parole che non ho usato. Ho scritto “idee bislacche” e non “commentatore bislacco”. Pane al pane e vino al vino. Lei, come tanti, soprattutto produttori e comunque quasi tutti i produttori dai grandi mezzi con le grandei tenute, considera il Rosso in quel modo. Io, come tanti consumatori che amano il Sangiovese giovane, fresco, pimpante, anche pochi mesi in legno se è un Brunello interrotto, la pensiamo in modo diverso. Come tanti piccoli produttori che dedicano al Rosso le loro energie con egual amore che al Brunello. Non si ama di più un figlio di un altro, mi creda. E sono questi produttori che hanno votato contro la proposta di Rivella. Io sono per una DOCG Rosso di Montalcino Superiore fatto col 100% Sangiovese e lascerei la DOC Rosso di Montalcino a disposizione di lorsignori, cosଠcesserebbe l’eterna guerra fratricida che insanguinerà  ancora per molti anni l’ilcinese. Forse è la mia idea che è bislacca, ma me ne vanto.

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